IL PULIZZA-STIVALI

    Ecco un uomo che presta segnalati servigi alla società, e che con la spazzola e la cassetta tende anch’egli al progresso universale, illustrando particolarmente la parte meccanica e materiale con cui gli uomini camminano. Ecco un industrioso tutto nostro, tutto napolitano, tutto indigeno. Che la profumata Parigi vanti i suoi décrotteurs, e i suoi magazzini d’illustrazione, che l’affumicata Londra citi i malinconici suoi Shoe-Blackers, noi proteggeremo i nostri modesti e lepidi pulizzastivali, [1]a’ quali la Crusca ha il torto di non aver dato un bel nome rotondo e sonoro e di quindici sillabe per lo meno. Ed invero, chi può contrastare al nostro pulizza-stivali l’impareggiabile modestia del suo mestiero? Allorché tanti saloni si aprono ogni dì pel taglio de’ capelli, allorché da ogni banda sorgono nuovi arricciatori, nuovi profumieri, nuovi cappellari, per abbellire questo emporio di sciocchezze che abbiamo sulle spalle, il pulizza-stivali si limita a farvi risplendere i piedi, questi poveri facchini del corpo umano condannati a far muovere questo ridicolo bipede in paletot che addimandasi uomo.

   Innanzi di toccare la fisiologia del pulizza-stivali, parmi che cada in acconcio il dire qualche cosa su i piedi, troppo ingiustamente trascurati in questo mondo di capi sventati. Dimando un poco, chi ha mai pensato al decoro di questi membri del corpo umano? Bel vantaggio invero ha fatto loro la genia de’ calzolai. Stringerli, incepparli, imprigionarli in una pelle ingratissima e dura, feconda di martìri e di calli. Eppure soltanto i piedi mettono gli uomini tutti ad un livello sulla terra. I più ricchi e potenti debbono toccare la terra co’ piedi, come i più poveri. Inutilmente cercano i grandi elevarsi con altissime carrozze, nascondendo i loro piedi sotto serici cuscini: eglino non possono vivere sempre in un cocchio; e nel momento in cui smontano, debbono per forza porsi a livello de’ loro domestici. Evviva la democratica indole de’ piedi!

  Ed il pulizza-stivali ha compreso tutta l’importanza del suo mestiero: egli non si accomuna né co’ grandi, né co’ troppi indigenti; avendo quelli i loro stivali di pelle lucida, ed i secondi non avendo stivali di sorta alcuna. Egli dunque non s’indirizza che semplicemente agli onesti impiegati, a’ professori modesti, agli artisti, a’ commessi, agli studenti e qualche volta ancora a’ mercanti, a’ maestri di bottega ed agli operai.

   Vedetelo; egli conta l’età del Dante quando si trovò nella selva oscura; con la dritta mano tiene la coreggia nera che sostiene la sua cassetta, e nella sinistra la spazzola de’ crini duri. Calzoni di tela di Castellammare a larghi quadrati, una camicia che ha per isparato una fascia di peli neri che gli crescono sul petto, ed un cappello tutto logoro che ricorda tre generazioni, formano tutta la toletta di questo industrioso. [2] Egli è stato all’angolo di un caffè, di cui gli avventori sono quasi tutti suoi abbonati a tre carlini al mese, con mezza paga anticipata; e sta quivi dalle sei del mattino fino alle otto della sera, non lasciando il suo posto che a mezzogiorno, per andare nella più contigua cantina a prendere un piccolo refocillamento. Ordinariamente ogni caffè ha due pulizza-stivali privilegiati; sicchè questi due individui possono dirsi aggiunti allo sfaccendato. Al gazzettiere e allo spione, questi tre esseri che vivono nell’atmosfera vaporosa de’ caffè.

   Quando scocca l’ora del mezzogiorno, uno de’ due compagni pulizza-stivali affida all’altro la sua cassetta, la figlia sua cara, il suo capitale, la sua vita; ed il compagno la pone d’accanto alla propria, come due sorelle. Questo attestato di amicizia e di fiducia è contraccambiato con pari confidenza in altra congiuntura, e cioè quando l’officioso compagno si assenta una mezz’ora per adempire a qualche straordinaria commissione, come per portare una lettera, un’ambasciata, un fardello, od altre simili cose. E qui debbesi avvertire, ad onore di quest’onesto uomo, che egli non s’impaccia mai di sapere se l’individuo a cui è diretta una lettera appartenga al sesso nobile o al bel sesso; soltanto se la commissione è per donna, egli spiega nell’adempimento del suo dovere tale e tanta discrezione ed abilità, che portiamo avviso niuno meglio di lui riuscire in queste delicate faccende.

   Talvolta tra i due pulizza-stivali di un medesimo caffè si stabilisce un’associazione d’interessi; per modo che pongono in comune i loro lucri e dividonseli la sera. Allora stanno essi impalati alle porte del caffè, o seduti sulle loro cassette, senza darsi minimamente l’incomodo di fare udire la loro parola d’ordine, l’eterno pulizzamm pulimm; dappoichè niuno di loro due vorrebbe faticare a profitto del compagno.

