CRONACA DELLA SETTIMANA. 30 GIUGNO 1867

   Riceviamo da privata corrispondenza da Parigi la notizia che il dramma Il Corriere di Lione sta facendo colà la fortuna del teatro La Gaîtè. Il teatro è assediato ogni sera da una folla immensa. Fino al 26 di questo mese, il numero di rappresentazioni di questo dramma passava il centinaio.

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    La partenza dello Czar e del re di Prussia non ha ancora colmato il movimento del mondo ufficiale a Parigi, e già si preparano nuove feste in Corte per l’arrivo del Sultano e della regina di Spagna. Si raccontano cose favolose intorno al dono che il Sultano presenterà all’imperatrice. Si dice che il dono consiste in un ornamento non mai veduto, rappresentante un paesetto intero in oro ed in ismalto, i cui ruscelli sono di diamanti ed i chioschi di rubini e smeraldi – Un banchiere straniero, la cui figlia è maritata a Parigi, ha scritto cose talmente straordinarie a proposito di siffatta offerta imperiale, che, se solo la metà di questi sogni si verificasse, non si sarebbe mai veduto a Parigi un oggetto che possa aver paragoni. E notate pure che non si tratta che della liberalità del Sultano, giacchè egli vuole presentare alla regina Vittoria un dono dello stesso genere; ma non se n’è ancora decisa la forma. Si può benissimo dire ch’egli reca a Parigi lo splendore dell’Oriente.

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   Il divoto pellegrinaggio per Roma degli abitanti della provincia di Napoli e forestieri qui dimoranti prende colossali proporzioni. Il numero de’passaporti e de’fogli di via rilasciati fino al dì’26 giugno ascendeva alla cifra di 87,093.

   La superstizione dà il suo tributo di pellegrini forse più che la curiosità – Ci vien detto che un signore, il quale per organica malattia non ha potuto finora confezionare un figlio colla sua fresca e leggiadra moglie, si rechi a Roma per tentare, la mercé della papale benedizione, di conseguire un momento di genio prolifico. Ci si dice eziandio che una signora vada a visitare la città santa per liberarsi dalle scrofole. Pare che la benedizione di Mastai Ferretti sia tenuta in conto di panacea universale.

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   Dobbiamo una sincera lode al vice-Sindaco della Sezione Avvocata, signor cav. Gabriele Torino, per aver aperta nella detta Sezione una Scuola Domenicale per gli operai, nella quale possono questi apprendere diverse discipline. Un tributo di lode è anche dovuto agli egregi professori signore de Pamphisli, Vizioli e Antonio Pasquale, i quali con vero amor patrio si sono offerti a prestare gratuitamente l’opera loro.

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   Ritorniamo a rivolgere le nostre lagnanze a chi tocca per lo stato deplorabile in cui si trovano la strada di Capodimonte e il Corso Vittorio Emanuele, dove la polvere affoga i passeggieri. Come pure ricordiamo all’egregio vice-Sindaco della Sezione Avvocata le macerie che ingombrano il fondo Avellino alla salita Tarsia, che può essere nido di ladri la notte. Ed in fatti qualche furto già vi si è commesso. Parimente raccomandiamo che s’illumini un po’meglio la via Paradiso alla Salute, dove i fanali (ancora ad olio) sono situati a rispettosa distanza.

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   Il sig. Francesco Zappalà, di cui abbiamo pubblicato in questo periodico parecchi stornelli e sciarade, darà alla luce tra breve un suo romanzo col titolo Un figlio della sventura. Leggeremo con piacere questo primo parto letterario del nostro giovine concittadino.

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   Non sappiamo come finora siasi tollerato dagli abitanti della strada addimandata Rua Catalana il perpetuo e assordante rumore che quivi fanno i calderai. Ci è proprio da avere una cefalalgia soltanto a transitare per quella via. Sarebbe tempo che quella bolgia di Dante si trasferisse in un sito meno abitato e men frequentato.

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   I Romani fanno circolare in città il presente epigramma per cui si vede come sono ben visti i codini che arrivano nella città eterna.

A mille arrivano dai regni estrani

Quei che cospirano pel temporale,

Se è ver che il cholera li tien lontani,

Deh! venga il cholera ch’è manco male.

