IL MARITO DI TELA

      Attori

   Abele Varrocca, sotto il nome di Catillard

   Prospero Stringitore, usciere

   Stefano

   Lucietta Arnaldi

   Biagio, vecchio domestico

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      La scena è in una città d’Italia

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         Atto unico

   Appartamento messo con decoro. Un ritratto in fronte dello spettatore. A sinistra una finestra che affaccia sulla strada… Sedie, tavolino, ec. ec…

 

      Scena I

   Lucietta e Biagio

   Biagio alla finestra facendo dei segni a qualcuno.

   Lucietta seduta leggendo una lettera

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   LUCIETTA    (leggendo)    «Signorina, mi è stato impossibile finora di ritrovare la persona di cui m’incaricaste di pormi sulle tracce; o i ragguagli che mi deste erano inesatti, o questa persona ha cangiato nome. Nei diversi quartieri che ho stimato dover io medesimo visitare, non ho nulla saputo che potesse mettermi sul cammino di scovrirlo. Godete adunque senza scrupolo d’una fortuna che vi appartiene per tanti diritti, che, come spero, dovete ritenere anche vostro malgrado»    (Gettando la lettera sul tavolino)    No, io non abbandonerò ancora questa città, egli dev’esservi certamente. Il mio uomo d’affare non avrà fatto tutte le possibili ricerche… Bisogna rassegnarsi ed attendere. Biagio.

   BIAGIO    Signora.

   LUCIETTA    Che guardi?

   BIAGIO   Io? La casa nostra che si sta intonacando… Han posto la scala sotto la nostra finestra… Dite un po’, signora, arriva oggi, eh?

   LUCIETTA    Chi? Biagio

   BIAGIO    Chi? Vostro marito, per bacco!

   LUCIETTA    (con imbarazzo)    Non so… forse…

   BIAGIO    Sono sei mesi che ho l’onore di trovarmi ai vostri comandi, e voi mi dite sempre: «domani… la settimana vegnente…». Io non so che strada ha preso questo vostro signor marito, ma certo non dev’essere la strada di ferro.

   LUCIETTA    Affari importanti lo avranno trattenuto alla Martinicca più lungo tempo ch’egli non pensava. Il cielo non voglia che gli sia accaduta qualche disgrazia.

   BIAGIO    Disgrazia! A meno che non sia accaduto qualche naufragio, non pare che egli abbia a temere d’altro.    (Guardando il ritratto)    Ma mi pare che voi non avevate questo ritratto quando io sono entrato in vostra casa.

   LUCIETTA    (imbarazzata)    La tua osservazione è giusta… mio marito si è fatto ritrattare nell’estero, e mi ha mandato questo quadro… Ma via, Biagio, termina di assestar questa stanza perché debbo uscire.

   BIAGIO    La signora esce?

   LUCIETTA    Debbo andare dal mio uomo d’affari… (Si sente un picchio alla porta)   Han picchiato.

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      Scena II

   Biagio, Lucietta e Stefano

   Lucietta si pone a lavorare vicino al tavolino

 

   BIAGIO    Che volete, signore?

   STEFANO    (senza entrare)    La signorina è visibile?

   BIAGIO    Qui non ci sono signorine.

   STEFANO    Che importa! Signora o signorina, voglio parlare alla padrona di questa casa.

   BIAGIO    La signora non riceve nessuno.

   STEFANO    Si tratta di un affare importante.

   BIAGIO    Mi dispiace, ma non potete entrare.

   LUCIETTA    (senza guardare)    Chi è dunque?

   STEFANO    È dessa.    (Urta la porta e si avanza salutando in un modo cavalleresco)    Signora… signorina, ho l’onore…

   LUCIETTA    (turbata)    Signore… (A Biagio)    Come! hai lasciato entrare questo giovine?

   BIAGIO    Per bacco! egli è entrato per forza!

   STEFANO    Signora, voi non mi riconoscete?

   LUCIETTA    (freddamente)    No signore.

   STEFANO    Come signora, avete dimenticato il vostro vicino di ieri sera all’opera, terza fila, numero sei?

   LUCIETTA    Signore…

   STEFANO    Sì signora, io sono il numero sei. Ma che! vi è forse uscito dalla memoria? Ah, la mia è più fedele, vi giuro, e non dimenticherò mai la conversazione che avemmo insieme.

   BIAGIO    (Che birbante! Egli solo facea le domande e le risposte).

   STEFANO    (Spero che manderà via questo vecchio).

   LUCIETTA    (sotto voce a Biagio) (Non t’allontanare)    Voi mi vedete sorpresa della vostra venuta perché non credo avervi incoraggiato con le mie parole o per la mia condotta a presentarvi in casa mia.

   STEFANO    (Che aria severa! Ella crede che io sia un collegiale)    Signora, non avrei osato importunarvi, se non vi fossi stato obbligato da un dovere imperioso.

   LUCIETTA    Che volete dire?

   STEFANO    Io vengo a portarvi questa camelia che perdeste ieri sera al teatro.

   BIAGIO    (Che bugiardo! Egli uscì prima di noi.)

   STEFANO    (Ecco un bel mezzo, con una camelia un giovine può presentarsi da tutte le signorine).

   LUCIETTA    V’ingannate signore, questa camelia non mi appartiene. Degnatevi ricevere i miei ringraziamenti per l’incomodo che vi siete preso.

   BIAGIO    (Benone).

   LUCIETTA    Biagio, conducete il signore alla porta.

