Il SECOLO DI MILANO DELL’8 GENNAIO 1891

  

   Il telegrafo ci annunzia da Napoli la morte del vecchio romanziero Francesco Mastriani. Era nato a Napoli il 23 novembre 1819. I suoi romanzi non furono forse letti da molti fuori Napoli, ma è certo che pochissimi sono quelli che non hanno mai sentito il nome di Mastriani.

   Intanto che imparava medicina, egli dava opera ad apprendere altresì le lingue straniere, che in seguito dovevano dargli i più larghi mezzi di sussistenza, poiché insegnò per lo spazio di trent’anni, oltre la lingua italiana, la francese, l’inglese, spagnuolo e la tedesca.

   Egli era, da trent’anni, il tipo nazionale dello scrittore di romanzi per appendice: fu lui indubbiamente il creatore d’una industria che poi ha avuto successo altrove, e in Francia ha fatto la fortuna di Ponson du Terrail.

   Francesco Mastriani era un artista: non ne aveva l’ambizione, non glie ne era rimasto il tempo. Una sola volta ebbe come un assalto di velleità letteraria, e fu nel punto più rumoroso della fortuna dello Zola, e quando le teorie rivendute dell’autore dell’Assommoir per farsi della rèclame parevano concludere a questo: il realismo è l’arte di far parlare le serve, le lavandaie, i pizzicagnoli, i ladri con tutte le sudicerie che, chi non li conosce suppone sieno loro proprie.

   Allora Francesco Mastriani – che non è detto abbia un acume critico molto esercitato e profondo – s’inorgoglì e uscì fuori con una bella sparata.

   ‒ Io ho fatto del realismo molto prima dello Zola.

   E da questo punto di vista avea ragione, ma pure da un altro, veramente più elevato e più vero: i Vermi e anche Le Ombre sono dei bei libri seriamente, con questa differenza: che il loro ambiente napolitano era schietto e sincero, e non di maniera, come quello che è venuto di moda poi.

   Il Mastriani è morto in grande miseria dopo aver prodotto un centinaio di romanzi.

   Ora non ne scriveva più che pel Roma: ebbe momenti di popolarità clamorosa.

   Le sue opere più celebri sono: I Misteri di Napoli, I Vermi, Le Ombre, Il mio cadavere, La cieca di Sorrento.

   Quando lo sventramento avrà compiuto nei secoli, l’opera sua civile, il carattere orridamente affascinante del basso Napoli, rivivrà nelle Ombre, nei Vermi, nei Misteri di Napoli. Quella triste storia avrebbe potuto rivivere con maggior incanto d’arte nelle pagine dei giovani venuti dopo; ma questi giovani hanno creduto meglio addormentare il rigoroso ingegno nella tenuità del bozzettino; nel verso aveano incominciato fortemente, e poi anche il verso hanno precipitato nella festicciola arcadica delle canzoni piedigrottesche. E quando si troveranno anni intieri di un solo romanziere, è stata in gran parte la fortuna del giornale, si crederà che quella operosità sarà stata la fortuna del romanziere: mentre invece era la lotta per l’esistenza che spingeva il lavoro febbrilmente farraginoso, e in questo lavoro, mentre singhiozzava l’anima dello scrittore, si era andata affievolendo un ingegno che, nel suo genere, aveva già dato le prove che fanno sorridere l’avvenire.