Uno spaccato della Napoli borbonica

   Carmela, uno dei più tardi romanzi di Mastriani non essendo mai stato raccolto in volume, è rimasto a lungo sconosciuto al vasto pubblico. A tale mancanza pone oggi rimedio la Guida-Editori che ha deciso di pubblicare alcuni inediti dello scrittore napoletano. Il romanzo narra una storia avvincente che si fa leggere tutta d’un fiato grazie ai frequenti colpi di scena che la animano, i quali tuttavia, si allontanano dai collaudati meccanismi narrativi dell’autore (quali agnizioni e spie lessicali) che, nelle opere precedenti, mettevano sull’avviso il lettore dandogli la soddisfazione di intuire, e ben prima dei personaggi, inganni, tradimenti, trame occulte e false identità.

   Il finale di Carmela, invece, giunge inaspettato. Negli ultimi capitoli del romanzo il ritmo diventa più incalzante e l’epilogo, imprevisto, coglie di sorpresa persino gli abituali lettori di Mastriani.

   Non bisogna credere, tuttavia, che in Carmela non si ritrovino i tratti tipici del narratore che siamo soliti conoscere. L’eterno dramma delle passioni umane, infatti, è al centro anche di questo romanzo, che induce in noi lettori moderni sentimenti di compassione e di indignazione per la sorte dei due sventurati protagonisti, Carmela ed il suo giovane innamorato Salvatore.

   Nei giudizi morali ritroviamo pertanto il Mastriani di sempre, pronto a denunciare soprusi e abusi di autorità ai danni dei più deboli. Così non possiamo non indignarci con l’autore di fronte ai lascivi allettamenti di un soprastante della fabbrica di tabacchi dove lavora Carmela o di un ispettore di polizia, a cui la giovane si rivolge fiduciosa per avere notizie del fidanzato, e che pensa invece di approfittare della situazione per ottenere in cambio i favori della ragazza, vendicandosi poi del suo rifiuto.

   In particolare, lo scrittore esprime la propria condanna verso le malefatte della polizia borbonica negli anni seguiti «alle effimere libertà del 1848» e indugia sull’ assoluta arbitrarietà dei provvedimenti restrittivi della libertà nei confronti di dissidenti politici o di semplici poveri diavoli, incarcerati a seguito della denuncia di un «tristo qualunque», animato dal desiderio di «sbarazzarsi di qualcuno, sia per vendetta, sia per odio, sia per altro intento». Perciò in quel tempo – avverte Mastriani – a chiunque poteva accadere di essere tradotto nelle carceri della Vicaria o di Santa Maria Apparente a seguito di una delazione infondata, come appunto accade al povero Salvatore.

   Il pesante clima dell’epoca – «Napoli era sotto l’incubo del terrorismo politico», nota Mastriani – è reso tanto più fedelmente quanto più vengono inseriti all’interno del romanzo personaggi reali, protagonisti di quella stagione di repressione, come il temutissimo direttore di polizia Gaetano Peccheneda che «governava Napoli con l’incubo del terrore», morto nel 1852, anno in cui è ambientato l’inizio della vicenda.

   L’attenta ricostruzione storica che fa da sfondo alle vicende narrate caratterizza dunque questo romanzo in cui troviamo quell’intento documentaristico che connota la narrativa di Mastriani e la trasforma in una vera e propria miniera di informazioni su istituzioni, usi e costumi napoletani di cui l’autore ha una conoscenza diretta. Costituisce una testimonianza d’epoca, ad esempio, anche la stessa esistenza della fabbrica dove lavora Carmela nella sede dell’antico convento di S.Pietro Martire. La circostanza è documentata: a partire dal decennio francese, quando il monastero venne soppresso, fino al 1961, quando il complesso venne destinato alla Facoltà di Lettere dell’Università “Federico II”, l’edificio venne effettivamente adibito a manifattura di tabacchi.

   Altro ingrediente fondamentale di questo come di altri romanzi di Mastriani è l’ambientazione nell’amata Napoli, percorsa in lungo e in largo nei suoi vicoli e nelle sue vie principali, nelle strade del popolo come in quelle del passeggio dei signori. Con la consueta disinvoltura lo scrittore si muove tra strade, caffè, taverne ed alberghi di cui viene puntualmente  ricordato il nome – vico delle Zite – vico San Nicola a Nilo, via de’Tribunali, vico lungo Teatro Nuovo, strada di Chiaia, strada Nardones – solo per citarne alcuni, e poi la locanda Aquila Bianca in via S.Tommaso, il Caffè d’Europa, il Caffè sotto palazzo Buono (che avrebbe ospitato nel Novecento i famosi magazzini La Rinascente), il Caffè de Angelis a Toledo, tutti luoghi realmente esistiti, che immergono il lettore nel tessuto vivo della Napoli dell’ultimo decennio borbonico. E del resto, è proprio presso uno di questi locali, il caffè Aceniello a Porta San Gennaro, che il Mastriani sedeva fino a tarda ora prendendo appunti dalla sua fertile e inesauribile fantasia.