   STEFANO   (Come! Cacciarmi quando non ho avuto il tempo di dir quattro parole)    Signora, oserei dimandarvi il permesso di ritornare domani.

   LUCIETTA    No signore.

   STEFANO       Ho capito: in casa non ricevete, ma forse per la strada…

   LUCIETTA    Io non esco mai, signore.

   STEFANO    La signora è forse sola: se il mio braccio potesse servirle, per il ballo, pel teatro, pel passeggio, dite una sola parola, e tutto è al vostro servizio, il mio cameriere e il mio cabriolet (sempre è buono dire d’avere un cabriolet.)

   LUCIETTA    Ve lo ripeto, non ho bisogno di nessuno, andate via.

   STEFANO    (Bisogna essere ostinato)    Signora, io non andrò via, non uscirò di qui senza dirvi prima che io v’amo, vi adoro, che i vostro occhi mi hanno fatto perdere il capo fin da… ieri sera.

   LUCIETTA     Uscite, uscite, signore, di casa mia.

   STEFANO    No, voi mi ascolterete, perché io ritornerò tutt’i giorni.

   LUCIETTA    Ebbene, signore, allora incaricherò lo stesso mio marito di ricevervi.

   STEFANO    (colpito)    Che! voi siete maritata?

   LUCIETTA    Da due anni.

   BIAGIO    E questo è il ritratto di nostro marito.

   STEFANO    Maritata! Ma questa è un’infamia, bisognava dirmelo prima.

   BIAGIO    Prima che si fosse maritata?

   STEFANO    (a Lucietta)    Va bene… va benissimo, io mi ritiro. Signora, ho l’onore di salutarvi. (Esce confuso)

      In interlinea. Depennato: «Oh».

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      Scena III

   Lucietta e Biagio

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   BIAGIO    (ridendo)   Ah ah ah, povero diavolo! È restato mortificato! Egli vi credeva nubile, vedete a che sono esposte le povere donne!

   LUCIETTA    Sempre visite, biglietti galanti, dichiarazioni.

   BIAGIO    Come guardava quel povero ritratto! Ah! Signora, voi avete là un famoso Porta rispetto, fa paura ai galanti.

   LUCIETTA    (ridendo)    È il decimo che questo ritratto ha spaventato… Biagio, hai preparato il tutto per la mia toletta?

   BIAGIO   Sì signora. Vi metterete ancora il vostro abito nero?

   LUCIETTA    No.

   BIAGIO     Portavate il lutto di qualche parente?

   LUCIETTA    No, Biagio, io sono stata educata da una eccellente donna che prese cura di me: a lei debbo tutto, felicità, fortuna, educazione…

   BIAGIO    Ed è ancora questa dama che vi ha maritata?

   LUCIETTA    (sorridendo)    Sì, sì… vado a vestirmi     (Entra).

    BIAGIO   (guardando il ritratto)    È una cosa curiosa! Io non lo trovo affatto bello il marito della signora Lucietta: ha una certa aria selvaggia che non mi va niente a sangue.

   LUCIETTA   (da dentro)    Biagio, Biagio.

   BIAGIO    Eccomi, signora… (Entra)

      In interlinea. Depennato: «donna».

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      Scena IV

   Abele solo

   Dopo che Biagio è entrato, uno schiamazzo violento si fa sentire nella strada, poi Abele comparisce alla finestra e salta nell’appartamento dopo avervi gittato uno sguardo; egli porta un cappello a larghe falde.

 

   Nessuno!… Ammazzato l’usciere e le sue guardie. Credo che avranno perdute le mie tracce… ah, ah, parlano col tabaccaro… fermano l’omnibus… per gli occhiali di mia nonna! L’ho scappata bella!… Pocanzi scuoto i papaveri del sonno, ed esco per prendere un esercizio più nutritivo… in un tratto mi trovo in faccia di un brutto ceffo di tribunale che mi saluta sorridendo; io mi scosto per farlo passare, ma là, l’amico si rivolge al bavero del mio soprabito con tutta la forza che gli dava la speranza di afferrare una sospirata vittima. Io gli aggiusto su i baffi un pugno tale che l’ha interamente sconcertato dalle sue funzioni… mi lascia, io volo come una freccia; tutte le porte sono chiuse… dove trovare un rifugio? Per buona sorte, mi abbatto in questa scala tutelare, salgo ed eccomi qua. In casa di chi sono io? Perché finalmente debbo essere in casa di qualcuno. Ah! se mi trovassi nell’appartamento di una bella donna! Che piacere! Gli uomini sono cattivi sin nel fondo dell’anima, ma le donne… Cospetto! Non c’è che dire, vi è una gran differenza, per me, tra la donna e l’uomo. Al bel sesso sono debitore di mia madre, e della mia nutrice, ed al sesso maschile sono debitore di mille scudi.

   LUCIETTA   (da dentro)    Biagio, mi pare che han picchiato alla porta.

   ABELE    Oh! ah! han parlato.    (S’accosta alla porta e guarda dalla serratura)    Una bella donna. Io sono in casa d’una bella donna, e come presentarmi?   (Osservando la stanza)    Dev’essere qualche dama d’importanza! La mobiglia è tutta di mogano e dei quadri… Ah mio Dio!… (Fregandosi gli occhi)    Io non m’inganno! questo è ritratto mio. Sono io, sissignore, questa è la mia faccia, oh! riconosco i miei peli. Questo è il mio ritratto che fu venduto all’incanto tra le altre mie suppellettili, per autorità di giustizia. Ma come diavolo si trova qui? In casa d’una donna che io non conosco! Per mercurio! sono io forse divenuto un uomo celebre? Eppure io non sono Napoleone    (Si picchia alla porta).

