IL LION NAPOLITANO

   L’avete mai veduto? Credo di sì, perché esso non istà chiuso ne’cancelli d’un giardino di delizie, ma passeggia verso le ore pomeridiane per Toledo, o cavalca un racer al tramonto del sole sul marciapiede della Villa Reale, pranza al Caffè d’Europa, ed abita, durante l’inverno, alla Riviera di Chiaja, ed in altre stagioni a Portici o a Castellammare.

   È uomo alto della persona, di età incerta e indeclinabile, dal viso per lo più coperto da un bosco di peli, cui egli suol pettinare a rovescio, dagli occhi languidi per lunghe veglie e lunghi amori. Porta pel mattino un bastone patent six pence ricurvo (il cui manico è nell’anello del guinzaglio d’un grosso cane inglese di pura razza pointer) una cravatta à grands carreaux, una redingote chevalière, un gilet alla Bonaparte, i calzoni senza staffe, e le grosse scarpe a guètres. Per la sera in società egl’indossa una giamberga nera tagliata all’inglese del medio evo, la cravatta bianca, ed il claque foderato di raso bianco. Questi abbigliamenti d’altra parte sono variabilissimi, dappoiché il lion non è schiavo di nessuna moda od abitudine; egli dà la norma e le leggi del vestire; egli crea i costumes più stravaganti e originali, e potrebbe giustamente chiamarsi la figurina ambulante del Follet, la quale se per gli altri èlègans è d’una importanza altissima, per il lion è un oggetto affatto inutile.

   Voi incontrate il nostro lion ne’luoghi di sopra cennati e immancabilmente alle Corse al Campo sull’imperiale del mail-coach o delle stage-coach, dove ordinariamente egli suol fare colazione, in abito alla jockey’s club cioè calzone corto di cachemire bianco, grosses botles e la tromba ad armacollo. Ne’teatri però il vedrete far la sua rapida comparsa, o piuttosto udrete la sua voce altisonante  in tutt’i palchi  di buona società, dov’egli si aggira  e svolazza come in un salon.

   Egli cammina sempre col capo alto e dondolante coiffè da Paolucci, e su cui siede un piccolo cappello water-proof, o una piccola paglia à la matelot; ha continuamente la destra nella tasca di dietro, lasciando scoperta la fibbia indorata del sottoposto pantalone; fuma sempre grossi sigari d’Avana; saluta con qualcuna di queste parole: bona sera per buona (notate che nell’alfabeto leonino non vi è l’u) mio caro Cavaliere, Conte, Marchese, Duca, ecc. ed accompagna questi titoli con un sorriso a fior di labbra, con tanta sufficienza da mostrare ch’egli è confratello della beata classe de’nobili.

   Quando il nostro lion parla, bisogna che tutti prestino un attentissimo orecchio alle sue parole italo-anglo-galle presso a poco come questo articolo. Voi il vedete appena muovere le labbra innostrate, quasi temesse di far scappare a terra qualcuna delle perle ond’egli regala i suoi uditori. Il dizionario, la grammatica, lo stile sono tutti suoi, e si vergognerebbe d’andare a spigolare la Crusca o il Puoti che sanno del rancido e del pedante. I suoi discorsi vertono sempre sovra un soggetto, mode, teatri, feste, corse di cavalli, galanterie, ed altri simili puff. Gl’intrighi di gallerie, le amicizie equivoche, gli amori aristocratici, gli odî di famiglie, le piccole miserie de’grandi, tutta questa commedia sociale, il nostro uomo la conosce a menadito, dappoiché egli si trova in tutte le case che hanno un PARLEZ AU PORTIER, e solo in questo caso circola la high-life, il bon-ton, il beatum otium, il comfortable.

   Per il lion un uomo ruinato per debiti è semplicemente un uomo compromesso, una donna perduta di reputazione non è altro che una donna alla moda, una infedeltà in amore vien da lui detta una colpa del cuore; e finalmente la vera passione (cosa rara) è un penchant bourgeois, un capriccio di cattivo genere.

   Il lion non ama come ama tutto il resto delle creature bipedi e quadrupedi; egli non si affanna, non sospira, non si fa pallido, rosso o verde, non lacera fazzoletti in qualche momento di pessimo umore, non versa lagrime amare sulle infedeltà della sua bella, non palpita d’ansia e d’amore quando giunge l’ora del ritrovo; queste son cose da donnicciuole o da poeti, ma si addicono a chi porta un di innanzi al cognome. Il lion ama una lionne, o un’amazzone che non abbia meno di trent’anni, che sia appaltata a S. Carlo e al teatro francese. Non credete però che questi due amanti ne’loro ritrovi spendano un tempo così dolce a narrarsi a vicenda le mille cose pensare dette o fatte nel corso del giorno, o a scambiarsi mille parole di tenerezza, mille sguardi di amore, niente di tutto ciò; la conversazione si aggira su i bottoni brillanti che alla festa del Conte B… portava il marchese C…, sulle nuove suppellettili di Boule comprate dalla Baronessa R… Qualche volta il discorso cade sovra soggetti un po’più importanti, come a mò di esempio, duelli, partite di caccia, soirèes, balli, whist, reversi, ed altri simiglianti giochetti.

   Il lion vede le cose con l’occhio superiore dell’uomo posto in cima alla ruota sociale, e però egli non adopera mai la lente a mò de’dandies, de’fashionables, e di tutta la famiglia d’bontomisti, che il lion guarda con compassione come quelli che non hanno saputo infrangere le catene  d’una compassata ètiquette. Il disprezzo è la più grande delle sue passioni, come la noia la più cara delle sue abitudini. Il lion non si ammoglia perché le cure del mènage non convengono all’ozio solenne della sua vita, e la sua anima fiera abborre da ogni legame. Il lion Napolitano parla diverse lingue, fuori che l’italiana, non pranza mai in casa, non dorme mai di notte, gioca per lo più con carte bancali o a parola, e tra le molte brillanti avventure accadutegli ne’suoi viaggi, ha fatto una decina di duelli (senza mai uccidere né essere ucciso perché il lion non è soggetto alle debolezze umane).

   È indispensabile che in ogni brigata, in ogni assembramento, in ogni ballo  o soirèe vi sia almeno uno di questi uomini superiori che danno l’anima alle feste, la spensieratezza ai conviti, l’eleganza alle cose più basse e triviali.

   Non a tutti però è dato l’essere lion; la natura lo forma, come l’arte forma l’uomo tigre, ci vuol genio per esserlo, forse più genio di quello che bisogna per divenire un grand’uomo o un grande artista. Io per esempio che ho scritto questo articolo, che ho studiato il lion con tutta la volontà di appararne l’indole, i costumi, le proprietà, io che forse un giorno potrò avere 2000 franchi di rendita al mese, di cavalli inglesi pur sang, e di belle cantanti per innamorate, io che per mia sventura parlo in tutte le ore del giorno francese e inglese, che giro in ogni sera  una società o un rout, io non potrò mai essere lion perché la natura oltre di avermi fatto di bassa statura, mi ha negato il genio di un lion.

                                                                       FRANCESCO  MASTRIANI