COMMENTI

   Come commento inserisco l’INTRODUZIONE e la PREFAZIONE che si trova nella Seconda Edizione dell’editore Luigi Gargiulo, Napoli, 1867, e la NOTA dello studioso Francesco Guardiani.

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   INTRODUZIONE

tant qu’ il y aura sur la terre ignorance e misère, des livres de la nature de celui-ci pourront ne pas étre inutiles.

(…finchè sulla terra ci saranno ignoranza e miseria, i libri sulla natura di esse non potranno che essere utili).

                                       VICTOR HUGO – Les Misèrables

 

   E noi aggiungiamo: ignoranza, miseria e ozio. La civiltà tende al progresso indefinito, alla sua perfezione, rappresentata dal regnum Dei; ma gli ostacoli che si oppongono al suo regolare sviluppo sono l’ignoranza, la miseria e l’ozio, PIAGHE prodotte dalla imperfezione della organizzazione sociale, dalle monche istituzioni politiche e civili, dalle smodate ambizioni e dalle tirannidi d’ogni ragione. Il corpo sociale ha questa precipue piaghe, su cui vivono e di cui si nudrono i Vermi innumerevoli che formano le Classi pericolose. Non pochi di questi vermi si trasformano in dorate farfalle, che nascondono sotto le brillanti screziate loro ali il bruco schifoso. Noi solleveremo alquanto i fili che ricoprono queste piaghe, nella loro specialità in Napoli, ed avremo la forza di esporle agli occhi dell’abile chirurgo, perché, dove possa, provegga a medicare, e, dove la piaga è incurabile, adopri il ferro che la cicatrizzi o il balsamo che la lenisca. Diciamo nella loro specialità in Napoli, perocchè qui più che altrove queste piaghe hanno generato le due terribili cangrene della camorra e del brigantaggio.

   Per lunghi anni abbiamo studiato il nostro paese con quello studio indefesso e diligente, figlio di un amor sincero e disinteressato, che non ci fa aspirare ad altra gloria che quella di vedere la mercè di queste modeste pagine, rientrar nella vita della onestà e del lavoro qualcuno di quelli infelici che oggi appartengono alla gran famiglia de’ vermi sociali.

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PREFAZIONE

.   Da molto tempo avevamo conceputo il disegno di quest’opera, che ora, la mercè delle nostre libere istituzioni, ci è stato conceduto di scrivere e pubblicare. Il suo scopo principale è di gittare alquanta luce su le pratiche insidiose di quelle numerose classi che, o per accidia naturale ed aborrimento ad ogni onesto lavoro, o sedotte dalla speranza di uscire, più presto che con il lavoro, dallo stato di miseria in cui giacciono, o sopraffatte per ignoranza da’più astuti, si danno a vivere d’illeciti guadagni. Queste classi, figlie della corruzione, formano appunto la sciagurata generazione de’ VERMI sociali.

   Tutti i grandi centri di popolazione sono formicolai di questi vermi, che sfuggono l’aperta luce per coscienza della propria degradazione e per sottrarsi all’occhio della legge punitrice o alla incomoda sorveglianza dell’autorità governativa.

   Un fatto fisiologico, che la civiltà sviluppa fino al grado d’imperioso bisogno, obbliga i governi, per la tutela dell’onore delle famiglie e della pubblica salute, a tollerare non solo, ma eziandio a sottoporre ad un codice speciale di regolamenti una grande sezione femminea di queste classi pericolose. Ma i governi, i quali sorprendono l’infame esercizio della prostituzione e il sottopongono alla loro benefica vigilanza perché la pubblica morale e sanità non ne rimangono lese, non possono sorprendere la misteriosa influenza che la cupidigia del lucro, la dissolutezza de’costumi esercitano su le vittime infelici, le quali dove a tempo fossero illuminate a segno di schivare il funesto pendio, si sottrarrebbero al marchio di abbiezione che le colpisce.

   L’innocenza, la virtù, l’onestà sono circondate nelle grandi città da innumerevoli pericoli, soprattutto se la povertà le accompagna nell’arduo sentiero della vita. Né men circondata da seducenti pericoli è la ricchezza, a cui guardano con infinite aspirazioni tutt’i vermi sociali, e che ha in sé stessa il serpe più insidiatore, qual si è l’ozio. Illuminar quindi, per quanto è possibile, il povero onesto, la innocente figlia del popolo e il giovin signore su gli agguati che lor tendono incessantemente quegli che speculano su l’ozio, su la miseria e su l’ignoranza, ci sembra opera santa, quali si vogliano i mezzi che a ciò s’impieghino.

