IL NATALE IN NAPOLI

       LA NOVENA

   Pochi giorni dopo la festa di S. Martino (11 novembre), e quando le elette brigate de’villeggianti abbandonano i campi ormai impoveriti di frutti e di fronde, e i colli circostanti ove tuttora si senton le esalazioni di ubertose vendemmie, e quando Portici, regina di ottobre, riceve gli ultimi onori dovuti alla sua bellezza e maestà, tra lo spirar d’autunno e l’innoltrarsi del gelido vecchierello, cominciano a farsi udire per le vie di Napoli i zampognari, i quali sogliono trovarsi in questa capitale alquanti giorni innanzi la novena della Beatissima Vergine Immacolata, che si festeggia il dì 8 dicembre. Dalle più remote provincie del reame muovon questi rustici, e più specialmente dalla Basilicata, celebre pe’suonatori Viggianesi. Eglino son provveduti talvolta delle sole preci che per essi rivolgono al cielo le loro povere famiglie: lunghi giorni e lunghe notti di pedestre cammino imprendon costoro per monti, macerie e convalli. Rozza lana e antica covre gli omeri di questi figli della campagna, e li difende dalle intemperie d’una incostante stagione; pellegrini e mendici ei si parton dal seno delle loro famiglie, quando terminati sono i lavori de’campi; deponendo in un angolo delle loro antiche capanne i rurali istrumenti che schiusero il seno della terra, e ne raccolsero i tesori. Viaggiando con tutt’i disagi della povertà, e sotto il rigore della stagione, eglino arrivano in questa Capitale, e dànnosi alacremente a procacciarsi novene, vale a dire, a cercare divoti che li chiamino a suonare davanti alle Immagini di Maria o del Bambin Gesù [1]. La prima novena è per la festività del dì otto dicembre, giorno in cui dalla Chiesa si celebra l’Immacolato Concepimento di Nostra Donna Universale è la divozione de’napolitani per la Immacolata, sotto la cui protezione è posto il Reale esercito: non vi ha ricco abituro, o misera dimora, o romita capanna dove non iscorgi un quadretto, un’effigie qualunque di questa Beatissima Vergine Madre. laonde per la novena del dì otto dicembre non meno che per quella del Santo Natale i zampognari trovan clienti in copia grandissima, sì che in tutt’i dodici quartieri di Napoli, e ne’vicini villaggi e casolari, non senti da mane a sera che il suono della zampogna e della cennamella. Alle cantonate o sboccature delle strade, su i lastricati di Toledo e di Chiaia, nei chiassuoli e ronchi de’più fangosi quartieri della capitale, su per le salite di Montecalvario o per l’erta del colle S. Martino, ne’crocicchi di Porto e del Pendino, per le piazzette del Mercato, su pe’palazzi doviziosi, come nelle botteghe, e financo nelle cànove vedi salire e scendere continuamente l’un dopo l’altro il zampognaro e il cennamellaro. La mercede che lor di dà per una novena varia a seconda della maggiore o minore agiatezza delle persone, appo le quali ei si conducono a suonare, per modo che dalla piastra (12 carlini) scende il prezzo fino ad un carlino.

   La novena dell’Immacolata incomincia il dì 29 novembre e cessa il 7 dicembre, quella di Gesù Bambino ha principio il 16 dicembre e termina al 24, vigilia del Santo Natale. Gran festa si mena nelle famiglie quando incominciano le dette novene: spesso gli stessi zampognari che han fatto la novena in una famiglia negli anni scorsi si presentano per l’anno che corre, e trovano sempre quell’affettuosa accoglienza che ad antichi amici suol farsi. Proverbiale è la bontà del cuore de’napolitani, e gli amorevoli sentimenti che nutrono verso i poveri e la minuta onesta gente. I ragazzi, al vederli comparire, saltan di piacere, che rimembrano le feste, il presepe, il regalo, i dolci di Natale, le castelle di nocciuole, e tante altre care gioie di quella età così bella, così innocente, così spensierata, e che poscia diventano, nel corso di tutta la vita, le più soavi ricordanze. Vedi i più grandetti aggrupparsi intorno a que’due uomini del presepe, chieder loro d’imboccar il becco maggiore della cornamusa per trarne un suono, ovvero divertirsi a batter colle dita l’otre che si va enfiando pel fiato che le caccia dentro il rubicondo suonatore; altri starsene dietro il cennamellaro, imitando grottescamente il suonare che quegli fa del rustico istrumento: i bimbi da latte si appaurano al sentir le prime note acutissime del campestre clarino, e si rifugiano nel seno della madre o della balia. Intanto quegli accordi che risuonarono alle nostre orecchie fin da’primi anni della nostra vita ne giungon sempre graditi in qualunque età, e sovente spremono sulle nostre ciglia una lagrima, ripensando a’genitori o a’parenti co’quali dividevamo le gioie del Natale, e che tanto ne abbellivano il ritorno con le testimonianze del loro affetto.

