AI NAPOLITANI

a proposito delle novelle elezioni

.

   Diceva il sommo Washington che la maturità di un popolo a libertà si misura dall’orgoglio ch’esso trae da’suoi dritti elettorali e dalla premura che pone nello esercizio di questi dritti. In Inghilterra è chiamata electoral fever (febbre elettorale) quell’ardenza di che è preso ogni elettore nello adempimento di questo sacro dovere di cittadino. Ed ecco perché di tutt’i popoli europei il popolo inglese è meglio educato al godimento delle politiche libertà.

   Avvicinandosi l’epoca delle novelle elezioni politiche, noi diremo a’nostri concittadini due franche parole, che, se non avranno il merito della novità, avranno almeno quello della opportunità e della chiarezza.

   Vi ricordate, o concittadini, quello che noi eravamo prima del 1860? Noi abitatori di queste belle province napoletane di qua e di là dal Faro eravamo non altro che dodici milioni di servi abbietti di un fanciullo che si dicea nostro augusto padrone. E come tale ei poteva comandarci a bacchetta; potea disporre de’nostri beni, de’nostri figli, della nostra vita, sotto alcuni speciosi pretesti, a cui egli dava il nome di leggi. Da servi abbietti noi divenimmo liberi cittadini, da sudditi pecorini, noi divenimmo legislatori. Ma, a guisa di quell’uomo di cui parla la favola, il quale, carco d’un sacco pieno d’oro, per sua porzione d’un tesoro rinvenuto, pregò il vicino che il volesse alleggerire di quel peso, noi ci siamo spensieratamente, per dir così, scaricati della nostra porzione di tesoro, abbiamo cioè lasciato ad altri la cura di scegliere i nostri governanti.

   Le moltitudini ignave delle province napoletane, avvezze a borbottar sempre contro i loro governanti, difetto proprio de’valletti da sala che sparlano de’loro padroni con la stessa facilità onde strisciano dinanzi ad essi, non fanno che seguitare l’antico lor costume di maledire al mal governo, addebitando al re, a’ministri, a’municipii, il malessere di che son travagliate, come se oggi durasse ancora l’assoluta podestà di un padrone, che, forte nel suo preteso dritto divino, riguardava i suoi sudditi come gente nata soltanto alla cieca obbedienza.  

   Noi diremo francamente a’nostri concittadini che, se le cose, invece di prosperare come avevamo nudrito speranza, camminano a sghembo; se siamo vittime d’una cattiva amministrazione; se leggi assurde ci colpiscono più direttamente e ledono più da vicino i nostri vitali interessi; se tante famiglie sono messe alla disperazione per vedersi tolti i mezzi di vita; se le lettere e le arti non sono incoraggiate più di quello che erano in tempi più barbari; se infine tanti mali ci travagliano e ci gittano in un malessere deplorabile, non ad altri dobbiamo farne colpa che a noi stessi. Basta avere la più meschina nozione del sistema rappresentativo e del meccanismo del governo nazionale per comprendere che l’accidia della maggioranza nell’esercizio del dritto elettorale produce i mali di cui ragioniamo. Imperciocchè, essendo la Camera de’Deputati il primo corpo legislativo dello Stato, ne conseguita che, dove i componenti di essa non sono i veri rappresentanti della nazione ma piuttosto i mandatarii o complici di un partito qualunque, che usufruì della passività degli elettori per imporre loro nomi scelti per particolari vedute, non può dal seno di questa camera emergere il bene della nazione.

   Noi siamo sicuri che la maggior parte de’nomi che hanno finoggi rappresentato altrettante nullità su i seggi parlamentarii spariranno per sempre dalla scena politica, dando luogo ad altri che meglio sappiano rispondere ai bisogni della nazione.

   Non vi lasciate imporre da quelle liste di nomi che i fogli governativi non trascurano di propagare, e che sono altrettante insidie tese alla vostra buona fede e alla vostra confidenza. Interrogate soltanto il vostro criterio e la pubblica opinione nella scelta dei deputati, e mandate al parlamento uomini onesti, intelligenti e liberali. Ma con questa aggiunta di liberali non intendiamo accennare a quelli che si dissero martiri, ma che invece ci fecero martiri. Talleyrand, oracolo in fatto di politica, diceva che gli uomini che han fatto una rivoluzione non debbono essere scelti a governare il nuovo ordine di cose, cui generò la rivoluzione. Che l’Italia nutra sensi di gratitudine per quelli che cooperarono a riscattarle dalla tirannide è ben giusto; ma la gratitudine de’popoli è debito della storia e non dell’erario. Uomini onesti intendiamo quelli che sappiano conservare la indipendenza delle loro opinioni in faccia alle lusinghe del potere, e che alle fuggevoli doti che procaccia una sterile eloquenza sappiano anteporre la soddisfazione che nasce dallo adempimento del proprio dovere. Per uomini onesti intendiamo quelli che non si mettono codardamente e senza esame al rimorchio della maggioranza, e che comprendono quanta responsabilità pesa sulle loro coscienze, da quel giorno che una parte della nazione affidava loro i suoi più vitali interessi.

   Invitiamo la stampa periodica politica ad additare al pubblico biasimo i nomi di quegli elettori che, senza legittimi e giustificati impedimenti, non si presentino a’rispettivi collegi elettorali, trascurando l’esercizio di un diritto, che pure è OBBLIGO SACRO di ogni buon cittadino. Invitiamo i Vice-Sindaci di ciascuna Sezione di pubblicare in apposite liste i nomi di tutti questi zoofiti indegni di appartenere alla nostra nazione. E finalmente proponiamo a’Capi di Amministrazione la destituzione di tutti quelli tra i loro subalterni che, senza legittime cagioni, si astengano di accorrere all’urna elettorale.

                                                                                        FRANCESCO MASTRIANI