   BIAGIO    (dalla porta comune)    Vengo, vengo.

   ABELE   Vieni, vieni    (Corre alla finestra per fuggire e si ferma)    Diavolo! han portato via la scala! Oh, ci sono qual Perillo (1) entro al suo toro. Dove nascondermi? Non c’è un letto, un armadio… Ah! ah! un gabinetto    (Entra nel gabinetto. Si picchia più forte).

   (1). Perillo di Atene (VI secolo a. c.), fonditore di metalli, realizzò per il tiranno di Agrigento, Falaride, uno strumento di tortura e morte: un gigantesco toro di bronzo nel cui interno venivano rinchiuse le vittime, fatte perire mediante un fuoco acceso sotto alla parte ventrale dell’animale. A quanto pare la crudeltà del re non risparmiò l’artefice, che appunto perì «entro al suo toro». (Cfr. E. M. Moormann, W. Uitterhoeve, Miti e personaggi del mondo classico: dizionario di storia, letteratura, arte e musica, ed. it. a cura di E. Tetamo, Milano, Mondadori, 1997, pp. 584-585).

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      Scena V

   Biagio, Abele nascosto, Prospero poi Lucietta

 

   BIAGIO   Vengo, vengo. Che diamine! Ah! signora, se costui fosse vostro marito.    (Apre)    Ah! un incognito: quanto è brutto!

   PROSPERO    (da dentro)    Vecchiotto, non è questo il secondo piano?

   BIAGIO    (con dispetto)    Sissignore.

   PROSPERO    Questa stanza non ha una finestra sulla stra[da?]

   BIAGIO    Una finestra con quattro vetri    (Dev’essere qualche impiegato delle contribuzioni).

   PROSPERO    Dite al vostro padrone che debbo parlargli.

   BIAGIO   Il mio padrone è uscito.

   PROSPERO    Uscito? da quanto tempo?

   BIAGIO    Presso a poco da diciotto mesi. Non vi consiglio d’aspettarlo perché è andato alla Martinic[ca.]

   PROSPERO    (Non mi hanno ingannato, il marito è assente)    Si può parlare alla vostra padrona?

   BIAGIO    La mia padrona non so se ci è.     (Gridando)     Signora, ci siete?

   LUCIETTA   (entrando)    Fa’ dunque entrare.

   PROSPERO    (avanzandosi verso di lei)    Eccola!    (La forza è laggiù, il mio fuggitivo è segnalato, posso dunque far camminare nel tempo stesso l’amore e la procedura).

   LUCIETTA    (Se non m’inganno questi è colui che mi perseguita da molti giorni.)

   PROSPERO    Scusate la libertà che mi prendo signora. Come vedete io passeggio innanzi alla vostra casa fin dacché il sole si è levato.

   ABELE   (apre un poco la porta del gabinetto e la chiude presto)    Cielo! Il mio diavolo!

   PROSPERO     Per professione io mi alzo coll’astro del giorno. Mi chiamo Prospero Stringitore e sono usciere del Tribunale di Commercio. Figuratevi signora, che sto perseguitando un bricconcello che si è travestito sotto il nome di Catigliardi, dopo aver svaligiato tutto l’almanacco e cambiato quindici volte domicilio.

   LUCIETTA    Ma che m’importa tutto questo?

   PROSPERO    Giudicate dalla mia gioia sapendo che il mio debitore si è rifugiato in questa casa.

   LUCIETTA    (ridendo)    In questa casa? Oh! oh! il bel pretesto che avete inventato per venirmi a contare le vostre insipide galanterie. Avete inventata questa istoriella per presentarvi in casa mia.

   PROSPERO    Signora, è pura verità quel che vi dico, ma non è questo lo scopo della mia visita. Lo scopo voi l’avete indovinato. Sono io che vi ho seguita e che vi seguirò sempre col cuore e colle gambe.

   LUCIETTA    Io sono maritata, signore, e voi non avreste giammai dovuto rivolgermi simili parole. Uscite all’istante.

   PROSPERO    Maritata? Ebbene, tanto meglio.

   LUCIETTA    Signore, voi m’insultate.

   BIAGIO   (prendendo per la mano Prospero)    Venite qua, guardate.

   PROSPERO    Ebbene?

   BIAGIO    Che cosa è questa?

   PROSPERO    È un ritratto?

   BIAGIO    Come lo trovate?

   PROSPERO    Ha l’aria d’un debitore.

   ABELE   (a parte)    Ve’ che odore ha quel cane!

   BIAGIO    Ebbene, questo è il ritratto del marito di madama.

   ABELE    Eh! che cosa ha detto?

   PROSPERO    Suo marito?

   LUCIETTA    Sì signore, mio marito.

   ABELE    Dormo, o son desto?

   PROSPERO    Sia pure, ma non m’importa, dappoiché l’originale di questo ritratto è alla Martinicca.

   BIAGIO    Prendete un grosso granchio, mio signore, egli è tornato, è qui, e vi prega di non gridare sì forte se non volete svegliarlo. Vi farebbe saltare dalla finestra.

   PROSPERO    Eh! Come? vostro marito è qui?

   LUCIETTA    Sì, sì signore.

   ABELE    (guardando il ritratto)    Sono io, sono io. Ma mi porti il diavolo se mi ricordo d’essere ammogliato.

   BIAGIO    Madama, volete che vado a destarlo?

