UNA RICONCILIAZIONE

   La signora Carolina di A… ricca gentildonna francese aveva conosciuto giovinetta un uomo che ai modi più belli e al viso più attraente accoppiava i più sbrigliati costumi, cui sapeva il ribaldo covrire con la maschera dell’ipocrisia. La fanciulla fu presa d’amore per questo signorotto, il quale, a vederlo o a sentirlo, avresti giurato che mai l’ombra di un fallo non avea contaminato; ed egli seppe dirle di quelle parole velate dal forte sentire, di quelle espressioni, vere calamite del cuore, seppe talmente insinuarsi nell’animo di lei, che a capo di pochi mesi questi due furono sposi, e da tutti si credè che non mai coppia di coniugi fosse stata sotto la luna più di quella avventurata. Oh la fallacia degli umani giudizi! Dopo un mese di matrimonio, il marito avea posto allo scoverto i dissoluti vizi ond’era preda, e le vergognose assuefazioni della sua vita da celibe. La sua casa diventò un ricettacolo di mala gente, di giovani giuocatori, di cavalieri d’industria, che da mane a sera facevano un baccano, un’orgia da far fuggire anche una marmotta. Povera Carolina! La miserella piangea i suoi giorni di pace e d’innocenza, quando all’ombra della madre scorrer facea le spensierate e placide ore. Non v’era più rimedio! Il male era fatto, il nodo era indissolubile, e quella pillola amara doveva trangugiarsi ogni giorno. Un marito o una moglie cattiva sono come i debiti, una volta contratti, vi affliggono per tutta la vita. Il cielo provvide alla pace della povera Carolina; dappoichè lo sciagurato del marito dopo un anno si divise da lei per menare una vita più pazza e più libera, ciò fece il birba poi che avea dissipato tutti i beni a quella tapina, e nulla più gli restava a carpirle. Carolina per molti anni visse in una provincia facendo l’istitutrice delle ragazze. La vita sistemata, la solitudine, e la fama delle sue virtù non che del suo ingegno le ottennero tosto un gran numero di allieve, e le procurarono una modesta fortuna. Il pensiero del marito veniva di tempo in tempo a turbare la pace di quell’anima, ma era questo un nugoletto che subitamente venia dileguato dalle rettitudine della coscienza, e dall’intima gioia che procurano la bontà e l’innocenza del cuore. un giorno Carolina stavasene soletta nelle sue stanze; era l’ora della ricreazione delle fanciulle le quali, tutte raggruzzolate in un giardinetto, sollazzavansi quivi con giuochi innocenti. Un uomo si presenta dinanzi all’istitutrice, un uomo lacero, sparuto, infelice, era nientedimeno che suo marito! La giovine resta pietrificata, ma tosto colui le si getta alle ginocchia, implorando il perdono di lei, e narrandole orribili ed angosciose vicende, le giura che se ella vuol degnarsi di novellamente convivere con lui, in avvenire niun motivo di dispiacere le darà, che anzi avrebbe fatto ogni maggiore sua possa per rendersi meritevole della stima ed affetto della moglie; oltre a ciò le fece credere come si sarebbe volenteroso indotto ad abbracciare una professione, un impiego, o un mestiere, e come vivuti avrebbero nella più perfetta pace ed armonia. Carolina finalmente lo abbracciò, e dimenticando tutti gli oltraggi che costui fatti le avea lo stabilì in casa da quel momento, tutta contenta di essersi unita di nuovo ad un uomo che prometteva essere il più virtuoso del mondo. Cosa strana! Quando l’indomani Carolina si levò, suo marito era scomparso, e con lui era sparito quanto di prezioso serbavasi dalla economica signora istitutrice. Valga questo esempio a tener cauti coloro che per qualsivoglia vincolo sono legate a persone di pravo e corrotto naturale.

                      FRANCESCO MASTRIANI