I NOSTRI TEATRI

   Napoli è diventata la città più prosaica di questo mondo; intendiam dire che abbiamo la prosa a tutto pasto. Vedi come mutano le cose su questa terra! Sotto il dispotismo, a Napoli si cantava! Sotto la libertà si chiacchiarea. La drammomania invade i nostri piccoli teatri, i cui attori ordinano coturni a meglio a meglio. Tutt’i nostri teatri vecchi e nuovi, presenti e futuri, aperti od aperibili, tranne S. Carlo, Bellini e il Goldoni, son teatri di prosa. S. Carlo si è chiuso, e buona notte ai suonatori!

   Povera musica! Povera Euterpe! Se nella prossima està capiterà in Napoli un turista inglese, e prenderà in mano l’Observer per informarsi dove può sentire un poco di buona musica, gitterà gli occhi su la rubrica Theatres, e non leggerà altro che drame and comedy in ciascun teatro. Allora il turista inglese, il quale è venuto a Napoli per vedere cinque cose, il bel cielo, S. Carlo, Pompei, l’eruzione del Vesuvio e Altavilla, se ne tornerà alla nebbiosa Albione senz’avere veduto nessuna di queste cinque neapolitan curiosities. Il bel cielo, non lo vedrà, perché il Municipio gitta polvere agli occhi de’passanti; S. Carlo non lo vedrà, perché sta chiuso; Pompei non lo vedrà, perché ora sarà ito a visitare quelle ruine il Kan de’Tartari ora il piccolo Czar, ora qualche altro di questi pesci grossi; l’eruzione non la vedrà, perché il Vesuvio sarà cheto come un agnello; e finalmente, Altavilla, non lo vedrà, perché il povero John Bull correrà a S. Carlino, siccome trova indicato nella sua guida, mentre Altavilla è al Teatro Nuovo. Allora John Bull, per cavarsi la curiosità di vedere il bel cielo di Napoli, si contenterà di vederlo a tre chilometri da Napoli; per veder S. Carlo, pagherà al sig. Prestrau tutte le spese di quintuplicata illuminazione, e godrà egli solo della vista della sala illuminata; e per sentire un poco di musica in Napoli, si farà venire all’hotel una compagnia di Viggianesi; per veder Pompei, se ne andrà alle Fosse del Grano, che offre una perfetta immagine di quelle ruine; per veder l’eruzione, se ne andrà un bel giorno, dando il braccio a due vecchie Misses, dal direttore dell’Osservatorio, e il pregherà che, per deferenza alle signore, faccia dare dalla montagna lo spettacolo straordinario dell’apertura di qualche nuovo cratere; e, da ultimo, per vedere Altavilla, comprerà per isbaglio la fotografia di qualche nostro uomo di Stato.

   Ma tornando ai nostri teatri, noi deploriamo seriamente questa povertà di musica nel nostro paese, e soprattutto la scarsezza della musica semiseria e buffa, che creò tanti illustri compositori nello scorso secolo. Oltre a ciò, vi sembra carità cristiana il far languire nella miseria tanti valenti professori, che troverebbero ne’teatri secondari di musica il loro pane quotidiano? E noi altri Napolitani abbiamo bisogno della musica come del pane. E poi vi lagnate che in Italia ci è penuria di maestri compositori! E come volete che nascano questi maestri quando voi chiudete loro la prima via, donde han preso le mosse tutt’i sommi maestri? Credete voi che si diventi grande gittandosi di botto alla tragedia lirica? Di grazia, perché siamo ammorbati da una schiera di mezzanità musicali, rimaste tali appunto per aver esordito col tragico? In verità, che l’arte, la logica e la morale ci guadagnano molto poco in questo avvicendarsi perpetuo di pugnali, veleni, afforcamenti, consunzioni a vista, infanticidi ec., che formano la stoffa delle nostre tragedie liriche. Io non comprendo come per ispirarsi un maestro abbia assolutamente bisogno di soggetti da Corte Criminale.