   ABELE    Per Maometto! son curioso di vederlo!

   PROSPERO    Ah, uf… Questo marito è venuto molto male approposito: dev’essere uno stratagemma.

   BIAGIO    E così posso andare?

   PROSPERO    (con ironia)   Va’, va’ pure vecchiotto mio. Sarò incantato di far la sua conoscenza, e dedicargli la mia servitù. Ebbene, non vai? Eh caro amico, noi altri conigli di una certa età sappiamo come vanno queste cose.

   LUCIETTA    La vostra condotta è infame.

   ABELE    (Ma che! sarebbe mai vero che il marito è alla Martinicca?)

   PROSPERO    Sarete voi dunque sempre inumana?

   ABELE    (Aspetta vecchio amorino.)

   BIAGIO    (prendendo una scopa)    Non volete andar via?

   PROSPERO    Ve l’ho detto, caro il mio vecchiotto. Io voglio restare.

   LUCIETTA    (disperata)    Mio Dio! mio Dio!

   ABELE    (starnuta) (sorpresa generale)

   PROSPERO    Uh!… Lucietta che sento!

   ABELE    (da dentro)    Biagio, Biagio.

   LUCIETTA    (Donde mai questa voce?)

   BIAGIO    Signorina, m’hanno chiamato?

   LUCIETTA    Sì, certo! Ma chi è…

   PROSPERO    (Via via ho capito. Mi hanno assicurato che il marito è tuttora lontano, non può adunque essere egli).

ABELE    (entrando)    Chi dice che io non posso essere io? Sentiamo.

   LUCIETTA     Cielo! La stessa fisonomia    (Guardando lui ed il ritratto).

   ABELE    (Audaces fortuna juvat.) (Gridando)    Uomo, chi siete voi? E con qual dritto violate il mio domicilio? Siete voi commissario, giudice di pace, spazzacamino o usciere?

   PROSPERO    Signore, io veniva…

   ABELE    Ad insultare nostra moglie, perché madama è nostra moglie, non è vero cara metà?

   LUCIETTA    (Non so che dire, io credo sognare.)

   ABELE    (Ella è pietrificata)    Dunque…

   PROSPERO    Signore, io non ho mai avuto intenzione di…

   BIAGIO          Eh! eh, veh come cambia tuono…

   ABELE    Cara moglie, accetti tu le scuse di questo vecchio? Parla, ho qui le mie armi. Biagio andrà a prendermi una vettura, ed in un’ora ti porterò una delle sue orecchie, e se n’hai bisogno, te le porterò tutte due. Che dici, le vuoi?

   PROSPERO    Signore…

   LUCIETTA    (Non posso soffrire più a lungo.)

   PROSPERO    Signore, vi fo le mie scuse. Io sono l’usciere del Commercio e mi chiamo Prospero Stringitore. Credeva trovare qui da stringere un particolare che io sto perseguitando da molti giorni, e di cui non conosco altro che il suo cappello a larghe falde    (Abele nasconde il suo cappello).

    LUCIETTA    (che ha osservato il movimento d’Abele) (Non vi è più dubio, è questi il debitore: io non lo tradirò certo).

   PROSPERO    Avrò facilmente sbagliato l’appartamento, sarà forse il piano di sopra.

   ABELE    Accettiamo le vostre scuse, e vi perdoniamo. Ma uscite, fuggite dalla mia presenza, e fate pel vostro bene di non imbattervi più meco, che non vi rivegga mai mai più. Questo è il voto più ardente che io formo.

   PROSPERO    Signora, avrò l’onore di non mai più rivedervi    (Guarda intorno).

   ABELE    Che cercate, che cercate?

   PROSPERO    Nulla, nulla, nient’altro che il mio cappello

   ABELE    (gli mette il suo cappello calcandolo sino agli occhi)    Prendete, andate. Biagio, porta via questo signore.

   BIAGIO Con piacere    (Spinge Prospero accecato dal cappello).

      In interlinea. In sub litura si legge: «hi». Segue depennato: «patria dei caffè».

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      Scena VI

   Biagio, Abele e Lucietta

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   ABELE    (Finalmente, eccomi sbarazzato da lui e del mio cappello. Ah! sento i benefici della respirazione).

   LUCIETTA    (Come ha dovuto tremare per la sua libertà! Ma ho fatto una buona azione).

   ABELE   (Per l’anima della carta bollata! mia moglie è arcibella, che occhi! che naso! che…).

   LUCIETTA    (Poveretto! come è stordito! Non sa come fare per farmi le sue scuse).

   BIAGIO    Eh! signora, quando io ve lo diceva? Avrei scommesso il mio dito mignolo che il signore Arnaldi sarebbe ritornato quest’oggi. Ma per dove è entrato?

   ABELE    Per la fin… per la porta che avete dimenticato di chiudere. Ma questa è una imprudenza. Se io fossi stato un ladro? Perché finalmente avrei potuto essere qualche canaglia.

   BIAGIO    Oh! Voi siete entrato per la porta?

   ABELE    Non vedendo alcuno, ho creduto che tutti fossero usciti. Stanco del viaggio io mi era cacciato lì dentro per riposarmi un poco, aspettando il ritorno della mia carissima sposa.

   BIAGIO    (ridendo)    Ah! ah!, ma ora che la signora è qui mi pare che io non ci ho più che fare.

   LUCIETTA    (vivamente)    No, restate.

   ABELE    (La cosa è curiosa, mi vengono certi pensieri. Alla fin fine ella medesima ha confessato che io sono suo marito).

