IL PORTO COMMERCIALE

   In uno de’passati numeri di questa effemeride accennammo ad una voce che correva nel paese, dalla più parte dei giornali confermata, vale a dire della cessazione della Stazione Militare marittima in Napoli e della soppressione de’diversi Arsenali e Cantieri nelle province meridionali, nello intento di formarsi una Stazione centrale a Venezia.

   Così fatta nuova ci fece allora rimpiangere la sorte di tanti operai che sarebbero stati colpiti da questo mal avvisato provvedimento; e facemmo voti nell’animo nostro che la trista nuova non si fosse verificata, o almeno che questo proponimento del nostro Governo si fosse differito a tempi, se non più opportuni (dacché mai non è opportuno il demolire senza bisogno), meno travagliati da ogni maniera di afflizioni e di angustie. I sacrificii di ogni sorta, cui, più che altra popolazione d’Italia, volenterosi i Napolitani con esemplare annegazione hanno abbracciato per amore della unità nazionale e per aborrimento del cessato ordine di cose, si dovrebbero tenere in considerazione da quelli che seggono negli alti consigli governativi; e non si vorrebbe con aggravi maggiori toglier loro ogni mezzo di vantaggiarsi nella materiale prosperità, che è pure uno de’precipui oggetti per cui si commuovono i popoli a novelli ordini politici.

   Però che ci sembra che le voci della mentovata soppressione del Porto Militare piglino sempre più consistenza e minaccino di diventare una trista verità, vogliamo sommariamente ricordare quali immensi danni risentirebbe il paese da così fatto improvvido consiglio.

   E, innanzi tutto, si dice che una delle ragioni per cui piaccia al governo di spiantare la nostra Stazione navale militare sia quella di un certo panico in cui è entrato e pel quale si aduggia di ogni men che lieve assembramento di operai, di giornalieri, di manovali e di ogni altro ceto di gente di bassa mano. Ora, se egli è vero, al che non aggiustiamo fede, che il Governo abbia di somiglianti apprensioni, sarebbe propriamente il caso di dire che non ci è peggior consigliere che la paura. Ma no: noi abbiamo riferita questa ragione, perché in verità non sapremmo trovare altra nella nostra mente per capacitarci de’motivi che potrebbero indurre i nostri governanti a dare un passi di tanta gravezza. Ma se pure il timor panico, di cui parliamo, fosse uno de’motivi per cui il porto militare venisse a correre la sorte di tante altre nostre istituzioni e opificii, sarebbe il caso di un chirurgo che desse una mazzata in testa all’ammalato e l’uccidesse addirittura per non farlo lamentare o gridare per gli spasimi ch’ei soffre. Amministrate benediremmo in tal caso a’nostri governanti – e non abbiate paura degli assembramenti; date da vivere al popolo e questo vi amerà.

   Toccando di presente per sommi capi a’gravi danni che il nostro paese risentirebbe per questa soppressione del Porto militare, abbiamo a porre dapprima le perdite che il commercio soffrirebbe per le cessate forniture di ogni sorta, non pure degli oggetti da servire alla navigazione, ma eziandio di quelli che servono ad alimentare la marina militare; forniture per le quali vive una tanta parte di minuti commercianti, di commessi, ec. Oltre a ciò, la nostra marina commerciale, che tanto si avvantaggia de’legni della marina militare per tutto ciò che si domanda il materiale di fuori durata, verrebbe a perdere la comodità di avere a modico prezzo gli attrezzi necessari alla sua navigazione, come catene, barche, stoppe, cordami, ferramenti ed altro.

   Nota è l’abilità de’Napolitani per ogni arte imitativa, e specialmente per quelle che richiedono fattura delle mani. Basta che l’operaio napolitano vegga una volta sola un congegno qualunque, una macchina, un istrumento avvegna che fosse della più difficile fattura, tosto te lo imita a perfezione, se pure talvolta non supera lo stesso originale. Gli operai napolitani sono ricercati in tutt’i paesi civili; e, se l’amore del patrio suolo non li rendesse poco solleciti di cercar fortuna sotto altro cielo, li vedremmo volenterosi postergare una terra sterile e ingrata. Gli operai napolitani si sono perfezionati in ogni maniera di lavori servibili alla marina militare. Lo sciopero in cui cadrebbero, per l’abolizione della Stazione militare, farebbe loro perdere la bella abitudine alle opere di mastrodascia e ferreria navale; senza toccare del pane che verrebbe a mancar loro; ed è noto quanto la miseria abbatta gli animi, svigorisca le braccia e le menti, e faccia indietreggiare in ogni arte o mestiero.

   Vogliamo notare che gli opificii industriali, tra cui le ferrerie, verrebbero a mancare di quel vasto alimento che lor porge la navigazione militare; e per conseguenza mancherebbe l’occasione ai nostri opificii di levarsi a quell’altezza di fama in cui oggi sono venuti, e specialmente i cantieri di Castellammare, che possono competere co’migliori di Francia e d’Inghilterra.

   E tutti questi sacrifici a che pro, a quale scopo? Per aversi un porto commerciale, ci si risponde: Benchè profani nelle tecniche ragioni addotte dagli uomini dell’arte sulla sconvenienza del sito per un porto che abbia i necessari requisiti per la importanza di un porto mercantile, pur nondimeno ci sembra evidente che un porto commerciale non consiste già in un recinto adatto semplicemente a ricoverare i bastimenti mercantili, ma sibbene in un vasto insieme, che, oltre del perimetro dell’acqua, sia corredato tutto all’intorno e in ogni punto di larghe piazze, di vari siti di accesso, di edifici e fondaci attagliati alle pratiche commerciali, per le merci d’importazione e di esportazione, e per sostanze proibite e accensibili, e di altre moltissime attinenze. Imperciocchè il commercio riceve alimento più da queste favorevoli circostanze locali che dello stesso porto.

   Alle ragioni già tanto fatte palesi per via della stampa su gli sconci che risulterebbero da un porto mercantile così rappezzato secondo i desiderii di pochi, aggiungiamo che un tal porto non presenterebbe accessi da nessuna parte; imperocchè chiunque conosce la città di Napoli ed ha occhi per vedere, scorge che il porto militare attuale, la Darsena e gli altri edificii attigui sono circondati da alture, e quindi ogni adito del porto è chiuso, non restandogli che quella unica viuzza per la quale si entra per la parte del Molo e che è detta Via lunga dello Arsenale; in controsenso di quanto è richiesto pe’porti di commercio, i quali sono tanto più preferibili quanto maggiori accessi posseggono.

   Prenda in considerazione le esposte cose il nostro Parlamento nazionale e soprattutto i nostri deputati meridionali; e ci risparmino almeno quest’altra soppressione tra le tante che ci hanno colpiti e spremuti fino alla cute.

                                                               FRANCESCO MASTRIANI