   Ora veniamo un poco a toccare dei tanti teatri di prosa attualmente in azione nella nostra Napoli. E, primamente, senza entrare nel dominio della estetica sull’altissimo scopo sociale a cui debbe mirare i teatro, inteso a moralizzare le moltitudini, a ingentilire i costumi e ad ispirare le più nobili passioni, diremo francamente che ben pochi de’nostri teatri di prosa rispondono degnamente ai bisogni dell’epoca ed alle impreteribili richieste delle eterna morale, base e fondamento di civiltà, di progresso e di sociale benessere. In alcuni di quelli, ove conviene la parte più eletta della nostra popolazione, abbiam veduto prodursi di sovente certi drammi e certe commedie apertamente immorali; in alcuni di quelli ove conviene il popol minuto è soverchio scandalo di laidezze di mottetti indecenti. La libertà non vuol dire licenza; ed i popoli corrotti perdettero presto la loro libertà e la loro indipendenza. Vuol giustizia che diciamo che sennato nella scelta delle produzioni è il signor Adamo Alberti, impresario del teatro Fiorentini e artista di notissimo valore. Rare volte abbiamo notato che nelle produzioni che si danno in questo teatro venga lesa quella legge che pone la morale al di sopra di ogni altra considerazione. E noi il lodiamo di cuore, e lo esortiamo a non discostarsi giammai dalle norme finora seguitate; chè a lui ne verrà la sincera riconoscenza del paese e la stima de’buoni.

   Della compagnia del sig. Ernesto Rossi al teatro del Fondo non è permesso ancora dare un giudizio, avendo solo da pochi giorni cominciato le sue rappresentazioni.

   Ed eccoci a parlare dei teatri secondari di prosa, quali sono la Fenice, il Teatro Nuovo, la Partenope, S. Ferdinando, S. Carlino, il Sebeto e il Teatro del Popolo. Di questi la Fenice, la Partenope e S. Ferdinando alternano coi drammi ed anco colle tragedie le commedie giocose e le farse colla maschera del Pulcinella; gli altri rappresentano commedie in dialetto napolitano colla maschera del Pulcinella.

   Di questi teatrini, la Fenice, la Partenope e il Teatro Goldoni rispondono un poco meglio alla particolare loro vocazione d’istruire dilettando il popolo. Una grande responsabilità pesa sulle coscienze degl’impresari di questi teatrini; essi possono davvero, se vogliono, educare il popolo e strappare dalle moltitudini tutto quel mare magnum, di corruzioni e di pregiudizi che fu l’opera di tante lunghe tirannidi. Noi non possiamo che altamente lodare la scelta di quelle produzioni, in cui il nostro popolo apprende a maledire sempre più il passato dispotismo. Si rialzi sempre la dignità dell’uomo anche sotto gli onorati cenci della povertà; e si faccia sempre più comprendere a’nostri popolani che l’umanità non è più divisa in due caste, padroni e servi, e che tutti gli uomini sono eguali dinanzi alla legge, s’inculchi loro il disprezzo di ogni servitù che non sia quella del proprio dovere, e, soprattutto, si badi a non scrollare nel cuore del popolo il sentimento religioso sotto il pretesto di sbarbicargli dall’animo la funesta superstizione. Si badi che assai diafana è la frontiera che divide la religione vera dalla superstizione; e che un popolo ateo e irreligioso è più a rimpiangere che un popolo superstizioso. La superstizione non si sbarbica ponendo su la scena il prete sbeffeggiato e vilipeso o rivelando le turpitudini de’ chiostri o mettendo in canzone i santi e il paradiso. La superstizione si sbarbica colla propaganda di una ben diretta istruzione.

   In quanto al Teatro Nuovo, a S. Carlino e al Sebeto, avremo tante e tante cose da dire su questi teatri, che ne formeremo l’argomento di altro articolo. Muovere il riso, è questo l’altissimo scopo a cui mirano questi tre teatri. Che il riso snebbi le fronti, allieti la vita, ristori dalle cure e dai pensieri più gravi, non è da dubitare; e ci piace che ci sieno dei teatri, in cui il cittadino, che ha passato una giornata nelle faticose cure del suo ufficio o del suo mestiere, vada a giocondare gli spiriti ed a prendere lena pel domani. Ma disgraziatamente egli interviene in questa nostra fragile e corrotta natura che il più delle volte il riso non si ecciti che a detrimento dell’intimo senso dell’onesto.

   Noi ci occuperemo distesamente di ciascuno de’nostri teatri e de’principali artisti che ne calcano le scene.

   Parleremo nel numero venturo del Teatro Fiorentini e del suo impresario attore signor Adamo Alberti.

                                       FRANCESCO MASTRIANI