   LUCIETTA    (Poveretto! non sa come uscirne d’imbarazzo. Aiutiamolo un poco)    Signore.

   ABELE    Che! tu parli con me, anima mia, e perché mi chiami «signore»?

   LUCIETTA    (spaventata)    Ah! mio Dio!

   ABELE    In verità non mi ricordo che tu abbi usato con me tante cerimonie.

   LUCIETTA    (a parte)    Vedete come continua a rappresentare la sua parte.

   ABELE    Altra volta mi davi sempre del tu.

   LUCIETTA    Io?

   BIAGIO    E così doveva essere, signora mia.

   ABELE    Così era.

   LUCIETTA    (Che posizione!).

   ABELE    Capisco. Tu ci hai perduto l’assuefazione, bisogna riprenderla. Vediamo, provate un poco, dammi del tu, dimmelo sottovoce. Sai pure che nelle mie lettere…

   BIAGIO    Noi non ne abbiamo ricevuta nessuna.

   LUCIETTA   È vero, nessuna lettera.

   BIAGIO    Ci mettevate l’indirizzo?

   ABELE    Ah! l’indirizzo, sì signora, avea messo: alla signora… signora… (come ha detto poc’anzi, ah! credo che ci indovino)    avea messo alla signora Rinaldi.

   BIAGIO    Bah! Arnaldi volete dire.

   ABELE    Arnaldi per bacco, Arnaldi.

   BIAGIO   E che strada?

   ABELE   (Vedi questa tartaruga com’è noiosa)    La strada… ma per bacco, voi altri vedete un uomo che ha attraversato l’oceano, e non gli offrite neanche un bicchier d’acqua!

   LUCIETTA    (Che sfrontato).

   BIAGIO    Che! avete fame?

   ABELE    Fame no, appetito sì, mangerei volentieri un rotoletto d’arrosto.

   BIAGIO    Bisognava dirmelo, corro a cercarlo…

   LUCIETTA    Ma…

   BIAGIO    E siccome dovete essere stanco, corro a preparare tutto nella camera maritale, per farvi riposare: scalderò il letto.

   LUCIETTA    Biagio, vi proibisco…

   ABELE   Ed io vi comando, scaldatelo, scaldatelo, ed il rotoletto…

   BIAGIO    (esce)

      Segue depennato: «bigio».

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      Scena VII

   Abele e Lucietta

 

   ABELE    (L’affare prende una buona piega.) (Volgendosi a Lucietta) Cara sposa…

   LUCIETTA    (rispingendolo)    Signore, innanzi al mio cameriere, innanzi a quell’uomo che poc’ anzi è uscito, ho dovuto tacermi, e sopportar questo cattivo scherzo, pel vostro interesse e pel mio, ma ora che siam soli…

   ABELE   Ebbene, ora che siam soli, cioè ora che siete sola col vostro marito…

   LUCIETTA    Signore, io non ebbi mai marito.

   ABELE    Che! come! per l’arcadia, come avete detto?

   LUCIETTA    Non sono stata mai maritata.

   ABELE    Mai! Io cado non so se dalla terza o dalla quarta stella, ma quel ritratto…

   LUCIETTA    Il signor Arnaldi non ha mai esistito, questo ritratto è un capriccio, una fantasia, l’ho comprato in una pubblica vendita.

   ABELE    (toccandosi la fronte)    Ah! ora mi ricordo, strada del finocchio, numero tre bis, a fianco d’una panettiera.

   LUCIETTA    (maravigliata)    Sì, certo, mi ricordo che in quel luogo stava esposto.

   ABELE    Fra una pipa turca ed un paio di stivali? È il mio, il mio defunto ritratto che fu venduto con la mia mobiglia. Ah, perdono signora, mille volte perdono    (Ed io che le dava del tu).

   LUCIETTA    Signore, voi eravate perseguitato, la vista di questo ritratto vi ha senza dubbio ispirato il pensiero di un inganno che vi perdono. Io però vi debbo la spiega della mia condotta. Bisogna che sappiate come il vostro ritratto si trova in casa mia, e perché ho preso un nome ed una qualità che non mi appartengono. Io era sola nel mondo, senza parenti. Una vecchia e rispettabile signora che mi aveva educata era morta, ed un dovere imperioso mi forzava di vivere in mezzo d’una società che si crede tutto permesso contro una giovinetta senza difensori. Io non poteva maritarmi per mie ragioni, stimai dunque fingere uno stato che non era il mio, per allontanar da me ogni fastidiosa galanteria. Mi bisognava prendere in prestito un nome ed uno sposo che fosse il mio protettore ed il mio appoggio, lo trovai…

   ABELE    Dal rivendugliolo per poche piastre, non è vero?

   LUCIETTA    La vostra comparsa di questa mattina mi ha spaventata, non poteva spiegarmi una rassomiglianza così perfetta, perché mi avevano assicurato che l’originale di questo ritratto non esisteva più.

   ABELE    Il Cielo sperda l’augurio, quei birbi dei miei creditori mi avevano sotterrato.

   LUCIETTA    Ho indovinato che voi eravate colui che si perseguitava, e vi ho lasciato mentire perché questa menzogna poteva salvarmi.

   ABELE    Eppure com’era bella la mia posizione. Vedendo i vostri occhi, vedendo la vostra figura, io diceva tra me stesso: «Costei è certamente mia moglie, io mi sarò ammogliato in qualche luogo e l’ho dimenticato».

