REVIVAL DI MASTRIANI

   L’interesse per l’autore dei «Misteri di Napoli», molto apprezzato dal Croce ma ignorato da diversi critici moderni, non è casuale: dipende dal fatto che la conoscenza dei costumi e della psicologia del popolo è diventata oggi preminente sui valori strettamente formali. Il «feuilleton» non è considerato un sotto-genere.

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   Del revival in corso del romanzo d’appendice (o feuilleton, come si dice per riferimento alla sua origine giornalistica) si sono indicate cause diverse: l’accesso alla lettura di strati e categorie sociali che per l’innanzi ne erano rimasti esclusi; l’assunzione delle mitologie popolari un livello culturale mai toccato prima; l’accresciuto interesse per i problemi sociologici, e in particolare di costume, che avrebbe determinato un tipo di lettura piuttosto indifferente (ch’è quando dire indulgente) al giudizio di valore; la consonanza delle vicende dei protagonisti con la domanda di giustizia sociale particolarmente viva nel lettore odierno; l’avvento di nuove metodologie critiche di ordine strutturale-semiologico.

   Si è sottolineata la coincidenza con la tecnica narrativa del fumetto e del film western. Si è indicata nel romanzo d’appendice una forma di rottura di neo-avanguardia, o, al contrario, di involuzione, di regresso. Si è parlato di impegno di lotta di classe, di «socialismo gotico» (Antonio Palermo), ovvero di qualunquismo, di polivalenza e disponibilità intesa ad accaparrare i lettori d’ogni strato sociale. Né è mancato chi (Walter Mauro) ci ha visto null’altro che una forma di evasione, una sorta di moderna arcadia, un «grado zero di ideologia». Per Gramsci costituiva una sorta di surrogato a quel «moderno umanesimo» che la cultura laica aveva mancato di elaborare.

   E se si trattasse solo di quel gusto puro e semplice del narrare, di quell’inventare favole e intrecciare vicende che fu dote essenziale degli scrittori in prosa o in verso (si pensi al Boccaccio, ad Ariosto) e nel romanzo odierno risulta quasi sempre soffocato dalla problematicità, dalla tesi? Non certo a caso si è parlato anche al ritorno dell’intreccio (AA. VV. Cent’anni dopo: il ritorno dell’intreccio, Milano 1971). [1]

   Ma è pur vero che come genero di consumo il romanzo d’appendice non ha mai cessato di esistere. Il senso vero del’attuale revival non sta tanto nell’aumentata circolazione (si sa che una forte richiesta venne, negli anni precedenti la grande crisi del petrolio, da parte degli emigrati che vi trovavano un legame con la madrepatria; ma è probabile che la tendenza sia ormai invertita), quando nel fatto che per la prima volta esso sale dal piano della paraletteratura a quello della letteratura, l’interesse per l’autore prevale su quello per il protagonista e alla sua presentazione concorre la critica ufficiale, anche con nomi di rilievo, promuovendo – con le prime edizioni non di stretto consumo, ‒ le prime sistemazioni storico-critiche e le prime ricostruzioni d’assieme: Il romanzo d’appendice di Angela Bianchini, ERI, 1969; Il romanzo d’appendice: aspetti della narrativa popolare nei secoli XIX e XX di Giuseppe Zaccaria (Paravia, 1977); e infine questo volume di Massimo Romano, Mitologia romantica e letteratura popolare: struttura e sociologia del romanzo d’appendice (Longo, Ravenna, 1977) che rappresenta l’ultima parola sull’argomento, la più larga e più sicura fonte d’informazione (anche per le indicazioni bibliografiche) e il primo vero approfondimento critico di quelle istanze sociali delle quali s’era sempre parlato in maniera piuttosto empirica e casuale.

   Che presso di noi il boom sia scoppiato per influenza francese, basta a confermarlo un semplice riscontro di date. Nel 1965 escono due edizioni dei Misteri di Parigi di Eugène Sue: l’una a Milano con una significativa prefazione di Umberto Eco su E. Sue, il socialismo e la consolazione; l’altra a Firenze con una prefazione di Enrico Ghidetti su E. Sue e il romanzo sociale in Italia.

