LA METAMORFOSI DEL TRAGICO IN FRANCESCO MASTRIANI

 

 INTRODUZIONE

    Questo contributo si propone di dimostrare l’esistenza di un codice linguistico relativamente stabile, tragico per l’appunto, entro la fluviale produzione – e non solo quella ascrivibile al genere tragico propriamente detto del «più notabile romanziere d’appendice che l’Italia abbia mai avuto»: [1] Francesco Mastriani. [2] Tenteremo di mostrare, seguendo il filo della prosa letteraria di colui che fu il maggiore scrittore nazional-popolare dell’Ottocento, il processo di riconversione della tragedia in “tragico”: non più genere letterario, dunque, ma modo; «qualità non più distintiva di un unico genere, bensì dotata di esistenza nomade»; [3] strumento programmaticamente scelto e confezionato in funzione del fine catartico che lo scrittore napoletano aveva attribuito ai due generi letterari ritenuti educativi per eccellenza, il romanzo e la tragedia. [4] Nella prospettiva pedagogica di Mastriani, scrittore “popolare” e “per il popolo”, le due forme testuali sono perfettamente sovrapponibili; stabile risulta dunque il codice prescelto quale veicolo funzionale alla divulgazione presso un ampio pubblico delle proprie concezioni ideologiche: profondamente cristiane, [5] dapprima conservatrici in fase borbonica e successivamente conformi a un socialismo cristiano, [6] in un credo condensato nella triade di Dio, famiglia, nazione.

   Nel corso dell’Ottocento (e oltre), il romanziere aveva riscosso un consenso grandissimo, di pubblico, se non di critica, condividendo un destino comune a molti dei cosiddetti “forzati o martiri della penna”: autori di un genere, va detto subito, convenzionalmente ma erroneamente ritenuto secondario, e per il quale l’attenzione riservata dai letterati fu inversamente proporzionale al successo popolare, per quanto di portata nazionale, ottenuto.[7] E fu questa pure la sorte toccata a La cieca di Sorrento – uno dei primi del neonato genere dell’appendice italiana [8] – che, pubblicato a puntate su L’Omnibus politico-letterario napoletano [9] di Vincenzo Torelli,[10] conobbe una fortuna editoriale considerevole, ben presto consacrata dalla sua riduzione a espressione proverbiale di ampia diffusione [11] e dal successo europeo, garantito dalla fioritura di traduzioni in tedesco (1857), [12] in ceco (1861) [13] e in spagnolo (1891).[14]

   […] Il contributo analizza due romanzi e altrettante tragedie ottocentesche di Francesco Mastriani, che fu definito da Benedetto Croce il più famoso scrittore d’appendice italiano. Nei due differenti generi, romanzo e tragedia, Mastriani adopera in realtà un identico strumento retorico-linguistico: si tratta appunto del repertorio tipico del codice tragico, codificato da Vittorio Alfieri. In Mastriani si attua così un processo di riconversione della tragedia in “tragico” . L’analisi linguistica parte da La cieca di Sorrento (1851), un testo che possiede già una struttura teatrale e tragica, e dal romanzo Nerone in Napoli (1875), da cui lo scrittore trarrà l’omonima tragedia nel 1877, fino al dramma in prosa Valentina (1878), che è riduzione teatrale del romanzo I vermi (1863).

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[1] BENEDETTO CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, «La Critica, Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia», VII (1909), pp. 325-351, p. 417

[2] Per quanto a tratti romanzata, si veda la biografia dello scrittore offerta dal figlio Filippo, che ne sottolinea il profilo non comune, forte dei valori della vita e della famiglia: cfr. FILIPPO MASTRIANI, Cenni sulla vita e sugli scritti di Francesco Mastriani, Napoli, Tipografia Gargiulo, 1891 (edita in più riprese, in appendice a Francesco Mastriani, Le ombre, Lavoro e miseria, vol. II, Napoli, Torre, 1992, pp. 723-884, da cui si cita; e da ultimo CRISTIANA ANNA ADDESSO, EMILIO MASTRIANI, ROSARIO MASTRIANI, Che somma sventura è nascere a Napoli!, Roma, Aracne, 2012, pp. 127-270). Cenni utili anche in JESSIE WHITE MARIO, La miseria in Napoli, Firenze, Le Monnier, 1877, p. 156, e in FEDERIGO VERDINOIS, Profili letterari napoletani, Napoli, Morano, 1882, pp. 71-76 (poi in Profili letterari e giornalistici, Firenze, La monne, 1949, pp. 191-202); per una ricostruzione complessiva, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, consultabile on line al sito http://www.treccani.it/biografie. Nato a Napoli il 23 novembre 1819 in una famiglia borghese, da Filippo e Teresa Cava, terzo di sette figli, vorace lettore di classici stranieri (tra i quali Rousseau, Balzac, Chateaubriant, Shakespeare, Dickens), che poteva leggere direttamente in lingua grazie alla conoscenza, in parte da autodidatta, di francese, inglese, spagnolo e tedesco, Francesco Mastriani inizia nel 1836 la sua collaborazione giornalistica, rappresenta nel 1840 il suo primo dramma, Vito Bergamaschi, e pubblica nel 1848 il suo primo romanzo, Sotto altro cielo, che però, «venuto alla luce nel burrascoso 1848, fu appena noto a pochissimi», poiché lo scrittore, avendolo scritto “con liberi sensi”, fu costretto a «seppellirne le copie per paura della polizia del Peccheneda» (FRANCESCO MASTRIANI, Prefazione a Sotto altro cielo, Napoli, Salvati, 1892, p. 5; in effetti, la prima edizione è introvabile; sono reperibili in OPAC solo pochissimi esemplari delle edizioni napoletane di Gargiulo [1863], Lubrano e palmieri [1881] e, appunto, Salvati, pubblicata postuma). Mastriani conoscerà il successo solo nel 1851, con La cieca di Sorrento. La sua vena compositiva, inarrestabile, non gli varrà però una vita agiata; vivrà in condizioni economiche perennemente precarie fino alla morte, sopraggiunta la notte del 5 gennaio 1891.