   LUCIETTA    Ah! voi siete uno stravagante.

   ABELE    Modesto marito di tela che vi siete scelto è bello a vedersi, ma per bacco! un colpo di pennerello e vostro marito più non esiste. Questo sposo non può sostenere una conversazione, non potete uscire con lui, non potete appoggiarvi sul suo braccio. Se invece di questa cosa dipinta trovaste qualche cosa di più solido, un uomo per esempio in carne ed ossa, non sarebbe forse meglio?

   LUCIETTA    Signore, non credo…

   ABELE   Così non sareste obbligata di andarlo a cercare nella strada del finocchio numero tre bis, egli è qui vicino a voi, pronto a gettarsi alle vostre ginocchia.

   LUCIETTA    Grazie signore, grazie. (Sorridendo)    Io era lontana dall’aspettarmi questa proposizione un poco brusca ma onorevole per me. Questo è un contrassegno di stima che io son felice di ricevere, ma che debbo ricusare.

   ABELE    Come?

   LUCIETTA    Io non posso essere la moglie di alcuno.

   ABELE    Per esempio! Restar pulcella per tutta la vostra vita è un pessimo gusto. Ah, ho capito, vi spaventano i miei debiti.

   LUCIETTA    Ah non credete.

   ABELE    Eppure se la mia vecchia zia volesse degnarsi di passare all’altro mondo… ma io credo che fate bene, perché sposandovi con me correreste il pericolo di passare in concordia la prima notte del matrimonio. Dunque, signorina, io cancello le mie parole e me e vado.

   LUCIETTA    Voi partite? Ma quell’uomo che vi aspetta laggiù, quella gente, vi arresteranno.

   ABELE    Ebbene, che mi arrestino. In prigione io penserò a voi, dalla mattina alla sera voi sarete la mia società, e forse direte qualche volta: «Povero giovine, era un buon diavolo».

   LUCIETTA  Sì, certamente, ma voi potete restare.

   ABELE    Voi mi comandate di partire?

   LUCIETTA    No… io… sì… addio signore, addio.

      Si legge «Luogo» abrasa, poi ripetuta subito dopo.

      In sub litura a «luogo stava esposto»: «stava esposto».

      Depennato: «ligia». Depennato: «voi».

      Segue parola depennata. Segue parola depennata.

      A testo: «bengnarsi».

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      Scena VIII

   Abele poi Stefano

 

   ABELE    Ella se ne va e mi lascia così disseccato d’amore da capo a piedi. Che peccato. Una così bella ragazza senza marito! Ma io non posso abbandonarla, non posso lasciare questi luoghi, anzi, voglio fissarmici per sempre    (Si sdraia sopra una sedia).

   STEFANO    (entrando senza vedere Abele)    Ella mi ha ingannato, si è burlata di me!

   ABELE    (E chi è questo giovine che entra qui sans façon!).

  STEFANO    Dirsi maritata! e nessuno non conosce questo sposo, neanche il portinaio!

   ABELE    (Ma che! La signorina avesse mai qualche innamorato secreto).

   STEFANO    (volgendosi al ritratto)    Eccolo dunque questo preteso marito. Ah, per tua cagione mi han cacciato di questa casa!

   ABELE    (Ah va bene).

   STEFANO    Ma son sicuro che essa mi ha ingannato, la dev’essere una intrigante, e tu non sei suo sposo, tu non sei che un vano simulacro, tu sei un uomo di paglia.

   ABELE    (Mi chiama uomo di paglia).

   STEFANO    Sei una vera caricatura.

   ABELE    (Ah, oh, questo dialogo comincia ad essere frizzante).

   STEFANO    Ricusarmi per te, ma già il tuo naso è orribile.

   ABELE    (Dàgli, dàgli, aumentiamo di peso adesso).

   STEFANO    Io credo anche che tu sei un po’ guercio.

   ABELE    (si alza e gli batte sulla spalla)    Credete?

   STEFANO    (tremando, e guardando Abele ed il ritratto)    Cielo, che veggo!

   ABELE    Ora tocca a me di fare la vostra anatomia.

   STEFANO    Voi sareste?

   ABELE    Sì, sì, io sarei lo sposo di mia moglie, un uomo di paglia!

   STEFANO    Credete…

   ABELE    È un affare finito.

   STEFANO    (Manco male).

   ABELE    A vostra scelta, la pistola o la spada?

   STEFANO    Vi prego signore di non parlar di spada, perché io sono molto forte, sono uno de’ primi allievi di Prisier.

   ABELE    Vale lo stesso. Ebbene, sia la pistola.

   STEFANO    Al bosco.

   ABELE    Certo, e nel viale più denso.

   STEFANO    Ho il mio cabriolet là giù

   ABELE    Ah! voi avete un cabriolet. Io prenderò un calesso.

   STEFANO    Usciamo signore.

   ABELE  Sì, sì usciamo, ma prima aspettate.    (Costui non ischerza)    Ci siamo.  (Dà uno sguardo alla finestra) (Non v’è l’amico)    Usciamo    (Escono).

     Ho restituito il «non»: la frase «ma voi potete restare» non avrebbe senso in relazione alla battuta successiva.

      In interlinea. Depennato: «pote».

      Da questo punto in sub litura si legge la ripetizione: «questo marito. Ah per tua cagione mi ha cacciato di questa casa».

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      Scena IX

   Lucietta poi Biagio

 

   LUCIETTA  Se n’è andato. Oh, sì, è un bravo giovine colui, almeno egli non si crede in diritto di oltraggiare una donna senza difesa.

