Antonio Mastriani

Antonio Mastriani (1)

      Fin da’suoi primi anni, e fra i gravi studj ai quali fu sempre propenso, si determinò alla carriera camerale, e cominciò ad assistere presso que’ Magistrati della Regia Camera della Sommaria: non andò guari che avendo dato belle prove de’ suoi talenti, venne compreso nell’albo de’ pro-razionali ch’erano di regia nomina.

    Sul cominciare del governo decennale, abolita la Regia Camera della Sommaria, dopo della quale fu stabilita la Regia Corte de’conti, ne fu egli nominato cancelliere con decreto del 13 gennajo 1808. In questo Sovrano atto avvenne che il cognome fosse alterato in Mastrojani: fecesi da Antonio avvertire il corso errore, ma non si credette di tornare sul già fatto. In un mutamento di governo, era questo un caso che parve, come forse è, di così lieve momento, che non si volle prenderne pensiero.

   La rettitudine ond’era animato, ed i servizj distinti che prestava, oltre il gradimento del Ministro delle Finanze da cui dipendeva, gli meritarono ancora la confidenza degli altri, giacchè nel 1809 il ministro della Giustizia e del Culto, gli affidava l’amministrazione di Buoncamino, essendo stato nominato Regio governatore con decreto del 9 luglio dello stesso anno.

   Ritornato il regno al suo legittimo Sovrano, si tenne conto de’lunghi ed onorati servizij del Mastriani, e con decreti del 16 luglio 1817 gli fu accordato il soprasoldo di duc. 120, con altro del 5 settembre 1821 tale assegnamento mensile fu portato a duc. 200, dandoglisi gli onori ed il grado di Consigliere della detta Gran Corte; nel novembre 1823 il soprasoldo fu ancora aumentato a ducati 300.

   Non ebbe in tutta la sua vita che un pensiero ed una occupazione: i doveri dell’ impiego e gli obblighi di un padre di famiglia. Avea preso in moglie nel 1803 Giuseppina de Cristofaro. Lontano da qualunque divertimento e dal tumulto della società, e privandosi ancora del più breve divagamento in famiglia, egli per buona metà della giornata era occupato al suo tavolino. Indefesso allo studio ed al disimpegno de’suoi doveri, si ebbe a notare che durante la ostinata infermità che lo consumava lentamente nel corso di quattordici mesi, non lasciò mai il lavoro, a malgrado delle rimostranze più vive de’medici, delle insistenze più calde degli amici, delle preghiere più affettuose de’parenti, de’fratelli, de’figli, della moglie (per la quale ebbe sempre particolare e saldissimo affetto). Non altro rispondeva a tante preci, che: lasciando gli affari, tradisco il mio dovere. Nella vigilia della sua morte appena reggendosi seduto nel letto, volle da me sentir leggere e veder porre in ordine moltissime carte, alle quali appose, con mano tremante le ultime sue firme.

   Nel giorno della sua morte, chiamatomi a se vicino, mi indicò un involto di carte, e disse: questi sono i titoli della pensione che dovrete domandare. Null’altro rimango che un nome senza macchia: conservatelo tale, siate sempre uniti, e rispettate l’ottima vostra genitrice (2).

   L’ultima sua ora fu quella del giusto. Affidava a Dio la sua famiglia, e con una serenità senza pari, voltosi a me specialmente che tra le lagrime più amare, gl’ispirava pensieri di rassegnazione, dubitando che il suo spirito fosse tormentato dal pensiero dell’avvenire della famiglia, disse di serbar tali conforti a mia madre che più di lui ne avea bisogno.

   Benchè avesse un aspetto anzi severo che no, chiudeva il cuore più sensibile che possa dirsi, e bastava sentire a narrare un caso pietoso per vederlo versar lagrime: non seppe mai negare un soccorso qualunque al povero che ne lo richiedeva, ma con tanta riservatezza che la moglie a quando a quando trovando sensibilmente diminuita la biancheria del virtuoso consorte, indovinava quale uso ne avesse egli fatto. Religioso senza orpello o appariscenza, ottimo marito, affettuosissimo padre, poneva ogni cura, perché i suoi figli accoppiassero ad una sana morale, compita educazione.

