GLI SCONCI CHE SI COMMETTONO IN UNA FESTA DA BALLO

   Seguitando il subbietto degli errori più comuni che si commettono nelle così dette società o riunioni per ballo, ritocchiamo il tasto de’dilettanti, di questi seccatori che hanno la faccia più dura di quella di un padrone di casa. Questi scapatacci si sono ficcati in quell’arnese, che loro sta su le spalle e che dovrebbe essere un capo, che non si possa godere un diletto maggiore di quello di sentirli a ruggire, a miagolare, a gracidare appo la tastiera di un pianoforte; e che ogni volta ch’essi aprono la bocca è un regalone che fanno alla società. E la stessa terribile illusione piglia i così detti pianisti d’ambo i sessi, che si pensano essere gli astanti venuti espressamente per sentirli a strimpellare i loro pezzi di forza o le loro suonatine a quattro mani. Noi diremo a questi signori, come è nostro costume, due franche parole, consigliandoli a farne pro pel loro meglio, se non vogliono che si maledica all’anima loro sotto i baffi da quelli stessi che sembrano loro sorridere e far loro festa d’intorno. Noi dunque diremo loro: – Signori, persuadetevi che tutte quelle belle donnine che voi vedete sedute in un salotto da ballo fremono per saltare, e badano tanto a’vostri canti e ai vostri suoni quando baderebbero a’ragghi di un asino in istrada. Vi sembra ben fatto che quelle poverette, che hanno speso dieci ore per lavarsi, stirarsi, allisciarsi, pettinarsi, imbottirsi, imbiancarsi od annerirsi (i capelli); che hanno tanto sospirato questa serata di ballo per quelle ragioni che ciascuna signorina può avere e che io non commetterò la indiscrezione di ventilare al volgo profano; tutte queste graziose coserelle movibili debbano essere condannate alla immobilità ed alla noia per cagion vostra, razzaccia di cani arrabbiati, che meglio fareste di abbaiare alla luna? E non sapete che ogni mezz’ora che togliete di divertimento a queste care creature è un peccato gravissimo di che sovraccaricate la vostra coscienza, e di che neanche tutta la curia romana può assolvervi?

   E il bello è che questi musi cornei si fanno prima pregare e fanno le smorfie, adducendo ciascuno la solita raucedine, alla quale non ci è sfegatato ortodosso che più ci creda. E quando hanno incominciato, buona sera! divertitevi per tutta la notte. Proprio così accadeva pure nientemeno che a’tempi di Orazio Flacco, perché il poeta venosino così canzonasse i dilettanti nella sua terza Satira:

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   Omnibus hoc est cantori bus, inter amicos

   Ut numquam inducant animim cantare rogati.

   Injussi, numquam desistant! [1]

 

   Dicemmo che i dilettanti sono o stupidi o impertinenti, ed è facile il dimostrare questo assioma: Eglino sono o stupidi, perché non comprendono che sono i più mortali seccatori del mondo, o impertinenti, perché, ciò comprendendo, sacrificano l’altrui divertimento alla loro vanità.

   Prima di lasciare questo tasto de’dilettanti, facciamo una tiratina d’orecchi a coloro che dànno un divertimento di ballo in casa propria; i quali non dovrebbero a verun costo permettere che si facesse tale abuso delle ore consacrate al sollievo dello spirito. È cosa incivilissima, per non dire crudele, ch’ei facciano del proprio ostello una trappola in cui vengono colti gl’incauti invitati per essere lentamente torturati a botte di corde.

   Passiamo innanzi. Non parliamo della formola con cui si sogliono invitare le dame a ballare. Ci è cosa più barocca del Siete impegnata? che assimila una gioia di figlia di Eva a qualcuno di quegli oggetti che si mettono al Banco per pegno? Ma, ritenendo pure questa sciocca locuzione, alla quale si possono sostituire altre cento più gentili ed eleganti, che diremo di que’collegiali che non appena sentono il cenno della danza si gittano come avvoltoi su le colombe per assediarle d’inviti per tutta la serata, in guisa da monopolizzare il ballo e le dame per proprio conto, condannando all’inazione que’cavalieri che, più ritenuti, meglio educati e più sobri, non mostrano tanta febbre di ballare. E que’tali idrofobi di polche e di quadriglie si gittano naturalmente su le più belle e più distinte della sala, lasciando lo scarto alla più eletta parte maschile della società.

   Prima d’invitare una dama, ognuno dovrebbe gittare uno sguardo in se stesso, e, spogliandosi di ogni vanità, fare a se medesimo la seguente interrogazione: – Posso io far piacere a questa dama invitandola a ballar meco? – Questo consiglio va dato precipuamente agli ammogliati ed agli uomini di una certa età, i quali si debbono aspettare di voler fare il viso lungo alla dama che essi invitano, soprattutto se questa è fanciulla da marito. Le ragazze preferiscono naturalmente di ballare co’giovinotti, ed hanno ragione; ed i signori coniugati farebbero assai meglio di ballare colle altrui mogli, qualora non preferissero di astenersi dalla danza; il che sarebbe più logico e più dignitoso. Non parliamo di que’vecchiotti che con sessant’anni in su gli omeri hanno ancora il prurito del ballo: costoro sono puniti di tal follia dal ridicolo che li colpisce.

   Un altro errore grossolano e comunissimo è il seguente: Un cavaliere si presenta a una dama e la invita a ballare: la dama è impegnata da un altro; ed ecco che il cavaliere si volge subitamente ad un’altra donna che è seduta al fianco della prima, e la impegna. Ora, la grossolanità di un tal procedimento salta agli occhi di chiunque ha la più leggiera dose di avvedutezza. La dama che è stata invitata in secondo ha ragione di sentirsi mortificata di servire da supplemento. In altri termini, il rivolgersi a questa dama dopo l’altra su cui era caduta primamente la scelta è lo stesso che dirle – Voi siete meno bella della prima, ma debbo adattarmi con voi, perché ho trovata impegnata quello che io avea scelta.

   Si ricordino i signori uomini che le donne perdonano più facilmente le offese che si fanno al loro onore che quelle che si fanno alla loro vanità.

   Seguiteremo nel numero venturo a ragionare su questo importante subbietto.

                                                                                                             FRANCESCO MASTRIANI

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[1] Tutti i cantori hanno questo difetto: richiesti di cantare, mai si risolvono a decidersi se stanno tra amici. Non cessare mai!