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   Giovedì mattina, alle 8 meno un quarto, una salva della batteria del porto annunziava l’entrata di S. M. I. nel nostro golfo con le varie squadre che gli facevano scorta.

   In pochissimo tempo una folla considerevole rasi recata sulla riva di Santa Lucia e su tutti i punti donde si domina la rada; e certamente lo spettacolo che si aveva sotto gli occhi ne valeva davvero la pena.

   Il cielo era magnifico, il mare splendido. Il superbo yacht imperiale s’avanzava avente all’albero maestro la ricca bandiera turca, adorna di mezze lune di oro. Dietro ad esso, a pochi nodi di distanza seguivano su due linee parallele due altri vascelli turchi, tre fregate italiane e un fregata francese. Quei sette grandi navigli si pavesarono in un attimo e risposero tutti nello stesso tempo al saluto del porto con salve che ripetevano gli echi del Vesuvio e delle montagne di Castellammare.

   Di colpo l’occhio, col nostro splendido sole del mattino, non era soltanto magico, era pure uno spettacolo maestoso; erano tutte le armonie e della natura e della civiltà riunite e sfolgoranti insieme.

   Non appena la nave imperiale ha gettato l’ancora, S. E. Rustem-bey, ministro di Turchia presso il re d’Italia, e il sig. Arturo Garavini, console di Turchia a Napoli, sono saliti a bordo, e sono stati immediatamente ricevuti da S. E. Fuad-pascià, ministro degli affari esteri della Porta ottomana, il quale li ha presentati a S. M. I.

   Qualche istante dopo è giunto a bordo il generale Savoiroux, aiutante in campo del re, inviato, siccome abbiamo già detto, da S. M. per ricevere il Sultano e recargli le reali felicitazioni. L’onorevole generale ha letto, in nome del re, un discorso scritto al quale S. M. I. ha, giusta l’etichetta della corte di Costantinopoli, fatto rispondere dal suo ministro Fuad-pascià, che ha espresso le più vive simpatie per la famiglia reale e per l’Italia.

   Sono stati in seguito ricevuti il senatore prefetto Gualtiero, accompagnato dai consiglieri di prefettura; i generalo Dorando e di Pomaretto, e il comandante superiore generale Carrano, coi loro rispettivi stati maggiore; poi finalmente l’ammiraglio Ribotty coi comandanti delle navi, sotto ai suoi ordini.

   Il figlio dell’imperatore, giovinetto a 9 anni che viaggia col suo augusto genitore, durante il ricevimento è rimasto sul yacht, ed ha salutato le autorità senza scambiare con esse veruna parola.

   Alle 9 e un quarto, terminato il ricevimento, S. E. Rustem-bey e il console di Turchia hanno preso commiato dal Sultano e sono scesi a terra, con dispacci di mandare a Parigi e a Costantinopoli. Una nuova salva dell’yacht imperiale ha annunziato la partenza della flottiglia, e, di fatto, dopo poco, la magnifica nave, sola nel mezzo della rada, colla sua ricca bandiera all’albero maestro e in poppa, si dirigeva maestosamente verso l’alto mare; tutte le altre navi si disponevano a seguirla nello stesso ordine in cui erano giunte, e quando sì avvicinarono alla punta di Posillipo, la batteria del porto ha fatto loro sentire per addio un’altra salva.

   Questa festa improvvisata non ha avuto che un solo difetto; cioè di essere stata troppo breve. Il naviglio della compagnia dei vapori per Procida e Ischia, che era stato allestito per condurre le autorità con una banda musicale e che era ancorato e pavesato a Santa Lucia, non ha potuto avere nemmeno il tempo di riscaldare la macchina, e s’è trovato sostituito da centinaia di barchette d’ogni forma e d’ogni dimensione, di cui in un batter d’occhio s’è coperta letteralmente la rada. Il nostro golfo non avea veduto mai un simile movimento né uno spettacolo così maestoso dopo la festa data al re nelle nostre acque dalla flotta francese.

                                         (Dall’Indipendente)

                                                                                                               FRANCESCO MASTRIANI