CECCO L’IDIOTA

      (Racconto popolare)

… Sono due giorni ch’è morto… Ascoltate la malinconica sua storia:

   Cecco, nel 1854, epoca funesta negli annali napolitani, era un giovinetto di 18 anni di leggiadre sembianze, benché assai pallido; sapea leggere, scrivere e computare, ed era per l’età sua veramente esperto nel mestiero di calzolaio. Andrea, il maestro di bottega, lo careggiava moltissimo, e perché Cecco era un bravo figliuolo, e perché sapea tanto bene maneggiare la lesina ed il succhiello. E Cecco amava il suo principale più che non avrebbe amato suo padre, se la morte non glielo avesse tolto quando appena ei vagiva nel seno  della madre. – Cecco era caro a tutto il chiassolino ov’era la bottega di Andrea; e ben meritava tanta benevolenza il garzoncello; chè non fu veduto mai accomunarsi cogli altri mascalzoni della strada ed andare sciupando i carlini che lucrava, i quali al contrario serbava tutti per la vecchia mamma. Oh se l’aveste veduto a sedere innanzi alla sua bottega, refilando correggivoli, racconciando borzacchini, aggiustando tomai, o facendo altri somiglianti lavori; con quella sua berretta rossa a foggia turca, con quella camicia sempre bianca, con quel cravattino di seta nera al collo. Tutte le giovinette che passavano fermavansi a guardarlo, e si partiano sospirando. Cecco era bensì un po’ tristo; rideva molto raramente; mangiava pochissimo, di modo che Andrea sospettò non istesse male in salute; ed il fece esaminare a vari medici, i quali lo rassicurarono dicendogli che il giovine stava benissimo, e solo moralmente forse aveva qualche malessere, la cui cagione ben di leggieri poteasi conoscere col tempo.

   Un giorno (era di domenica) Cecco sedeva alla rustica mensa di Andrea; e, di rimpetto a lui, bella come una damina da salotto, ma melanconica come il desiderio, sedeva Lauretta la figliuola di Andrea. Egli avea finito di pranzare; e perché l’animo ne’temperamenti melanconici è più disposto alla tenerezza dopo il pranzo, Cecco guardava fiso negli occhi di Lauretta, il cui volto erasi fatto più bello perché colorato da una dilicata tinta vermiglia. E quando gli occhi della fanciulla si scontravano in quelli del timido giovine, si abbassavano tosto pensierosi e languidi, come se un segreto le fosse scappato dal cuore. Quello sguardo fece tremar di gioia tutte le fibre di Checco; le labbra gli si sbiancarono. – Da quel giorno tutt’i pensieri del giovine si svolsero a vagheggiare un’immagine: la sua esistenza non si rivelava che da’lavori ch’egli faceva. E la fanciulla avea perduto l’usuale gaiezza del suo umore; era divenuta amante della solitudine; pregava piangendo, e la sua voce avea preso un accento gentile e signorile. – Nel resto, i primi amori sono conosciuti da tutti; sospiri, lacrimette, occhiatine, tenerezze, e perdita d’appetito; – un romanzo uguale presso tutt’i tempi, in tutte le classi.

   Una sera, Lauretta rimendava un moccichino di suo padre, mentre che Cecco leggeva un racconto di spiriti e di paure. – Era in sul finir del mese di Settembre, quando già l’orribile asiatica malattia aveva mietuto qualche centinaio di vittime al giorno – Lauretta udì un lamento lontano come di pianto. La sera, il vento, i fantasmi, la morte, tutto ciò la impaurì. Per un moto involontario ella si alzò, e Cecco fece lo stesso; i due giovani si guardarono, impallidirono.

   «Lauretta, che avete?».

   «Ho paura; mio padre non è ancora tornato a casa».

   «Egli è andato alla predica della parrocchia».

   «Dio mio! tornasse presto! io tremo tutta».

   Il giovine le si accostò palpitante, e non poté non abbracciarla così leggermente come se avesse temuto di profanarla.

   «Lauretta, son qua io, non temete: vostro padre or ora verrà».

   «O Cecco mio! quanto siamo infelici!».

   In questo l’usciolino, si spalancò; i due giovani mandarono un grido acutissimo, e si strinsero strettamente l’uno contro l’altra – Era Andrea che tornava, pallido, smarrito, anelante.

   «Cecco, ami tu mia figlia?».

   «Quanto mia madre».

   «Vuoi tu sposarla?».

   Cecco non parlò, ma strinse più al cuore la fanciulla

   «Ebbene, io te la dò per isposa; ma Iddio vuole da te un gran sacrificio».

   «Parlate, padre mio, parlate – anche la vita».

   «Cecco, Iddio vuole qualche cosa che tu ami più della tua vita, vuol tua madre; ella muore!».

   Due grida di ugual dolore mandarono i due giovani; ma Cecco, abbandonata la fanciulla, corse verso l’uscio e si fermò ad un tratto, ed urlando come un forsennato vibrò il capo furiosamente contro il muro per ispezzarselo.

   Il domani, Andrea e sua figlia andarono di buon ora a vedere come stesse Cecco, ed il trovarono seduto in mezzo al letto, toccandosi il capo – La sua faccia era lieta, i suoi occhi vivaci; egli rideva! Il povero Cecco era divenuto un idiota. Il colpo orrendo al capo aveva eccheggiato sulla sua ragione.

   Sono parecchi anni che Cecco era fatto ludibrio agli scherni dei monelli, i quali nel volgare loro linguaggio il contrassegnavano con l’epiteto di Ciccio lu scemo. Lauretta si è maritata ad un giovine di sarto; ed Andrea, che non ritraeva più guadagno dal suo Cecco, cominciò a poco a poco a disamarlo, fino a cacciarlo nella pubblica strada. Amore, amicizia, attaccamento, bellissimi nomi onde vanno pompose le pagine dei romanzi; ma il libro della vita non è un romanzo; esso è una storia breve, uguale, monotona, che ha una catastrofe secca secca, la morte.

   Domenica mattina, Cecco ruzzava alla trottola con altri compagni. Tutto ad un tratto si ferma a guardare una donna che gli passa d’accanto con un bambino sulle braccia. Era la Lauretta con suo figlio – Cecco la seguitò fino alla casa di lei; e giunto, al portoncino, stette ivi immobile per quasi un’ora.

   La sera si accovacciò dirimpetto al balcone di quella casa. – I monelli gli saltavano addosso, ma egli Parea che di nulla si avvedesse. – Il domani lunedì, fu trovato ancora in quel luogo accovacciato; ma la sua testa riposava in mezzo alle gambe – Cecco era morto!

                                                                                                                 FRANCESCO MASTRIANI