   All’ultimo giorno della novena, sia dell’Immacolata che del Natale, non sì tosto i zampognari han finito di suonare in una bottega, o al canto d’una strada, senti da’monelli circostanti gridare a piena gola: Pava, pava (paga, paga). Questa parola è diretta al padrone dell’Immagine, incanni alla quale i zampognari hanno suonato durante la novena, e gli comanda di dare a costoro la dovuta mercede, la quale viene ordinariamente accompagnata dal classico mostacciolo, e dal consueto susamiello (specie di dolciume natalizio fatto con pasta di miele, e che ordinariamente ha la foggia di una S). I zampognari si accomiatano, augurando buone feste, ed accaparrandosi per l’anno prossimo.

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   IL PRESEPE

   Non vi ha famiglia napolitana, patrizia o plebea, che non abbia l’avita consuetudine di fare il presepe, vale a dire con fantocci di stucco o di creta rappresentare la scena di Betlemme, e il Nascimento del Divo Bambino. Il tugurio, in cui nacque il Salvatore del mondo, le montagne adiacenti, le capanne de’pastori, tutto è rappresentato con pezzi di sughero acconciamente disposti e ordinati. I personaggi, che debbono figurare sul presepe, e che in Napoli vengono addimandati pastori, sono talvolta di finissimo lavoro, e di abili artisti. Gli è curioso il vedere le odierne foggie di villeresco vestimento napolitano addossate a’personaggi di quel tempo tanto da noi remoto; e gli usi e i costumi del nostro paese rappresentati sul presepe, sì che vedi poco lungi dal tugurio ove nacque il Bambinello Gesù, una taverna, di quelle che si osservano nelle nostre circostanti campagne, ove seduti a rustica mensa bevono e gavazzano parecchi contadini vestiti alla sorrentina, o alla procidana. Sull’erta di un monte vedi un altro pastore che se ne viene a recare in dono al Bambino una cesta piena di caciocavalli napolitani. I personaggi che figurano nella grotta del Santo Natale sono la Vergine Madre, il Patriarca Giuseppe, sposo di Maria, il Divino Neonato, lo zampognaro e il cennamellaro, il bue e l’asinello che co’loro fiati riscaldano le tenere membra del Fanciullo Gesù: al di sopra di questo quadro vedesi il coro degli angioli che cantano osanna al verbo Eterno, gloria a Dio nell’eccelso Cielo, e pace nel mondo agli uomini di buona volontà.

   Pochi giorni prima della vigilia di Natale, il Bambino Gesù vien tolto dal presepe, per esservi riposto, con solenne processione di tutta la famiglia, alla mezzanotte del 24, ora in cui nacque il Divin Redentore. Commovente spettacolo offre allora la famiglia: uomini, donne, e ragazzi provvisti di ceri, fanno in processione il giro della casa, scendon talvolta nel cortile, visitano gli altri quartieri del palazzo, e si riducono al presepe, dove genuflessi e cantando l’inno Ambrogiano, da qualcuno della famiglia (spesso un ragazzo) vien collocato sul fieno e sulla paglia il celeste Pargoletto.

   L’usanza del presepe rivela tutta l’indole del buon popolo napolitano; entusiasta e immaginoso nella sua fede, la sua anima trova tesori di tenerezza e di gioia in quella Religione, che ne’sublimi suoi misteri parla potentemente al cuore degli uomini onesti e dabbene.