   Benché abbiamo messo in questo libro tutta quella riservatezza, di cui ci faceva una legge la morale dello scopo a cui miriamo, pure l’indole delle PIAGHE che abbiamo dovuto svolgere e toccar con mano ci ha costretti a scendere in alcune particolarità che potrebbero giustamente adombrare la schifiltà di quelle persone che per la loro età, pel loro sesso, pel loro carattere o pe’ loro principî non ebbero mai o non possono mai avere il più lontano contatto colle classi pericolose della società. Questo libro non è per essi. La nostra speranza è che sia letto e propagato tra le classi medesime, di cui ci occupiamo, e verso le quali non abbiamo che un sentimento di profonda commiserazione e un desiderio vivissimo di cooperare al salutare ritorno di qualcuno di questi miseri nel seno degli onesti e nelle orinarie condizioni della vita sociale, da cui si trovano oggi segregati ed espulsi.

   I fatti su cui si appoggiano i nostri studi storici sono, la maggior parte, veri: i particolari che diamo su i costumi, su le pratiche, sul linguaggio di queste classi sono esattissimi; perciocché, vincendo la ripugnanza che c’ispiravano i luoghi più abbietti, abbiamo voluto studiarli da vicino, per offrirne un quadro sincero, comechè sempre velato da quel santo pudore che dalle lettere non debbe mai scompagnarsi.

   I personaggi che figurano in questi nostri racconti sono la maggior parte viventi; ma i loro nomi  sono nascosti dallo pseudonimo, tranne quando abbiamo avuto a lodare la virtù di qualche egregio, nel qual caso ci siamo permesso di additarlo alla pubblica stima. Della più parte di questi personaggi abbiam ritenuto il linguaggio caratteristico per rendere questa lettura più svariata e originale.

   Noi avevamo conceputo quest’opera molto innanzi che fosse venuto a luce il libro stupende de’ Miserabili di Victor Hugo. Confessiamo che la lettura di questo ammirabile lavoro del romanziero francese ci avrebbe scoraggiati dallo intraprendere il nostro, qualora non ci fossimo avveduti della differenza dell’indole dell’opera, differenza che i nostri lettori risolveranno di per sé, dove attentamente si facciano a leggerci. Nel resto, non bisogna mai diffidare delle proprie forze quando si ha in vista non un titolo di vanagloria, ma uno scopo utile e morale, e il bene dei propri concittadini.

   Da ultimo, sentiamo l’obbligo di rendere le debite grazie a quelli tra i pubblici funzionari che ci sono stati benigni d’indagini e di notizie in questo scabroso lavoro.

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POCHE PAROLE

per questa 2.ª Edizione

   In questa ristampa della nostra Opera ci siamo studiati di nettarla eziandio di que’ brani e di quelle frasi che aveano fatto una impressione troppo viva.

   Siamo informati che la Curia romana ci ha fatto l’onore di porre all’indice de’ libri proibiti questa nostra opera I Vermi. L’altissimo rispetto che sentiamo pel Culto de’ nostri padri, e la fede vivissima che professiamo al divino Domma del Cristo, il cui sentimento cercammo sempre di rinfocolare negli animi de’ nostri leggitori, non ci consentono di credere che altri motivi abbiano potuto indurre la censura romana a porre all’Indice la presente opera nostra, tranne quello della dichiarata avversione che in questo nostro lavoro mostrammo al già rovinante vecchio edificio del Potere temporale dei papi; il quale considerammo sempre come prima causa  dei mali che in ogni tempo travagliarono l’Italia.

