7 GENNAIO 1891

    Il  «Roma» di Napoli

   Ieri verso la mezzanotte si spegneva la travagliata esistenza di Francesco Mastriani. né le affettuose cure della famiglia, né l’aria attiva della Moretta valsero a trattenere il male per il quale l’arte medica si era dichiarata impotente.

   Il Mastriani può dirsi il martire del lavoro che lentamente ha logorato la sua vita.

   Nacque in Napoli il 23 Novembre 1819. Sin dalla infanzia ebbe grande amore per le belle lettere, sebbene i genitori lo avessero indirizzato agli studii di medicina. Da sé apprese gli idiomi, francese, inglese, tedesco e spagnuolo in modo da poterli insegnare e ricavarne i mezzi di sussistenza.

   Napoli allora non offriva grandi mezzi di vivere né ai letterati, né ai filologi, laonde il giovine Mastriani dové chiedere un impiego, che non gli riuscì difficile ottenere, essendo il padre un alto funzionario delle dogane.

   Però la vita dell’impiegato a quel tempo non era per nulla assorbente, ed il Salvator Rosa, L’Interprete, il Sibilo, La Galleria del Secolo, l’ebbero per collaboratore.

   Volle tentare la carriera drammatica ed a venti anni scrisse in collaborazione di Francesco Rubino un dramma. Vito Bergamaschi, che ebbe un certo successo al Teatro de’ Fiorentini. Le assicurazioni sulla vita umana è il titolo d’una sua commedia scritta nel 1846, che fu molto applaudita.

   Il coraggioso scrittore tentò un’altra via, quella del racconto, che, nato in Italia, emigrò e venne naturalizzato in Francia. Esordì splendidamente con la Cieca di Sorrento.

   La via era trovata e i piccoli capolavori si succedevano. Alla Cieca di Sorrento, tenne dietro Il mio cadavere e Federico Lennois. A questi romanzi borghesi successero i romanzi sociali: Le ombre, I Vermi, I lazzari, I misteri di Napoli, che non facevano desiderare tra noi Eugenio Sue.

   Tentò tutti i generi. Il romanzo storico con Messalina, Due feste al Mercato, Erodiade; ed il psicologo, dov’egli non avea rivali, ritraendo al vivo i caratteri e con parchi colori l’interno combattimento dell’animo. La vita napolitana ha avuto in lui un insuperabile illustratore; egli l’ha descritta in tutt’i suoi splendori ideali ed in tutte le sue miserie reali. Il popolo lo ha ricambiato di eguale affetto perché i romanzi di Mastriani sono nelle mani di tutti.

   Il Mastriani era verista nel buon senso della parola, ritraendo il vero nel bello e sdegnando la parte fangosa della natura umana, della quale si serviva come semplice contrasto. I posteri saluteranno in Francesco Mastriani il Metastasio della prosa.

   L’illustre Bovio, come proscritto al suo quarto articolo La Scuola, che pubblicheremo domani, ha dettato le seguenti parole pel povero compianto amico.

   «Dettando le ultime parole di questo articolo, ho saputo la morte di Francesco Mastriani. curò le ultime bozze e chinò il capo sugli scritti. Fu l’individuazione di questo popolo napolitano: lavorare e sognare, soffrire pazientemente e morire. S’intendevano l’un l’altro; egli avea visitato l’ultimo tugurio e il popolo si riconosceva in lui. In altro paese sarebbe divenuto ricco; ma l’Italia, povera come lui non merita rimprovero».

   Gli operai che memori accompagneranno questo loro maestro alla fossa, sentiranno che la quistione sociale non è più di quarto stato. È umana. Francesco Mastriani è finito come Paolo Gorini, come Carlo Cattaneo, e Giorgio Asproni, e come, tra noi, Alessandro Novelli, Nicola del Vecchio, Pier Vincenzo de Luca, Giuseppe Migliorini, che dopo tutta una vita di libri, d’insegnamento, di lavoro senza riposo, di privazioni, non riuscirono a tergere lo squallore delle membra e desiderarono rapida l’ultima ora per non vedere l’eredità che trasmettevano!

   Questo popolo non dimenticherà la famiglia del suo maestro.

   Il Circolo L’emancipazione sociale invita tutti i socii ad intervenire oggi alle esequie del compianto Francesco Mastriani, il quale faceva parte del giornale «1. Maggio» che sarà quanto prima pubblicato dal suddetto Circolo.

   I socialisti non ponno mancare del rendere l’ultimo tributo a chi visse e soffrì tanto per il popolo, scrivendo quei romanzi che ispirano alti sentimenti di giustizia e di eguaglianza sociale.

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      «La Capitale» di Roma

      Come vi ho telegrafato, a mezzanotte, il romanziere popolare Francesco Mastriani è morto nella povertà, come nella povertà è vissuto.

   Avrebbe potuto essere lo Zola d’Italia, se la fortuna fosse stata pari al suo ingegno; e se la patria nostra, compensatrice, avesse potuto somigliare alla Francia.

   Questo fecondo scrittore trovò nell’arte sua, non la ricchezza, ma il pane della vita. Descrittore di Napoli e dei caratteri napolitani, dettò pagine, che scritte all’inizio della sua carriera, e quindi nella potenzialità della sua arte di romanziere, misurano il suo valore, che dovrà pure essere tenuto in conto in una futura storia della letteratura, se si farà, esempio I Misteri di Napoli e Le Ombre.

   Ora scriveva a giornata un lavoro manuale anzi che intellettivo. Scritturato dal Roma, le sue appendici le gettava giornalmente, in tipografia.

   Sono andato a vederlo, nella sua casa alla Penninata S. Gennaro dei Poveri, una via, che, per la sua condizione, poteva proprio ospitarlo.

   Giace su un letticciuolo semplice, col crocifisso sulle lenzuola candide. Gli è vicino la moglie. Ai piedi quattro candele che ardono. Non stanza mortuaria, non catafalco: è la sua volontà, che hanno rispettata.

   Lascia due romanzi: La Nonna e I delitti dell’eredità; e un unico figlio, Filippo, le figliuole del quale confortarono la vecchiaia del povero morto.