IL ROMANZO STORICO DI FRANCESCO MASTRIANI

 

   La lettura è uno de’ piaceri dello spirito, de’ quali l’uomo può godere sino alla morte: purissimo e nobile piacere, che solleva lo spirito e lo arricchisce di tante svariate cognizioni ed il fortifica sempre più. Lo spirito è sempre giovane. Quando il corpo è inclinato sotto il pondo degli anni; quando il capo è tutto imbiancato dalle nevi della vecchiezza, lo spirito s’inebbria ancora di amore e di giovanili passioni.

   Dinanzi allo spirito, immagine di Dio, il tempo sparisce sotto la forma di quella immensa e felice facoltà che dicesi memoria.

                                                                              I Misteri di Napoli, vol. II, 514.

.

   Così, con ostentata partecipazione emotiva, Francesco Mastriani connotava nell’incipit di uno degli intrecci che si svolgono all’interno dei Misteri di Napoli, i caratteri distintivi della propria intentio comunicativa: il piacere/bisogno della lettura e l’importanza della memoria, in particolare la memoria letteraria, che annoda e compatta i fili che muovono i numerosi protagonisti del romanzo. Tali finalità diegetiche, veicolate da un’espressività incisiva, unitamente alle capacità affabulatorie dello scrittore, si rivelano adeguate all’interno di denunciare le insoddisfazioni prodotte dall’unificazione nazionale, o di creare atmosfere orride e sentimentali. Con queste modalità narrative e stilistiche si catturava l’attenzione e l’interesse dei lettori napoletani, fedelissimi alla scrittura di Mastriani. La produzione letteraria di questo romanziere, considerato uno dei maggiori esponenti della letteratura popolare del secondo Ottocento, si estende in un cinquantennio di quasi ininterrotta attività letteraria, e si incentra su tematiche legate alla realtà storica e sociale e in particolare piccolo-borghese della Napoli del XIX secolo. Il successo di Mastriani si fondava comunque sulla capacità dell’autore di costruire le sue storie su sentimenti semplici, come l’amore, la vendetta, il perdono, sulla tendenza a inserire nel racconto una morale sul senso della vita, e infine sul fatto di scrivere per un pubblico composito, rappresentato dalla media borghesia e dalle classi popolari. Difficile etichettare e catalogare il vasto repertorio delle opere di questo autore poligrafo e poliedrico, data la nota rigida definizione di generi e forme della storia letteraria. Tuttavia accanto a testi narrativi più eclettici, si possono senz’altro individuare due filoni principali: il gotico tradizionale o fantastico e il gotico sanguinario. Oltre ai romanzi pubblicati in appendice e in volume, la sua appassionata attività di narratore si esplicava in varie tipologie di generi: racconti, elzeviri, articoli di cronaca e di costume, romanzi a sfondo storico e di carattere umoristico, opere teatrali. In particolare gli articoli pubblicati da Mastriani su giornali – mass media cartacei che contribuivano al processo di democratizzazione della cultura – fotografavano la situazione storico-culturale coeva e riflettevano le esigenze di informazione e di intrattenimento del lettore postunitario. Inoltre il tramonto del romanzo storico nell’Italia unita favoriva la diffusione del romanzo popolare che, nel caso di Mastriani, se da una parte rappresentava le problematiche sociali dei ceti inferiori, dall’altra, come sottolineava già allora Matilde Serao, riusciva a suscitare nei lettori già allora una forte reazione emotiva.

   L’identificazione del pubblico popolare con un immaginario diviso in buoni e cattivi con logica manichea consentiva l’inserimento di personaggi mastraneschi nel repertorio dei cantastorie, equiparandoli così agli antichi eroi e cavalieri, in cui il popolo napoletano poteva riconoscersi. In questo modo il pubblico non si configurava solo come fruitore dell’opera, ma condizionava con i suoi gusti e le sue preferenze nella lettura le scelte dell’autore. Si instaurava in questo modo una sorta di patto tra autore e lettore che mirava alla creazione di un prodotto rispondente alle attese e che caratterizzava non solo l’opera di Mastriani ma la letteratura di consumo tout court.

