LA SERA DELLA VIGILIA

   Signori, aspettate un momento.

   Prima di mettervi a tavola lunedì sera, pigliatevi in mano questo giornale, e leggete questo articolo; giacchè, se lo leggeste dopo cena, non ne comprendereste nulla. Dopo la cena della Vigilia di Natale, sfido il più sublime ingegno di questo mondo a capire un fuscello di qualsivoglia cosa: scommetto che a stento arrivereste a distinguere le lettere.

   Dunque, mie care donnine, che dopo dimani sera sarete più belle del solito, prendetelo, il giornale, nelle vostre gentili manine; e, se i zerbinotti che vi circondano ve ne lasciano l’agio, udite le mie quattro chiacchiere, che, a somiglianza dell’acqua fredda prima del pasto, vi faranno acquistare appetito.

   Oh l’appetito! Ecco la sola cosa che lunedì sera si desidera da tutti i buoni partenopei, senza eccezione veruna, di qua e di là del faro, dal Tronto a Capo Passero. Non ci è alcuno che lunedì sera non invidii la fame del Conte Ugolino… colla mensa in prospettiva. Ogni persona ragionevole dell’uno e dell’altro sesso, al suonar delle 24 ore, gitta un’occhiata nel suo ventricolo, e ne scandaglia il vuoto, la profondità, la forza e l’elasticità, come un generale che, innanzi del cominciar della battaglia, passa in rivista le sue schiere, e ne calcola l’energia, lo slancio, il valore.

   Lunedì sera sparisce per incanto la povertà; spariscono le afflizioni, le grandi e le piccole miserie. Qualche cosa circola per l’aere che infonde la gioia ne’cuori. Da banda, per una sera almeno, gli odii, le inimicizie, i rancori; è giorno di pace, di contentezza, di giocondità. Facciamo un brindisi all’amor della famiglia, alla carità universale, alla fraterna uguaglianza degli uomini, come il Cristo la volle; alla pace della virtù; beviamo un bicchiere di più alla salute degli uomini dabbene, ed anche un bicchierino alla salute di quelli che ci hanno fatto del male; il nostro cuore sarà più lieto, più vera e più pura la nostra gioia, più legittima la nostra allegria.

   Pava, pava – Addio, o diletti miei zampognari, che io vi amo tanto, e la cui commovente musica preferisco a quella del Verdi che non mi ha mai commosso. Addio, o ingenui campagnuoli, che richiamate ogni anno i nostri pensieri alla semplicità degli antichi costumi, e ne fate ricordare della care gioie della nostra fanciullezza; salve, salve, salve, come dice la felice memoria del poeta Malpica. A rivederci l’anno venturo – Pava, pava.

   Che belli truone! Che belle botte! Questa volta non sentiremo questa voce natalizia. Che disgrazie pe’nostri valorosi artiglieri in berretto di cotone! Essi non possono dare fuoco… alla fiaschella, al folgore, alla botta, al cannoncino; e fare risuonare l’aere di questi colpi innocenti, che annunziavano la pace sulla terra, e che, invece di uccidere, faceano vivere… i truonari. A calcolo fatto, la polvere che si consumava la notte di Natale in su tutto il territorio e casali superava in quantità quella che si consumò a Wagram e a Solferino. Che belle botte! Che belli truone!

   Capitune vive a 36 rana! È auta robba chesta! Ecco un’altra voce che ci risuona all’orecchio. L’eroe della giornata, il re della festa, il capitone coronato d’allori siederà maestoso su tutte le mense; e, a differenza di tutti gli altri dominatori, il suo impero incomincia dopo la sua morte. o classico capitone, io credo che tu agogni di andarti a far friggere. Vivo, tu sei stazzonato e maltrattato dalle ruvide mani d’un pescivendolo; morto, ti aspetta l’alloro; ed in questo il tuo destino è simile a quello della maggior parte dei grandi uomini che hanno illustrato un secolo. Non ci è che dire! Gli uomini sono sempre gli stessi verso i benefattori dell’umanità!

   Se questo fosse il tempo di occuparsi di statistica e di cifre (sebbene in tutti i fatti della vita, non esclusa la morte, ci entrino le cifre) vorrei pigliarmi la briga di esaminare a un dipresso quel che si consuma nella sera della Vigilia; ma facendo, all’ingrosso, un calcolo approssimativo, abbiamo che, ammesso che l’uno per l’altro ciascuno dei 600,000 abitanti di Napoli mangi e beva quella sera per tre lire di roba, i Napolitani mandano giù nei loro stomachi il 24 dicembre la incredibile somma di un milione e 800,000 lire. Due milioni all’incirca lunedì sera sono fritti, arrostiti, cotti in lesso, in umido, conditi all’aceto, alla salsa. E il domani, dove sono i due milioni? Ahimè! Non ci posso pensare!

    Ma non ci affliggiamo per questo. Si sa che tutto passa in questo mondo e, trattandosi d’una cena di Natale, guai se non passasse! Allegri dunque; lasciamo nelle fodere de’cappelli i pensieri melanconici, e non imitiamo i poeti che quanto più mangiano tanto più piangono. Piangeremo domani, doman l’altro, alla fine dell’anno, al 4 gennaio, quando ci piacerà; ma per questa sera permettete ch’io ricordi una strofetta d’un mio brindisi:

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Tutti ci seccano

Coll’avvenire;

E ci ripetono

 Dobbiam morire!

La cosa è certa

Che stiamo all’erta!

 

LA VIGILIA DI NATALE

   A proposito del Natale, ci piace di qui riportare dall’opera pubblicata dal Signor de Bourcard col titolo Usi e Costumi di Napoli il seguente brano di un nostro lungo articolo sul Natale: [1]

                              FRANCESCO MASTRIANI

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[1]  La vigilia di Natale, è una parte del lungo articolo Il Natale in Napoli, pubblicato anche in questo sito in due categorie «Bibliografia – scritti giornalistici» e «Teatro e Giornalismo – biografia degli scritti giornalistici, parte prima».