DISCORSO DI MILL

   Siccome promettemmo nel N.° 31 di questo giornale, diamo, tradotti dall’inglese, alcuni brani del discorso di J. S. Mill, nella tornata della Camera inglese, riguardante il dritto di votazione estensibile alle donne:

.

   «Se la legge ricusasse il voto a tutti, eccetto che a’possessori di cinquemila lire all’anno, l’uomo più povero potrebbe, e di tempo in tempo il vorrebbe, acquistare la franchigia. Ma né la nascita, né la fortuna, né l’intelligenza, né l’esercizio, e neppure un accidente qualunque, che suol disporre delle umane faccende, potrebbe concedere alla donna il dritto di far sentire la sua voce in quegli affari nazionali che pur la toccano così da vicino come ogni altro membro della società. Ma non soltanto i principii universali di giustizia furon messi da banda escludendo le donne dal suffragio semplicemente perché donne, ma venne con ciò offeso un punto della costituzione inglese. Secondo un tal punto, la detta esclusione viola una delle più antiche e care massime della nostra costituzione, teoria carissima a tutti i riformatori e riconosciuta da quasi tutti i conservatori, cioè che le tasse e la rappresentanza dovrebbero essere coesistenti. Non paga forse la tassa ogni donna? nessuno al certo potrebbe pretendere che le donne, molte delle quali sono alla testa di famiglia; che dirigono stabilimenti o maneggiano negozii; che pagano quote e tasse co loro proprii guadagni; e molte di loro nella qualità di maestre di scuola insegnano più di quello che un gran numero di elettori maschi imparano (risa); nessuno potrebbe pretendere che esse non sieno abili ad esercitare quelle politiche funzioni di cui ogni capo di famiglia di genere maschile si suppone capace. Debbesi forse credere che se le donne fossero ammesse alla votazione, metterebbero in rivoluzione lo Stato, ovvero che le leggi e il governo sarebbero peggiori?

   «Si dice che la politica non è faccenda da donna; ma io credo anzi che non sia faccenda da uomo, tranne che non sia di que’pochi che son pagati per consacrare il loro tempo al pubblico, o come membri di qualcuna delle due camere del parlamento… L’occupazione ordinaria della maggior parte delle donne è la cura della casa; ma che ciò sia incompatibile colla ingerenza ne’pubblici affari è così assurda come il vecchio argomento che gli artigiani abbandonerebbero i loro lavori se imparassero a leggere. Questa politica esclusione è realmente basata su un vecchio legame sociale tra l’uomo e la donna, che appartiene ad un decrepito stato della società.

   «Si dice che le donne non amino l’esercizio del suffragio. Ciò proverebbe soltanto che lo spirito può essere intorpidito da ingiuste leggi; ma che molte donne lo amino è un fatto che non ammette dubbio.

   «Nessuna creatura apprende così bene a fare della necessità virtù, come la donna. Quelle che non desiderano la votazione non la eserciteranno, ovvero l’eserciteranno sotto l’influenza de’loro rapporti con gli uomini; ed in questo caso, siccome il vantaggio generale verrebbe controbilanciato, nessun grave danno ne verrebbe. Intanto un indegno stimate sarebbe tolto via dal bel sesso, il quale non verrebbe più classificato dalla legge tra i fanciulli, gl’idioti e i lunatici (risa).

   «Se soltanto una tra ventimila donne esercitasse il dritto di votazione, sarebbe un gran bene per tutte le donne. Dicesi che le donne non hanno bisogno del potere politico diretto, come quelle che lo esercitano indirettamente, la mercé della loro influenza sugli uomini. Sarebbe lo stecco che negare il suffragio a’ricchi per la stessa ragione che eglino esercitano una grande influenza su la società. È vero che la donna esercita un gran potere sull’uomo; ed è appunto per questo ch’egli è necessario che la si renda responsabile di questo potere, che oggidì viene esercitato sotto le peggiori condizioni morali.

                                                                                         FRANCESCO MASTRIANI