   BIAGIO    (portando la colezione)    Ebbene, ebbene signora, non è più qui vostro marito? (Andando alla porta)    Signore, signore dove siete?

   LUCIETTA    Biagio, vuoi tacere?

   BIAGIO    (alla finestra)    Ah signora, eccolo, egli monta in cabriolet, con quel giovinotto di stammattina. Come sembrano furiosi! Si direbbe che vadano a battersi.

   LUCIETTA    Cielo! se fosse per me, se innanzi a lui m’avessero oltraggiata. Ah, io non debbo permettere ch’egli esponga i suoi giorni. Presto, il mio cappello, il mio sciallo.

   PROSPERO    (al di fuori)    Ah, oh, la vedremo. Aprite.

   LUCIETTA    Questa voce!

   BIAGIO    È quella del vecchiotto, e vostro marito non si trova più qui, che fare?

   PROSPERO    (da dentro)    E così, volete aprire?

   BIAGIO   Signorina…?

   LUCIETTA    Va’ ad aprire.

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      Scena X

   Prospero e detti

 

   BIAGIO     Come! siete ancora voi?

   PROSPERO    Ancora io sempre io piucché mai

   LUCIETTA    Ma che volete da noi?

   PROSPERO    Oh, vi è della novità, noi rideremo, io avrò finalmente ragione da quell’insolente che si è burlato di me, che mi ha rubato il mio cappello vero, e mi ha sfrontatamente posto in testa quest’altro cagione de’ qui pro quo.

   BIAGIO    Ch’è successo?

   PROSPERO    Eh per bacco, quel cappello a larghe falde era il nostro principale indizio, esso indicava da lungi il fuggitivo. Dacché la mia gente lo ha veduto, si sono precipitati su me come tanti idrofobi, ma il mio trionfo si avvicina. Orribilmente vessato sono corso dall’usciere maggiore per cercare i connotati di questo avventuriere che aveva dimenticato di prendere, ed eccoli.

   LUCIETTA    (Io tremo).

   PROSPERO    Signora, di chi è questo ritratto?

   LUCIETTA    (imbarazzata)    Di mio marito.

   PROSPERO    Molto bene. Chi è quell’uomo che ho incontrato qui pocanzi, e che mi ha messo alla porta?

   LUCIETTA    Ma…

   BIAGIO    È il marito di madama.

   PROSPERO    Tanto meglio. Ebbene signora, il mio debitore, quel camaleonte che ha percorso tutte le case, e tutt’i nomi della natura, quest’uomo fluido come il gas, è il vostro signor marito.

   LUCIETTA    (Gran Dio!).

   BIAGIO    Nostro marito!

   PROSPERO    I connotati riproducono testualmente l’uomo e l’immagine, ora dunque io vi comando di farmelo prendere in tutte le debite forme.

   BIAGIO   Farvi prendere nostro marito?

   LUCIETTA    Non lo sperate.

   PROSPERO    Voi ricusate? Poco m’importa: che se ne vada pure al Brasile, o in America, io me ne rido. Altra volta si trattava d’impadronirmi della sua persona che era la sua proprietà, ma oggi abbiamo una casa, ed una bella mobiglia di cui mi metterò in possesso all’istante medesimo.

   BIAGIO    Che! I nostri mobili!

   LUCIETTA    Ma signore, questi mobili sono miei.

   PROSPERO    Per conseguenza di nostro marito.

   LUCIETTA    Oh! Cielo!

   BIAGIO    Vecchio coccodrillo.

   LUCIETTA    Signore, di grazia,   (maledetto ritratto)   vi supplico di accordarmi un quarto d’ora, il tempo di scrivere al mio uomo d’affari.

   PROSPERO    Un quarto d’ora? Io non so ricusare nulla alla bellezza, accordo dieci minuti.

   LUCIETTA    Vi ringrazio. Vado a scrivere    (Entra nella sua camera).

      Depennato, probabilmente: «bianco».

      Depennato, probabilmente: «bianco».

      In interlinea: «a larghe falde».

      In sub litura: «questo».

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      Scena XI

   Prospero, Biagio, poi Abele

 

   PROSPERO   Dieci piccoli minuti, mi stabiliscono qui, in questa sedia. Ma che rumore è questo?

   ABELE    (col braccio fasciato)    Oh gioia, oh felicità! oh delirio! Io son pazzo. Ah Prospero! (L’abbraccia)    Oh vecchio Biagio. (L’abbraccia)   Vorrei stringere nelle mie braccia tutta l’Europa!

   BIAGIO    Che cosa avete al braccio? Voi siete ferito.

   ABELE    Ferito? È possibile, ma che m’importa, se tu sapessi ciò che mi accade.

   PROSPERO    Che cosa vi accade?

   ABELE    Sono ricco, sono milionario, pago i miei debiti e sposo Lucietta.

   PROSPERO    Sposate vostra moglie

   ABELE   E che fa! La sposo mille volte, ascoltate.    (Leggendo una lettera)    «Mio caro amico, conosco la tua infelice posizione. Una nuova disgrazia ti è sopraggiunta, tu non sapresti piangere abbastanza la tua povera zia Varrocca che è morta». Comprendete ora la mia felicità! Presto, un po’ d’inchiostro, una penna, no, due penne.    (Si precipita al tavolino e scrive)    «Lucietta, una sola parola di abboccamento. Mia zia è morta (requie all’anima sua!). Io sono ricco». Ah! uno scorbio su mia zia. Perdona ombra rispettabile.    (Scrive)    «La vostra risposta dev’essere la vostra presenza. Abele Varrocca». Posso finalmente prendere il nome dei miei antenati, posso dire a tutto il mondo: «Io sono Varrocca».