   Uno degli aspetti che ha incuriosito nel tempo gli studiosi di Mastriani è stato sicuramente il linguaggio, oscillante tra retorica, aulicismo e colore locale. Questo contributo si propone di valutare l’esistenza, all’interno de I Misteri di Napoli, di un plurocodice stilistico, che non può spiegarsi solo con l’appartenenza epocale di Mastriani alla scuola di Basilio Puoti, né può con l’assodata fluidità dell’uso linguistico-letterario ottocentesco, ma va attribuito al bilanciamento tra quell’ apparenza e l’intento di caratterizzazione espressiva degli ambienti rappresentati.

Il lavoro di Mariella Giuliano continua con altri due paragrafi:

   2 – Il CORPUS: «UNA TRILOGIA SOCIALISTA»

   3 – ANALISI LINGUISTICA

   E con:

   4. CONCLUSIONI

   Dai sondaggi qui effettuati emerge nella lingua de I Misteri di Napoli un registro pluricodice che si assesta su un doppio binario comunicativo: il primo è ancorato al monolinguismo dello scrittore nel solco della tradizione letteraria, il secondo tenta invece di riprodurre la scioltezza del parlato attraverso inserti colloquiali, dialettali e idiomatici. Tale canone discorsivo rispondeva alle esigenze della letteratura popolare, destinata non solo al lettore di massa, per favorirne tra l’altro l’acculturazione linguistica, ma anche al pubblico più raffinato e colto. Inoltre l’innesto dell’espressività dialettale nell’italiano libresco rispondeva adeguatamente all’esigenza dei narratori realisti, che aspiravano alla verisimiglianza della comunicazione legata a contesti diastraticamente medio-bassi. Sicuramente in questo romanzo la componente stilistica dominante appare lo stile “melodrammatico”, enfatico, strappalacrime, in cui espressioni colloquiali (freddare, bazzicare, canagliume) si giustappongono ad arcaismi (agguagliare, maraviglioso, servidorame). Tale convivenza rimanda alla lingua del melodramma, in particolare quello romantico. Si trattava infatti di uno stile sospeso tra il codice tragico e iperletterario da una parte e quello informale e realistico dall’altra, con stralci di conversazione quotidiana.

   Simili modalità di scrittura, che dal romanzo storico transitano a quello realista, assecondavano l’ideologia romantica nell’intento di popolarizzare valori e istanze sociali e risorgimentali.

   La patina arcaizzante si estende anche al settore fonetico con il dileguo della labiodentale (avea) a quello morfosintattico con l’enclisi (dicesi, diconsi), che è uno dei tratti più rappresentativi della librettistica ottocentesca. Sul piano strettamente retorico il costante ricorso all’anafora, all’iperbolato, e a tricolon disposti in climax, soprattutto in contesti di elevata drammaticità, rispondeva all’esigenza di assecondare i gusti del pubblico del romanzo d’appendice, abituato ad uno stile enfatico. Tuttavia le esigenze di una prosa più naturale e vicina alla colloquialità della lingua viva ricorrono nei toscanismi lessicali (cioncare, picciuolo) e nelle espressioni idiomatiche (ridursi in camicia, bestemmiare come un Turco) che attingono alla tradizione popolareggiante del genere comico di Burchiello e alla lingua d’uso coeva. Sul piano dell’efficacia comunicativa agisce innanzitutto la componente diatopica, distribuita tra gergo ed espressioni dialettali soprattutto nei dialoghi tra i malavitosi. All’esigenza di riprodurre il colore locale si aggiungeva poi l’esigenza pragmatica di richiamare l’attenzione del lettore, per costringerlo a riflettere sul degrado morale e sociale rappresentato sulla scena narrativa dell’autore, che così svolgeva un preciso mandato sociale e culturale.

   In definitiva la cifra stilistica dei Misteri di Napoli sembra una sorta di «italiano letterario regionale» ante litteram in cui, ammiccando all’imminente verismo, convivono, giustapposte, forme letterarie e forme regionali con un’escursività di moduli espressivi che mostrano, nella maggior parte dei casi, l’intenzionale sfruttamento stilistico della propria competenza dialettale da parte dell’autore.

                                                                               MARIELLA GIULIANO

.

   MARIELLA GIULIANO ha conseguito il dottorato di ricerca in Filologia Moderna nell’Università di Catania, nell’anno accademico 2009-2010 con la tesi Il «romanzo popolare italiano». Tra editoria cartacea e narrativa.  La stessa tesi è stata pubblicata in volume con il titolo Il «romanzo popolare italiano». Dal narrato allo sceneggiato. Attualmente collabora nell’Università degli Studi di Catania nel Dipartimento di Filologia Moderna.