   Sono anni, quelli in cui è ambientato il romanzo, che hanno un sapore antico per lo stesso Mastriani che, in più d’un occasione, marca la distanza tra questo passato e il tempo in cui vive.

   Per quanto in misura minore rispetto ad altri romanzi, anche qui Mastriani non rinuncia alla sua vocazione pedagogica, istruendo i suoi lettori più sprovveduti. In un altro passo del romanzo vengono, ad esempio, decantati da Giorgio i vari formati di pasta prodotti dalla sua fabbrica (foratini, vermicelli, nastrini, fischetti, cannelloni, lengue di passero, maltagliati, stelline, grandini, strisce), posta in quella zona ai piedi del Vesuvio che negli anni preunitari deteneva ancora, per le caratteristiche del suo territorio che consentiva una perfetta asciugatura naturale, il monopolio della produzione della pasta.

   In altri luoghi del romanzo vengono ricordati i giornali (a cui lo scrittore non avrebbe mai smesso di collaborare in tutta la sua vita), dall’organo della reazione, «L’Ordine», a quelli invisi alla polizia borbonica (l’«Indipendente», compilato da Pironti e Trinchera, la «Libertà Italiana», la «Costituzione»).

   In questa sorta di enciclopedia della contemporaneità non manca nemmeno il riferimento ai locali più accorsati o ai capi di abbigliamento più in voga al tempo. Così troviamo, citati per ordine sparso, i cappellini di madama Boiler, gli half-boots (stivaletti) indossati da un vecchio alla moda, insieme alle dentiere di d’Anglement ed agli abiti sartoriali Plassenell.

   Tutta questa messe di informazioni, tuttavia, non distoglie l’attenzione del lettore dalla vicenda principale e non appesantisce la narrazione bensì l’arricchisce, le dona il sapore del tempo e ricrea il contesto reale in cui si muovono i personaggi nati dalla penna di Mastriani, ognuno dei quali – anche i minori – è compiutamente tratteggiato.

   Più interessanti di tutti è sicuramente la protagonista, Carmela, che si allontana dallo stereotipo della “bella perseguitata”, rassegnata alla sua umile condizione e alle sventure a cui la sorte l’ha destinata. Ella si mostra consapevole di sé e determinata a perseguire i propri obiettivi da cui viene, anche se solo temporaneamente, distolta dall’inganno ordito ai suoi danni e dalle parole del confessore.

   La bellezza non è l’unica qualità di questa ragazza e nemmeno la più importante. La sua eccezionale abilità nel lavoro di sigaraia le consente di ribellarsi ad ogni forma di sopruso senza tema di subire dal direttore della manifattura l’odioso ricatto del licenziamento. Del resto, Carmela è perfettamente consapevole che il lavoro non debba essere pagato con la sottomissione al padrone ma si riscatti per la sua stessa natura:

  «Se il governo mi dà pane, io ne lo ricambio con le mie fatiche, e i conti pareggiano. Chi dà pane all’operaia, non si deve credere in diritto d’insultarla ed oltraggiarla».

   Moderna è anche la concezione di una donna che può sottrarsi alla necessità di un matrimonio non gradito se può sostenersi con il proprio lavoro.

   Per questo e tanti altri aspetti, Carmela rappresenta un romanzo più aperto ai nuovi tempi, che testimonia un importante mutamento anche nella prospettiva dello scrittore. Se, infatti, in molti dei suoi romanzi precedenti i puri di cuore trovano un senso alla loro sofferenza e un riparo alle ingiustizie subìte rifugiandosi sotto l’ala protettrice di Dio, in Carmela la fede non impedisce all’autore di trovare un ristabilimento della giustizia anche sulla terra.

   Ben venga dunque la pubblicazione di questo nuovo, verrebbe da dire, romanzo, del popolare scrittore, godibile nel suo intreccio, e interessante anche ai fini della conoscenza dell’ultima produzione di Mastriani. Auspichiamo che, grazie alla generosità degli eredi Emilio e Rosario, custodi di un patrimonio di carte dell’ antenato, oltre al presente romanzo Carmela, possano essere pubblicati anche gli altri inediti per la gioia dei vari lettori e studiosi del romanziere.

                                                                                             

                                                                                              LOREDANA PALMA