      BIAGIO    Io cado dalle nuvole. Voi non vi chiamate Arnaldi?

      ABELE    Uf! m’hai infracidato colle tue domande! Fammi il piacere di portare questo biglietto alla tua padroncina, presto, presto sbrigati.

      BIAGIO   Ma signore…

      ABELE    Va’, io ti do la mia maledizione    (Biagio via).

      Scena XII

   Prospero ed Abele

 

   PROSPERO    E così giovanotto mio, mi spiegherete?

   ABELE    Come! vecchio stupido, voi non avete ancora afferrato l’argomento? Io non sono Carnaglia, non sono Catillardo, io non sono Arnaldi, io sono Abele Varrocca in carne ed ossa. Eredito di mia zia Geltruda Varrocca, vi pago e v’invito a far colezione con me. Avete capito? Accettate?

   PROSPERO    Accetto. Ma è poi vero?

   ABELE    Per bacco, questo è il sugello della posta. Ascolta, dove eravamo rimasti? «Ah, tu non sapresti piangere abbastanza la tua povera zia Varrocca ch’è morta lasciando tutt’i suoi beni ad una giovinetta, ch’era sua damigella di compagnia, e che è scom… par… sa…»    (Cade sopra Prospero).

   PROSPERO   Piano… voi mi fate uscire l’anima… aiuto.

   ABELE    Scom… par… sa…

   PROSPERO    (pian pian lo fa sedere)    Vi sentite qualche cosa?

   ABELE    Un bicchier d’acqua, un poco d’aria… Battimi nella palma della mano… tirami il naso… ligami le orecchie… (Prospero accinge ad eseguire. Abele si alza violentemente e lo respinge)    Per la morte diseredarmi! A me! a un nipote che non le ha cagionato il minimo incomodo! che non è stato mai a trovarla! Oh, mi affogherei. Oh, se non fosse morta, l’ucciderei. Vi son dei momenti nella vita in cui si ha bisogno di batter qualcuno    (Guarda Prospero).

    Prospero    (Ah! tu non erediti più, tu stai senza un soldo! Ah, tu non puoi invitarmi a pranzo da te).

   ABELE   (Che piacere se quest’imbecille mi guardasse biecamente! Che bella occasione di sfogare sopra di lui).

   PROSPERO    E si ha preso il mio cappello    (Camminando per la scena).

   ABELE    (Oh, se mi calpestasse un callo).

   PROSPERO    (Si slancia su d’Abele e lo afferra)    In nome della legge, siete arrestato, signor Abele Varrocca. Abele    (senza muoversi)     Bene… bene… benissimo.

   PROSPERO    Ti arresto non come debitore, perché tu sei in una casa, ma come un ladro.

   ABELE   Bravo, bravo… bravissimo.

   PROSPERO    Sì, come ladro di cappelli… dammi il mio cappello.

   ABELE    Ah, tu vuoi il tuo cappello. Te’, prendilo     (Glielo mette in testa e gli batte sopra).

   PROSPERO    Misericordia! Assassino.

   ABELE   Te’, te’, uomo brutto e maligno.

   PROSPERO    Gente, aiuto, io soffoco.

   ABELE    Mia zia mi ha diseredato, prendi    (Abele percuote Prospero, il quale fugge non potendo vederci e s’imbatte in Biagio che stramazza per terra).

      Depennato: «alla sua anima». In interlinea: «all’anima sua!».

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      Scena ultima

   Biagio e Lucietta ed i precedenti

 

   BIAGIO    Misericordia! mi sono slegata una gamba.

   LUCIETTA    Gran Dio! Ch’è questo?

   BIAGIO    Lasciatelo… non l’uccidete!

   ABELE    Va bene, sono sollevato, portatemi ora in prigione.

   PROSPERO    Sì, come una bestia feroce. Andiamo.

   LUCIETTA    Fermate, tutt’i debiti del signor Abele sono pagati.

   PROSPERO    Come?

   ABELE    È crepata forse un’altra zia?

   LUCIETTA    No, ma son io che li pago.

   ABELE    Come avete detto?

   LUCIETTA    Abele, voi siete qui in casa vostra.

   ABELE    Eh?

   LUCIETTA    Tutto vi appartiene.

   ABELE    Oh, questo scherzo è crudele, signorina.

   LUCIETTA    No, non ischerzo. La povera orfanella educata da vostra zia son io, ma vi giuro che non ho avuto mai il pensiero d’appropriarmi una fortuna di centomila ducati che non poteva appartenermi.

   PROSPERO    Centomila ducati! Perdo il fiato.

   ABELE    Possibile! Ed è per me che non volevate maritarvi? per me che avete comprato questo Porta rispetto? Ebbene, io non accetto.

   PROSPERO    (a Lucietta)    Prendetelo in parola.

   BIAGIO    Questi è un imbecille di nuovo conio.

   ABELE    O vostro sposo o me ne vado in prigione.

   LUCIETTA    Signore, io già vi ho detto…

   ABELE    Prospero, andiamo….

   LUCIETTA    (stendendogli la mano)    No, restate.

   ABELE    Che io resti! Lucietta, Lucietta… «innanzi al cielo, agli uomini, tuo sposo diverrò…».

    Oh signori, la vita è una bella invenzione.

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      FINE