   Non passa un anno ed ecco uscire, nel 1966, due edizioni del Misteri di Napoli di Francesco Mastriani: l’una a Roma, l’altra a Firenze a cura di Giorgio Luti seguite distanza di sei anni da un’altra a cura di Innamorati edita da Vallecchi. E proprio a proposito di Mastriani si ricorderà che Francesco Torraca ebbe a dire che i suoi lazzaroni e camorristi «somigliano così poco ai lazzaroni e camorristi veri di Abbasso Porto e tanto agli eroi dei Mystères de Paris».

   Misteri è parola tipica del romanzo d’appendice, una di quelle parole di forte valore evocativo sulle quali tendono a polarizzarsi i titoli: I misteri di Londra di Feval (1844); I misteri di Livorno di C. M. (1853); I misteri di Firenze di Lorenzini (già l’autore di Pinocchio); I misteri di Milano di Sauli (1857); I misteri di Roma (1861) e I misteri della vita intima dei Borboni (1860-1862) entrambi anonimi; I misteri di Genova di Barrili (1867) e infine I misteri di Napoli di Mastriani (1869-1870) che Romano non esita a definir «il più riuscito modello di feuilleton italiano».

   Last, but not the least, proprio Mastriani sembra essere il maggior beneficiario del boom. Ricordato appena nell’Ottocento di Mazzoni «non per valore, ma per la voga che lungamente seppe dare ad alcuni suoi romanzi»; menzionato da Petronio tra gli autori di «romanzi di basso e infimo livello»; ignorato dal contemporaneo De Sanctis e dalle moderne storie letterarie (Asor Rosa, Contini, Montano, Sansone, Sapegno ecc.); rilegato dallo stesso Palermo – al quale pure si debbono le più significative pagine sulla cultura napoletana di quel tempo – Nel vestibolo della letteratura («non riesce né a entrare nella letteratura né a restarne ancora proficuamente fuori»), egli vive oggi la sua piccola giornata di gloria. Il «narratore più autenticamente popolare della letteratura italiana», «più autentico di Sue» lo definisce Romano. Del resto sarà stato che Napoli – dallo stesso Mastriani definita «città sotterranea… adatta alle tenebrosa gesta degli uomini del vizio e del delitto» ‒ costituisce davvero «l’ambiente ideale del feuilleton italiano», la «tipica città del romanzo d’appendice»; sarà stata la stessa condizione sociale del Mastriani (era impiegato alla dogana: come Kafka, ricorda la Bianchini auspicando uno studio «su come le dogane abbiano influenzato gli artisti»), il suo ruolo di padre di famiglia oberato di lavoro e di debiti. Certo è che nel suo genere una sorta di primato gli fu sempre riconosciuta. Ma si trattava pur sempre di un genere a carattere regionale, anche quando il successo tendeva a porsi in ambito nazionale. Significativo il giudizio di Benedetto Croce: «C’era… allora in Napoli un romanziere d’appendici, che non è solo importante per la conoscenza dei costumi e della psicologia del popolo e della piccola borghesia partenopea, ma rimane il più notabile romanziere del genere che l’Italia abbia dato».

   La differenza sta nel fatto che quella conoscenza dei costumi e della assiologia del popolo è diventata oggi preminente sui valori strettamente formali e quel «genere» non è più considerato un sotto-genere.

                                                    GIOACCHINO PAPARELLI

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[1] Autori Vari. Umberto Eco, Cesare Sughi (Nota di Rosario Mastriani)

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   GIOACCHINO PAPARELLI (Sessa Aurunca 1914-Cava de’ Tirreni 2000). È stato un critico letterario e insegnante italiano. Conseguita la maturità classica, si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli con la tesi «I limiti teoretici del romanticismo italiano». Dal 1937 insegnò sia negli istituti magistrali che nei licei classici. Nel 1949 conseguì la libera docenza in letteratura italiana, e dal 1950 al 1982, ha avuto diversi incarichi di docenza presso alcune università italiane (Salerno e Napoli), e ha avuto anche degli incarichi a Buenos Aires e Bogotà. È stato anche collaboratore del quotidiano di Napoli «Il Mattino».