   Quando il pulizza-stivali si accinge all’opera, egli s’impadronisce del vostro piede, il pone bellamente sullo zoccolo di legno rialzato della sua cassetta, lo accarezza dapprima e ne toglie il fango o la polvere, lo unge con un poco della sua mistura, e poscia si pone al lavoro dello strofinio. Terminato di pulire un piede, egli dà un colpo di spazzola sulla cassetta, e vi comanda così tacitamente di adagiar sullo zoccolo l’altro piede per procedere ad una somigliante operazione, per compenso della quale riceve il modico e umilissimo prezzo di un grano, lucrato veramente col sudore della fronte. Beati tempi d’una volta, quando al pulizza-stivali non si dava meno di due grana, e quando da tutti portavasi gli stivali a gambe, per la lustratura de’ quali si pagavano almeno cinque grana. Ora nissuno porta più gli stivali a gambe, se togli qualche inglese, il quale d’altra parte ha per sistema di andar sempre con gli stivali sporchi. Non so invero perché di presente il pulizza-stivali non debbasi chiamare pulizza-scarpe.

   Il giorno avventurato del pulizza-stivali è la domenica o qualunque altro giorno festivo. In questo dì egli va in casa de’ suoi abbonati della sola domenica, e poscia messosi al cantone della strada gli piovono addosso avventori a diluvio, chè anche i più guitti e laceri vogliono portare le scarpe lustre. In questo giorno odesi in tutti i vicoli e vicoletti della capitale la sua voce bassa e sonora che va gridando polimm polìpolitore di Parigi.

   Tra gli impieghi che il pulizza-stivali intraprende, oltre al suo mestiero, è quello di andar spacciando biglietti di teatro al tanto per cento. E non credete ch’egli sia del tutto estraneo a’ misteri teatrali; dappoichè quando le ombre della sera cadono sulla terra e sulle scarpe, il nostro uomo non resta ozioso, ma si caccia animoso sulle tavole di un proscenio per figurare da comparsa. Voi lo distinguerete di leggieri in mezzo a’ suoi compagni; dappoichè egli tien per assuefazione gli occhi sempre abbassati su i piedi degli altri; e poi… le sue mani sono là per tradirlo!.. Questo uomo che pone tanta cura per far belli i piedi, ha poi tanta negligenza per le mani. Il pulizza-stivali che non fa da comparsa lava le sue mani due volte all’anno, la pasqua ed il natale.

  Il pulizza-stivali è piuttosto di umor bizzarro ed allegro, come tutti questi industriosi che fanno molti mestieri. Se, mentre che vi lustra le scarpe, voi l’onorate d’una parola, egli non mancherà di narrarvi un fatterello, o troverà a locare un mottetto. Vi sono non però de’ giorni, in cui egli è malinconico, i giorni piovosi. Allora ei fissa tristemente i suoi occhi su i piedi de’ passanti, e sul fango della strada, senza gridare pulimm, chè troppo bene egli sa che la sua opera tornerebbe inutile: lo incontrerete però seduto sotto la volta di un palazzo, con la cassetta innanzi a lui, e sovente il vedrete addormentato. Oh! che cosa saranno mai i sogni di un pulizza-stivali! Come la sua fantasia debbe veder tutto in lucido, o tutto in nero!

   Nel nostro secolo però è sorto un terribile nemico al pulizza-stivali, un nemico che gli dichiara incessantemente aspra guerra, ed il quale egli affronta mai sempre con coraggio e con perseveranza; questo nemico che attenta crudelmente a’ suoi giorni, è la VERNICE. A dispetto degli sforzi riuniti di tutt’i pulizza-stivali per iscreditare questa barbara invenzione, la vernice minaccia l’invasione de’ piedi, come già ha invaso le sale e i magazzini. Né credete che la vernice sia destinata a covrire soltanto le scarpe aristocratiche, perché, al contrario, essa giova mirabilmente a nascondere le ferite delle scarpe di qualche lion in ribasso, o di qualche impiegatuccio a sei ducati al mese. La ricetta è bella e trovata. – Calzate la scarpa ferita, ed applicate sulla crepatura un empiastro di vernice che passi fin sulla calzetta; sfido chiunque ad accorgersi dell’apertura.

   Il nostro secolo può ben dimandarsi secolo inverniciato, né più adatto aggiunto gli potrebbe guari convenire. Tanto è l’orrore che questo nome vernice ha destato nella classe de’ pulizza-stivali; che una sola volta eglino sonosi ricusati a spacciar biglietti di teatro, e ciò è accaduto quando al Teatro Fiorentini si è data la Vernice del signor Duca di Ventignano.

                     FRANCESCO MASTRIANI

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[1] Il primo Pulizza-stivali in Napoli fu un facchino che per aver nel 1866 lustrato gli stivali d’un General francese, ne ricevette in compenso una moneta d’oro. Oggidì la maggior parte di questa gente si compone di ciabattini, che la domenica si danno al mestiero di pulizza-stivali, e di tutti coloro che non hanno voluto e saputo apprendere un’arte qualunque.

[2] Vedi figura 1.

   

                     

                                                                 Figura 1