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      LA VIGILIA DI NATALE

   Spunta il giorno che se per tutta l’orbe cristiana è il più solenne di tutto l’anno per la ricordanza di un avvenimento onde l’Umanità fu riscattata dalla macchia originale, per Napoli è tal giorno di allegria, di subuglio, tal giorno di movimento, di vita, di piacere; tal giorno di affaccendamento, di capogiro, di cuccagna, che mai le parole non potranno presentarne l’immagine a chiunque non sia stato in questa città il dì 24 dicembre di qualunque anno. Fin da’primi giorni di questo mese, talvolta anche prima, tutte le faccende si rimettono a dopo Natale; le obbligazioni non si adempiono; il denaro si stagna per qualche tempo per riporsi in questo giorno in un’attivissima circolazione. Tutti sperano qualche cosa a Natale; tutti sono in aspettativa; gl’impiegati e i commessi attendono le gratificazioni, i medici e gli avvocati fidano su i capponi e su i caciocavalli de’loro clienti; i maestri di scuola chiudon le loro porte agli alunni e le aprono agli allievi pennuti; gl’innamorati aspettano i dolci delle loro amanti e viceversa; gli uscieri, i domestici, le fantesche, e tutta l’infinita generazione de’portinai, ciabattini, artieri, e facchini danno l’assalto de’cento di questi giorni a dritta e a manca. Bel giorno è questo pel basso ceto! I carlinelli piovon loro da tutte le parti, sì che francamente li vedi abbandonarsi a quella gioia che è tutta naturale in essi; e li vedi correr le vie e le piazze, e salire e scendere le scalinate delle case, recando in sul capo grossi panieri carichi di regali, ovvero vassoi coverti da fazzoletti di seta, e contenenti dolci o torte.

   Spettacolo indescrivibile offrono le piazze ed i mercati di commestibili fin da due o tre giorni innanzi la vigilia. I due regni animale e vegetale sono interamente rappresentati a Napoli in questa solenne festività. Tutto ciò che la terra produce; tutto ciò che si muove nel cielo, nel mare, ne’fiumi, è schierato nella via Toledo, a S. Brigida, a Porta S. Gennaro, al Mercato, al Pendino, e nelle principali piazze della capitale. È tanta in questo giorno l’abbondanza de’ viveri a Napoli, che tutti i milioni di abitanti Europei vi si potrebbero sfamare, tutte le nazioni del mondo vi troverebbero il loro cibo prediletto e indigeno. È costume di farsi dalla bassa gente privati contratti co’pizzicagnoli, da’quali, pagando un cinque o sei grani per ogni settimana, ottengono a Natale una cesta ripiena di cibi che soglionsi mangiare in questi giorni. Questa cesta si suole addimandare sfrattatavola.

   Fin da’principi della novena di Natale i venditori di frutte fanno la così detta parata, vale a dire che davanti alle loro botteghe innalzano un edificio di seccumi e di frutte fresche; le colonne di questo tempio sono circondate di frondi, e spesso alberi giganteschi ne sostengono la mole; all’interno di questo recinto tu scorgi trofei di uve e di mele, archi di uve passe, stelle di fichi secchi, piramidi di agrumi, baldacchini di noci e di vecchioni, ed una formidabile artiglierie di pine – Accanto a questi magnifici parati si spiegano le ceste de’pescivendoli, nelle quali vedi guizzare il sire de’pesci di Natale, il capitone con sua moglie l’anguilla, e poi cernie, calamaretti, cefali, lagoste, merluzzi, e tutta quanta la generazione degli abitanti del mare. [2]  Più lungi i volatili di ogni specie vengono a pagare con la loro vita alla più grande e solenne delle festa napolitane: migliaia e migliaia di capponi, ligati pe’piedi a gruppi, ingombrano quasi tutte le vie della Capitale, destinati a funzionare sulle mense la mattina del Santo Natale. Queste povere bestie, condannate all’estremo supplizio, o a scambi di regali, vanno per parecchi giorni in giro per la capitale, e nissuno in questo frattempo si cura di dar loro da mangiare, per modo che un digiuno di vari giorni precede per essi la pena capitale.

   Non vi ha strada per la quale si possa agevolmente camminare, tanta è l’affluenza degli uomini e delle bestie, tra le quali primeggiano gli asini. Per Toledo non vedi che enormi muraglie di canestri e piatti; le cose più fragili ti capitano ad ogni momento sotto a’piedi, come bicchieri, cristalli, pignatte, e tutta la batteria di cucina. La mattina della Vigilia di Natale Napoli non è che una immensa cucina, siccome la sera non è che un immenso banchetto. Quasi ad ogni canton di strada vedesi un arsenale di tronaro [3] vale a dire, un venditore di fuochi di artificio. Tutt’i trovati de’ moderni artiglieri non reggono al paragone delle botte inventate per festeggiare il Natale: ce n’è di ogni dimensione, di ogni nome, di ogni forza, di ogni rumore e di ogni colore. Fulmini innocenti, nunzî di pace e non di guerra, il folgore e il tuono primeggiano tra i colpi.

   Tutto questo spettacolo di vita vien peraltro eclissato da quello che presentano i confettieri, i quali ritraggono in lavori di zucchero tutto ciò che è esposto in vendita nelle piazze.  Per due o tre giorni le botteghe de’confettieri sono talmente ingombre da’compratori, che spesso non è possibile farsi udire per comprar qualche cosa. E qui è da notarsi, a gloria del nostro popolo, che rimanendo esposti quasi sulla pubblica via e senza custodi i cestoni ripieni di dolci e mostaccioli, non vi ha chi si attenti per uno derubarne; la religiosa solennità del giorno ispira a tutti sentimenti di onestà, di amore.

