AMENITÀ (DAL FRANCESE)

   Un giovane americano, che ultimamente si è recato a Parigi per trattenervesi durante il tempo dell’Esposizione universale, presentò le sue valige, che regolarmente furono sbattute. Tra gl’innumerevoli oggetti di lusso, di cui pareva ch’egli avesse bisogno, si rinvenne uno specchio di grande dimensione. Non si trattava punto di uno specchio da toletta, ma bensì d’un vero specchio, collocato in una leggiera cornice, e messo dentro un fodero di cuoio per ben garantirlo dagli accidenti del viaggio. ‒ A che può servirvi questo mobile? Gli si domandò. ‒ Esso è il compagno più utile, che un torista possa avere in mancanza d’un vero amico, rispose l’Americano. Si sfida la solitudine con l’aiuto d’uno specchio. Non v’ha cosa più aggradevole. Se un oste per avventura si trova di sera in qualche camera oscura d’una locanda, e ve ne sono tante, specialmente in Francia, egli accende dei lumi a fronte dello specchio, e questi immediatamente si moltiplicano, e vi danno un’aria di festa; e si centuplicano altresì, se per poco fosse nella camera altro specchio dirimpetto a quello. Quando un uomo ha a sua disposizione uno specchio, non si annoia mai e non sente il suo isolamento: si crea per mezzo di questo mobile una piacevole compagnia. Egli non deve che situarsi innanzi allo specchio, e si troverà subito a fronte di un altro, di cui è sempre tentato di stimare il valore e il merito. Se il suo spirito si compiace di andare nella regione delle dolci chimere, egli può procurarsi subito, e con molta facilità, il piacere di raddoppiare il capitale, di cui si compone il suo portafogli o la sua borsa di torista; mette il suo denaro su un tavolo in faccia al suo fedele amico (réflecteur) ed i suoi luigi si moltiplicheranno immediatamente, e, in vece d’un biglietto di 1000 franchi, ne vedrà infiniti. In somma, egli può addormentarsi lusingato da quella dolce allucinazione, senza il soccorso dell’opium o dell’hatchis orientale.

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   Saint-Fois, l’autore des Essais sur Paris, mentre si scagliava a tutto uomo contro l’insania del duello, andava volentieri in cerca di qualche occasione per battersi. Un giorno ebbe che dire con uno sconosciuto, il cui sangue freddo gli parve un’amara satira della sua vivacità. Egli si tenne perciò offeso, e domandò al quidam il suo indirizzo, annunziandogli con voce cupa che l’indomani sarebbe da lui per un affare. In fatti allo spuntare del giorno si presenta in casa del suo uomo, il quale lo accoglie gentilmente, e gli offre eziandio una tazza di cioccolata. Saint-Fois, meravigliato di ciò, gli dice che non era venuto se non per impegnarlo ad uscir con lui. «Volentieri, Signore; ma prima di uscire io debbo far colezione, essendo questo il mio costante abito – Fate dunque colezione. » E Saint-Fois assistette al pasto, dopo di che uscirono insieme. Nel passare per una chiesa, il compagno di Saint-Fois vi entra ‒ Ma Signore, voi che fate? Andate a sentir la messa? ‒ Si Signore, io non esco mai senza ascoltar la messa è mio costume inalterabile – Sia così – E Saint-Fois assiste alla messa. Alla fine escono. Eccoli nel giardino delle Tuglierie, all’estremità del gran viale, ove giunto il quidam ritorna su’suoi passi. «Eh Signore, voi tornate! Gli disse Saint-Fois – Certo rispose l’altro, io fo tutte le mattine due o tre passeggiate lungo questo gran viale, e vi assicuro che se ciò trascurassi un giorno, la mia digestione non sarebbe facile – Oh spero che vorrete a mio riguardo finirla una volta ed accompagnarmi ai Campi Elisi – No, Signore, non è questo il mio costume – Come! ricusate dunque di battervi? ‒ Battermi! Voi scherzate? Io sono un maestro di aritmetica. Non è mio costume di portare spada, e non mi servo che della mia penna. Mi avete parlato d’un affare, ed aspettava che vi foste compiaciuto di entrare in materia. «Saint-Fois dopo di avergli gittato uno sguardo di disprezzo, se ne ritornò come era venuto, ed il maestro proseguì placidamente la sua passeggiata.

                                             FRANCESCO MASTRIANI