                                                26 Ottobre 1867

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NOTA

   Se le date di pubblicazione sono sempre importanti per la ricostruzione della biografia letteraria di un autore, lo sono in modo particolare pe r Mastriani, per gli ultimi anni del Regno delle Due Sicilie e per i primi del Regno d’Italia. Il cambio di regime ebbe un effetto devastante nella vita di Mastriani e gli impose una riflessione sul proprio lavoro, sulla propria epistemologia e sulla destinazione dei suoi romanzi, ovvero sulla sua readership [1] e non solo napoletana. Tale riflessione si esprime in maniera tanto evidente quando profonda ne Il materialista, del 1862, mentre La poltrona del diavolo, uscita a stampa nel 1861, è opera ancora tutta priva di ansietà risorgimentali, per così dire, dei travagli causati dal cambio di regime a Napoli; e prove della stessa ansietà sono pure le altre due opere del periodo, il “romanzo comico” Quattro figlie da maritare (1859-1860) e il romanzo epistolare Acaja, uscito a stampa nel 1860 addirittura, l’anno dell’Impresa dei Mille, dopo lunga gestazione, offerto ad un alto funzionario della polizia borbonica, Luigi Aiossa, e dedicato a “R. M.” (molto probabilmente Raffaele Mastriani) con lettera datata 20 gennaio 1860.

   È dalla riflessione de Il materialista che si deve partire per capire la novità assoluta rappresentata da I vermi. Il confronto scienza-religione, ovvero materialismo-idealismo, o anche ateismo-cristianità, si risolve in Mastriani con un atteggiamento nuovo di convinto idealista cristiano e militante. L’intento didattico moralista diventa più chiaro e impegnativo che mai. Mastriani si fa addirittura predicatore ne I vermi, con tolleranza zero verso i nemici di Dio e del popolo, come per esempio i cattivi preti. Tanto questi sono biasimati e maledetti, quanto i buoni preti sono ammirati e lodati. Di preti buoni e cattivi è cosparsa l’opera intera di Mastriani, come anche di medici o scienziati buoni e cattivi; ma qui ne I vermi, questi personaggi hanno un ruolo preciso didattico e cristianamente educativo.

   Ma torniamo per un attimo dal trapasso da un regno all’altro e ai suoi effetti nella vita privata dello scrittore. Abbiamo la preziosissima testimonianza del figlio Filippo, che comunque va presa cum grano salis [2]: l’Unità d’Italia è cosa fatta quando scrive Filippo e con essa si dà per scontato il vituperio della passata “tirannide borbonica”. E così il biografo ricorda l’eroico atteggiamento paterno nel tener testa al mitico Peccheneda, figura del male, capo della polizia (come Luigi Aiossa) e direttore generale del Giornale delle due Sicilie, organo ufficiale dell’informazione del governo borbonico. Filippo riporta anche una lettera del padre alla famiglia – una lettera datata 4 settembre 1860, cioè tre giorni prima dell’ingresso trionfale di Garibaldi in città – in cui praticamente e, direi, pubblicamente, Francesco Mastriani si dichiara patriota arruolandosi nelle fila della Guardia Nazionale. La lettera, che si può leggere in Cenni [3], presenta un tono solenne e retorico che mal s’intona a un messaggio familiare. Sembra invece una dichiarazione ufficiale, ben forte del proprio nuovo allineamento politico, destinata agli occhi del suo pubblico di lettori e di editori, oltre che agli occhi dei nuovi capi dell’agitatissimo e delicato frangente politico del tempo, a cominciare da quel Liborio Romano (vero e proprio trait d’union fra i due regimi) che nei Lazzari sarà descritto come un politico illuminato, un eroe addirittura.

   Troppo poco e troppo tardi, dovettero probabilmente obiettare di fronte a questo atteggiamento di Mastriani le nuove autorità della Napoli italiana, Francesco De Sanctis in primis che, come detto altrove in questo volume, tanto non fece per la valorizzazione nazionale del miglior appendicista del tempo in lingua italiana.

   E allora? E allora a Mastriani non rimane che il campo di confronto a lui più congeniale della scrittura: il libro, l’appendice letteraria, il dialogo diretto con il suo pubblico, il suo popolo. Ecco come nascono I vermi, con un misto di risentimento e di rinnovato entusiasmo per la propria missione di scrittore e di educatore.

