LA DONNA A 30 ANNI

   Signori, vi confesso la mia debolezza, e non ho rossore di confessarla; giacchè la ipocrisia è un brutto vizio; e l’uomo ci guadagna il cento per cento nel darsi a conoscere tale qual è – anzi faccio un’osservazione, (ma, per carità, rimanga tra noi, è una confidenza che vi fo, e non conviene strombettarla a dritta e a manca) che non rare volte per non dire il più sovente, è meglio mostrarsi più carico di difetti che provvisto di buone qualità. Siamo in un brutto mondo, nel quale bisogna che vi mostriate un tantino più scapato di quello che siete, se volete far fortuna. Dunque, la mia debolezza è che io amo il bel sesso più del sesso nobile, al quale ho l’onore di appartenere. Che ci volete fare? con ciò io non intendo dire che io non ami eziandio gli uomini, miei fratelli; ma questi io vorrei tenere a rispettosa distanza da me, soprattutto se sono padroni di casa o percettori delle tasse, mentre per le donne provo un desiderio tutto opposto. Perdonate se fo questa prefazioncella per dirvi che, tra le donne, quelle in cui trovo maggior poesia e che hanno per me attrazioni invincibili, sono le donne arrivate alla età di trenta anni.

   Si lasci agl’imberbi collegiali il trovar belle le fanciulle di quattordici o quindici anni, per le quali spesso l’amante è preposto alla pupa; si lasci ai poeti scapigliati e malinconici, agli estetici di prima forza, a’romantici più arrabbiati, l’onore di dedicare le loro anacreontiche, i loro pensieri, i loro sospiri, alle vergini di quattro lustri o in quelle vicinanze; che spesso preferiscono un buon villanzone arricchito. Si lasci agli scapoli annoiati, a’leoni già bigi, agli uomini serii, agli sposatori per calcolo, il vantaggio di fare la loro corte alle sode bellezze di venticinque anni, che amano il primo venuto. Per me (e quando parlo di me, intendo parlare di tutti gli uomini di buon senso, (modestia a parte) che sposano i miei gusti); per me dunque non esiste che la donna di trenta anni. Io non comprendo come si possa guardare una donna che non abbia ancora raggiunta questa classica età, il cui vantaggio, il cui incanto, le cui allettatrici qualità fisico-morali sono tali e tante che potrei farne un poema.

   La donna a trent’anni, sia maritata, sia zitella, sia vedova, è giunta a quel punto di fina civetteria che forma il più seducente talismano nella società civile. Una donna che non abbia una gentile e dilicata civetteria, governata dalla educazione, dal buon gusto e dall’uso del mondo, è un fiore senza profumi. E la donna non può giungere alla perfezione di quest’arte se non tocca la classica trentina. Le giovanette a 18 anni sanno di essere belle, sanno di essere corteggiate, e non si danno il minimo fastidio di far valere le brillanti qualità fisico-morali, di che la natura e l’educazione le hanno arricchite. O troppe superbette e sdegnose, o troppo amorose, o troppo civettuole, o troppo diffidenti, o troppo fredde, o troppo vane, le donne a vent’anni hanno sempre qualche virtù o qualche difetto di troppo, che guasta un poco la sintassi dell’amore. Ma a trent’anni la donna ha appunto, né più né meno, quelle virtù e quei difetti che le sono necessarii per piacere ed essere amata. A trent’anni la donna sa ispirare quelle grandi e nobili passioni, che si elevano sugli stemperati amoretti da salotto. Ella stessa sente profondamente l’amore senza sdolcinarlo in un ridicolo sentimentalismo che spesso l’uccide. A trent’anni la donna che ha ricevuto una buona educazione ha un gusto squisito e delicato, uno spirito sobrio e vivace, una intelligenza pronta e sottile. Vi confesso che preferisco la conversazione di una donna a trent’anni a quella di un uomo, per quanto dotto si voglia. Infine, tra gli altri innumerevoli vantaggi che la donna possiede a questa magnifica età, è quello della superiorità che acquista al cospetto dello innamorato, che pel consueto diventa uno sciocco innanzi a lei.

   O donne mie, che mi leggete, se non avete ancora 30 anni, affrettatevi ad arrivarci, e mi nominerete; se avete varcato il sesto lustro, per carità, rimanete intransitive, e fate che il trentesimo anno duri almeno dieci anni. Ma non dovete neanche disperarvi giunte che siete a quarant’anni. Tutto non è finito ancora per voi a 40 anni, siccome vi dimostrerò in altro apposito articolo se, ne avrò voglia.

                                                                                   FRANCESCO MASTRIANI