   Ebbe maestoso portamento e bella statura, anche negli anni più gravi, di forme regolari e svelte, e sempre in un contegno imponente, nol dimetteva neanche nel più intimo della famiglia. Amatissimo de’figli, de’fratelli, de’nipoti (3) , ei porgevasi loro per ajuti e consigli volenteroso e sollecito; ma a chi non l’avesse conosciuto sembrava burbero e rigido. Alle angustie di tutti, prendeva parte efficace, non apparente; e così ai gaudii della famiglia, ai puerili giuochi de’figli si accostava e sorridente di soppiatto; sembrando sempre all’animo suo castissimo, alla mente grave di profondi pensieri, che il più piccolo divaga mento, fosse vanità.

   Morì povero(4) ; ma le onorate spoglie di lui furono accompagnate col pianto de’ molti che in lui perdevano un benefattore, col dolore di quanti lo conobbero. Il nome di lui rimase però riverito, rispettato e benedetto da’figli, da’nipoti, da’parenti tutti, e da quanti per ragione degli officj, ebbero da lui assistenza franca e disinteressata, consiglio sincero e leale, ajuto sicuro ed efficace.

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(1) Di Antonio e Raffaele Maria scrivea Gaetano, figlio del primo e nipote del secondo, ed il faceva a mie preghiere. Noterò poche cose dalla modestia sua non dette.

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(2) Questa preveggenza dell’ora della morte sembra essere stato un istinto particolare di Antonio e de’suoi fratelli – Giuseppe che moriva in Laurenzana, amministrator generale del Duca di Belgiojosa, scrivea ai suoi fratelli che tra otto giorni sarebbe morto: li pregava a non volersi partire dalla capitale, perchè inutilmente avrebbero fatto un disastroso viaggio, per trovarlo estinto. Corsero Raffaele Maria, di cui seguono le notizie e Ferdinando mio padre, e lo trovarono agli estremi della vita: disse loro che non sperava di vederli, che però gli aveano fatto cosa gratissima; ma che se avesse meglio pensato avrebbe loro scritto quella lettera, o un giorno prima o un giorno dopo – Saverio benché non fosse apparentemente malato, preparavasi a morire, e tranquillamente della sua fine discorreva. Recatosi nella chiesa delle Spirito Santo, per fruire de’Sacramenti della Penitenza e della Eucarestia, dopo di tali atti solenni, nella chiesa stessa era colpito di apoplessia, e moriva un giorno dopo, in una contigua bottega, nel vico de’Bianchi – Filippo del quale pure seguono le notizie, essendo appena affetto da oftalmia, scrivea a’suoi figli, l’ultima lettera di addio, un mese prima del giorno della morte – Ferdinando ammalava nel 4 maggio del 1818 e chiamatomi accanto a lui (terribile momento che mai dimenticherò), confortavami alla pazienza, dava consigli alla mia giovinezza, dolevasi non poterla più dirigere, e raccomandavamo unicamente la virtù e l’onore: dopo quattro giorni moriva – R.M.

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(3) Dopo la morte di mio padre, per ben sette mesi, me orfano accolse nella sua casa, e se il dolore delle perdite di un padre può aver consolazione, io la trovai nell’affetto e ne’consigli dello zio – R.M. 

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(4) Il Ministro Luigi de’Medici, compiangendo la morte di Antonio, ebbe la bontà di dire che il Governo non potrebbe riparare alla perdita di tale ottimo impiegato, e soggiungeva a nostro zio Filippo (che del ministro era l’amico confidente, come dirò appresso) che almeno la famiglia non restava misera. Lo zio per tutta risposta gli mostrava i cartellini del Banco, nel quale erano state pignorate alquante argenterie di esso Filippo per sovvenire al defunto fratello, ch’era il capo della famiglia – R.M.