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   A proposito di struttura, la prima sorpresa coglie il lettore già nel frontespizio. Il ben noto, anzi il giustamente famoso autore di best sellers, della Cieca di Sorrento, del Mio cadavere, del Federico Lennois… il “revisore” della Ginevra del Ranieri nella decisamente meglio sviluppata e scritta Angiolina, l’autore di romanzi dell’ereditarietà dei caratteri, fisici e morali, come Sotto altro cielo e Il conte di Castelmoresco, l’autore infine di romanzi “rosa” e “umoristici”, pare ora aver cambiato genere del tutto e abbandonata la narrativa con questi nuovi “studi storici”. Un anticipo dell’ampio tema delle “classi pericolose”, anch’esse presenti nel frontespizio, Mastriani ce l’aveva gi offerto con Matteo l’idiota, ma lì non s’avvertiva alcuna esitazione o incertezza sull’identità del genere del romanzo. Qui, ne I vermi, si tratta invece di studi storici, di fatti insomma, accertati, documentati cronologicamente, analizzati e commentati. L’argomento è indubbiamente “disgustoso” (parola dell’autore), ma il fine è altamente morale e questo autorizza la trattazione di qualunque tema. La struttura dell’opera è, o almeno appare, ambigua se, come è detto nella Prefazione, «I fatti su cui si appoggiano i nostri studi storici sono, la maggior parte veri […]», il che vuol dire che c’è una minor parte di fatti non veri, cioè fictional [4] . Possiamo allora dire che si tratta di una struttura complessa, in cui l’anatomy [5] prevale in maniera assoluta sul novel (ovvero sul romanzo vero e proprio. Con i suoi personaggi ben delineati psicologicamente nel loro ambiente sociale) e sia, in parte sulla confession [6] (vedi le pagine “autobiografiche” sullo sfortunato scrittore Leopoldo X). I vermi costituiscono un’opera composita non solo da un punto di vista retorico, ma anche da un punto di vista ideologico, nata com’è da una fortissima motivazione ideale, cristiana e morale che trascende le pur altrettanti attrattive della narrazione di amena lettura e ampio consenso. L’autore lavora d’istinto, ma è perfettamente conscio dell’originalità del suo lavoro fin dalle primissime pagine.

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   L’autore imposta il lavoro in tre sezioni, ovvero tre “piaghe” sociali – Ozio, Miseria e Ignoranza – da cui nascono quei “vermi” di travagliata umanità che formano l’oggetto degli studi storici. La storicità sta tutta nelle date attuali: è la storia contemporanea quella che interessa Mastriani ne I vermi. I primi fatti narrati risalgono a una notte di «luna piena del mese di luglio del 1858» [7] e riguardano l’autore personaggio che, in compagnia di tre amici, dopo una lauta cena, si reca in un bordello di Posillipo. Mi pare di poter sostenere che i tre amici sono stati inventati come figure simboliche delle tre piaghe. Essi sono: Augusto, giovane straricco, parassita sociale che vive nell’ ozio; Federico, espressione colorita della più squallida miseria di Napoli; ed Eduardo, uomo di lettere, nemico dell’ignoranza, sfortunato in amore. Se l’intenzione di creare una certa rappresentatività simbolica con questi tre personaggi c’è davvero stata, si deve pur dire che l’autore deve aver abbandonato l’idea nel corso dell’opera, con la sola eccezione del primo personaggio, Augusto, che ci introduce nel mondo del’ozio e nel bordello di Madama Antonetta. Di Federico ed Eduardo si perdono le tracce, ma nel mezzo della miseria troviamo uno scrittore, Leopoldo X, padre di famiglia ridotto alla fame e assillato dai “vampiri”, ovvero dai suoi proprietari di casa, il che corrisponde a un sicuro autoritratto dell’autore nei primi anni dell’Unità d’Italia. La struttura del romanzo presenta dunque sia una impostazione programmatica generale che una realtà di composizione aperta a trame narrative, digressioni scientifiche, riflessioni filosofiche, considerazioni storiche.[8]

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[1] Readership, complesso dei lettori di un determinato settore editoriale.

[2] Cumo grano salis, come un granello di sale.

[3] Filippo Mastriani, Cenni sula viti e sugli scritti di Francesco Mastriani, Napoli, Luigi Gargiulo, 1891, pp. 184-185

[4] Fictional, immaginario

[5] Anathomy, saggio

[6] Confession, autobiografia

[7] Francesco Mastriani, I vermi, Napoli, L. Gargiulo Tipografo-Editore, 1867, Parte Prima, vol. I. cap. I. «A Posillipo», pag. 1

[8] Francesco Guardiani, Napoli città mondo nell’opera narrativa di Francesco Mastriani, Firenze, Franco Cesati Editore, 2019