[3] Cfr. CRISTINA SAVETTIERI, Tragedia, tragico e romanzo nel modernismo, «Allegoria», XXIII (2011), 63, pp. 45-65, p.47.

[4] Così difatti egli scriveva, quasi a suggello del suo esordio come autore teatrale e come romanziere: «Gli autori di teatro sono legislatori di pubblica morale. A loro è affidata la sacra missione di correggere i costumi e la morale di un paese» (FRANCESO MASTRIANI, Fisiologie artistiche. L’autore drammatico, «Il Sibilo», I, 43, 13.06.1844); e ancora «È innegabile che uno dei mezzi letterari più atti a spargere semi di buona e di cattiva morale in pressoché tutte le classi di una civil società è il romanzo» (Id., Il romanzo, «Omnibus», XX, 82, 15.10.1852). Sulle colonne dello stesso periodico, a partire dal marzo 1851, lo scrittore aveva pubblicato a puntate anche La cieca di Sorrento e Il mio cadavere; l’articolo assume dunque un evidente scopo programmatico.

[5] Così scrive Mastriani nelle sue ultime volontà: «Cercai sempre nelle numerose mie opere di propugnare la Religione, la Verità, la Giustizia, la carità, la Morale di Cristo Signore» (Fil. Mastriani, Cenni…, cit., p.845).

[6] Cfr. la bibliografia raccolta in NADIA CIAMPAGLIA, La cieca di Sorrento e la scrittura narrativa di Francesco Mastriani: primi sondaggi linguistici, «Linguistica e letteratura», XXXVII (2012), 1-2, pp. 183-267, p. 191, n. 2.

[7] Per la ricchissima bibliografia relativa al romanzo popolare e per la collocazione di Mastriani nel romanzo d’appendice, cfr. ivi, p. 190, n. 2 e p. 191, n. 4.

[8] Fu preceduto difatti unicamente da L’ebreo di Verona del Bresciani dato alle stampe nel 1850: cfr. EMILIANO PICCHIORRI, La lingua dei romanzi di Antonio Bresciani, Roma, Aracne, 2008.

[9] Il giornale, fondato a Napoli nel 1833, iniziò le proprie pubblicazioni dapprima con intenti esclusivamente letterari per poi aprirsi, a partire dal 1851, anche a questioni di natura politica; sarà pubblicato fino al 1887.

[10] Cfr LOREDANA PALMA, Vincenzo Torelli. Il padre del giornalismo napoletano, in Giornalismo letterario a Napoli tra Otto e Novecento, Studi offerti ad Antonio Palermo, a cura di Pasquale Sabbatino, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2006, pp. 25-182.

[11] Nel linguaggio popolare, infatti, così è definita comunemente una persona che vede poco o che non può (o non vuole) vedere l’evidente: cfr. MASSIMO CASTOLDI e UGO SALVI, Parole per ricordare, Bologna, Zanichelli, 2003, p. 93.

[12] Die Blinde von Sorrent, ed. Wurzen, Comptoir, 1857.

[13] Slepà ze Sorenta. Romàn od Francesco Mastrianiho; dle vlasskèho zcestil Jan Ales Subert, Praze, Jan Alès Subert, 1861.

[14] La ciega de Sorrento, versiòn espanola de F. Luis Obiols, Barcelona, Maucci, 1903.

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    NADIA CIAMPAGLIA (Napoli, 1969), dottore di ricerca in Filologia Romanza e Linguistica (IX ciclo, 1998) e in Scienze Umanistiche / Teoria dei Linguaggi (XXIV ciclo, 2013), è abilitata alle funzioni di professore associato in L-FIL-LET 12. Docente di ruolo di materie letterarie e latino nei licei dal 2000, è stata docente a contratto di Glottologia e di Linguistica Italiana (2000-2003) e di Glottodidattica e Linguistica Italiana (Roma, Lumsa, 2013-2016). Attualmente è assegnista di ricerca.

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