   Barbati e Lambiase sono gli eroi della giornata in fatto di dolci, siccome il Sì Francisco a S. Brigida è il Nestore de’venditori di salami. Castella di zucchero e fortezze di cioccolatte sorgono alle porte di que’due Michelangeli della ghiottoneria napolitana; i bastioni di questi castelli sono tenerissimi e i denti vi si affondono con facilità e piacere; fontane, obelischi, mausolei, ponti levatoi, torri del medio evo, tutto è rappresentato a meraviglia da que’due abilissimi artisti zuccherieri.

   Accresce la giocondità e la maraviglia di questa giornata il donativo Natalizio che la Città di Napoli riverente, invia, per antica consuetudine e quale attestato di omaggio e di affetto, all’Augusto Monarca, nostro Signore. Questo donativo racchiude in sé tutta la parte più eletta e squisita de’ cibi di ogni stagione e di ogni contrada.

   Tutta la popolazione di Napoli e contorni, e tutti i cinquanta o sessantamila forestieri che trovansi in questa città, si mettono in mezzo alla strada dallo spuntar del giorno, e vanno, e vengono, e si urtano, e s’incrociano, e chi compre, chi vende, chi corre pel regalo, chi per la mancia, che per la visita, chi per curiosità; e tutti pel capitone. Il trambusto, le grida, il pigiarsi, l’infangarsi, il baccano, la confusione crescono col crescer del giorno, e non cessano che al domani. Il dì del Natale tutto sparisce, quasi per incanto, tutte le botteghe son chiuse; tutto è nettezza e quiete.

   Intanto, non sì tosto le tenebre cadono su i capitoni e sulle anguille, incomincia un fuoco vivissimo da tutte le parti. Ben diceva un bello spirito napolitano che non si consumò tanta polvere a Waterloo, quando se ne consuma a Napoli per questa occasione. Le baracche de truonari sono affollate di compratori, ansiosi di cominciar la botta e la risposta.

   Allo scoccare delle 24 ore, e quando Napoli si siede alle centomila sue mense, incomincia lo sparo degli artifizi. I tuoni, le fiaschelle, le folgori, le folgori pazze, i tric-trac, i fit-fit accompagnano i brindisi e le allegrie della tavola; gli amori galoppano, le dichiarazioni sono coverte dagli spari, le strette di mano son nascoste dallo stomatico: tutte le fisionomie sono gioconde e vermiglie; tutt’i cuori si espandono, tutti ciarlano, ridono; ogni sofferenza sparisce, ogni malanno è posto in obblio; tutti sono ricchi, tutti contenti; i vecchi tornan fanciulli e si mischiano all’ilarità de’giovani. Bell’ora della vita è questa! Be’ momenti! La religione, la famiglia, la carità, l’amore si abbracciano in stretti amplessi. L’uomo malvagio si asside allato all’uomo giusto; poiché questa è l’ora in cui tutte le umane colpe son riscattate.

   I cibi di rito della cena della vigilia sono i vermicelli, il cavol fiore, i pesci di ogni genere, e massime il capitone e l’anguilla, gli struffoli (pasta dolce con miele tagliuzzata) i mostaccioli, i susamielli, ogni sorta di seccumi, le ostriche, ed altri camangiari di magro, che s’imbandiscono a seconda del gusto e dell’agiatezza delle famiglie.

   In un momento cessa per poco tutta l’allegria; e la prece corre spontanea alle labbra, come un ringraziamento. È mezzanotte! Compita la processione, di cui abbiamo parlato, il zampognaro s’inginocchia e fa l’ultima novena al Nato Bambino.

   L’offerta de’ cuori vola al cielo pura ed accetta; gli occhi di tutti si riempion di lagrime; il silenzio del raccoglimento succede agli slanci della gioia; le campane suonano a festa.

   La pace si spande sulla terra. Gli Angioli ripeton nel cielo le preci che da tutt’i templi s’innalzano da’fedeli ivi raccolti.

                                                            FRANCESCO MASTRIANI

[1] Vedi figura 1

[2] Vedi figura 2

[3] Vedi figura 3

Questo articolo fu pubblicato anche sul volume di Francesco De Bourcard,  «Usi e costumi di Napoli e contorni », Napoli, Gaetano Nobile, 1853

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                                  Figura 1

 

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        ………………….. Figura 2

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            …………………………… Figura 3