IL PRANZO

     Perciocché in tutta questa settimana non si pensa che ad un buon pranzo, imprendo a scrivere su questo subbietto così importante.

   Il pranzo distingue l’uomo dalla bestia; dappoichè questa non ha ora fissa per mangiare, ed il suo pasto non è scelto, preparato e condito. L’uomo è regolato da’cuochi, l’animale dalla natura; l’uomo paga i trattori per mangiare, la bestia ha l’uomo per trattore e paga con la fatica; finalmente quello che maggiormente onora l’uomo e lo distingue in grado eminentissimo dall’animale, si è che egli ha creato il ragoùt, il beefstek, il roastbeef, e tante altre saporosissime maniere di apparecchiare le vivande.

  Il pranzo è il fondamento dell’umana società. Quando Adamo ed Eva mangiarono insieme il primo funesto dessert, stabilirono la prima società. L’imperiosa quotidiana necessità di nudrirsi forzò gli uomini a riunirsi tra loro per avvisare di conserva a’mezzi di provvedere con minori stenti e travagli al giornaliero loro nutrimento. Il pranzo fu il principio che dettò la fatalissima idea di possesso e di proprietà. Per assicurarsi un vivere quieto    ed indipendente ogni uomo s’impadronì d’un posticino di terra, lo coltivò, lo abbellì, ne divenne il padrone; moltissimi abusarono di questo privilegio di esclusione, per dilatare i loro dominii a danno degli altri; epperò il pranzo fu altresì la prima scintilla di guerra.

   Nella nostra attual società si è cercato di portare il pranzo ad un punto di massimo raffinamento; si sono create magnifiche sale spiranti freschezza ed allegria; si sono preparate così voluttuose imbandigioni che non pure il palato e lo stomaco sono rimasti sorpresi di piacere, ma tutti i sensi benanche; imperciocchè si è pensato alle vedute pittoresche, a’verdi paesaggi, a’grati concerti d’una bella musica; si sono messe allato alle mense lussose certe deità in forma di donna, dal sempiterno sorriso, dagli sguardi provocanti il piacere e l’amore. Non vi parlo di quell’incenso sempre grato al cervello de’commensali, di quel fuoco delizioso che parte da’fragranti sigari d’avana; nulla dico della stuzzicante polvere delle foglie americane, che reca tanta voluttà alle papille olfattorie – Entrate per poco nella vasta sala da pranzo dell’Albergo del Tasso in Sorrento (il più elegante che abbiamo); visitate le aristocratiche mense poste sotto ridenti pergolati, qual vita d’incanti! Quante gioie nel tempo istesso! Osservate que’cristalli rilucenti che riflettono i raggi del sole, e che vi danno la più grata impressione di freschezza; quelle posate d’argento bianche e gentili destinate ad arrecare al palato tutti i tesori della cucina francese; vedete que’tovagliuoli venati e ricamati come diaspro, i quali dovranno asciugare certe labbra, delizie e terrore di tanti amanti felici e dispregiati; quei tondini di fina porcellana, quei piatti, bacilotti in forma di schifi, quelle zuppiere dove si mesce il nettare de’numi; e lo champagne color d’oro, il bordeaux color d’ebano, il cognac, la lagrima, il diamante, la malaga, tutti questi vivaci spiriti del cuore, tutte queste ambrosie che formano un’iride di colori più cara alla vista de’gastronomi, che quella onde si cinge la fronte l’oriente piovoso.

   La tavola è il punto di riunione delle famiglie, il tempo del riposo, dell’intima gioia; le dissezioni tacciono alla vista de’colmi bicchieri, le tristi passioni svaniscono; la tavola rende la flessibilità alle membra indolenzite dal freddo, il calore e la vita a volti pallidi e malati. A tavola tutti sono amici, tutti si amano; le nazioni, i partiti, le classi si mischiano, si fondono; come i diversi cibi si mischiano in una sola massa pastosa e si amalgamano nella cavità dello stomaco.

   Il pranzo divide le giornate, rompe le occupazioni, distrae da’dispiaceri e dalle faccende. Beata necessità di mangiare ogni giorno!! Che cosa se ne farebbe il povero genere umano, se non avesse questo pensiero allo spuntare di ogni mattina?

   Gli eleganti del secolo, i felici sovrani del comfortable, non mangiano che una sola volta al giorno per serbare sempre vegeto e pronto l’appetito.

   La cena de’nostri padri è stata bandita da’nostri eleganti, e soltanto è rimasta presso i modesti e semplici borghesi che vanno a pranzo al tocco di mezzo giorno e fanno costantemente la loro meridienne o siesta (usanza orientale trasmessaci dagli spagnuoli), cioè il loro sonnarello di un paio d’ore dopo il pranzo.

   Gl’Italiani gustano in preferenza i pesci, i Francesi la zuppa, gl’Inglesi la carne, i Tedeschi i formaggi. L’Italiano mangia con ghiottoneria; il Francese mangia poco e spesso; l’Inglese sta ott’ore a pranzo; il Tedesco beve sempre. Alcuni sommi politici hanno fatto derivare le rivalità delle nazioni da’loro pasti diversi: ed hanno in ispezialità spiegata l’antipatia che da tanti anni divide la Francia dall’Inghilterra dell’abuso che queste due potenti rivali fanno, la prima del caffè e la seconda dal tè.

   Il caffè è il compimento d’ogni pranzo, il pendant del dessert. Questa bevanda sovranamente digestiva si è renduta tanto indispensabile alla vita quanto il vino. I leoni hanno introdotto il punch nel mezzo e alla fine del pranzo.

   Noi abbiamo consultato un ragguaglio delle diverse ore del pranzo in Francia in epoche diverse, che può pure adattarsi alle nostre usanze; esso ne offre qualche interesse. È una nota curiosa aggiunta al capitolo de’costumi di tutto il mondo.

   Ne’primi tempi la colezione, dèjeuner, aveva luogo generalmente poche ore dopo il levarsi dal letto; il pranzo alla metà della giornata; la merenda, goùter, a’tre quarti del giorno; e la cena, souper, alle ultime ore della sera. Nel secolo XVI e verso i principii del XVII si pranzava tuttavia a mezzo giorno nelle migliori case. Luigi XIV pranzava sempre a quest’ora; e perché i cortigiani andavano a fargli corte nelle ore del suo pranzo, essi dovevano però pranzare un po’più tardi.

   Al principio del 1700 la buona compagnia pranzava all’una dopo mezzo giorno; verso il 1750 alle due ed anche più tardi; vent’anni dopo, alle tre.

   Simili tardanze dovevano in conseguenza far tardare anche la cena, e quindi si cenava progressivamente alle cinque, alle sei, alle sette, alle otto, ed alle nove della sera. 62 anni fa si cenava alle dieci.

   In oggi l’ora comune del pranzo (senza parlare degli artigiani che non hanno regola alcuna) è alle sei, e, pe’pranzi così detti priès, alle sette – La merenda non si fa più da lunghissimo tempo.

   La cena, come più su abbiam detto, è quasi del tutto scaduta, a dispetto de’tentativi scandalosi de’giovinastri che credono con ciò avvicinarsi alle usanze de’nostri avi, di cui non imitiamo che le indigestioni – La sola classica CENA in usanza è la cena del Natale – Presso di noi, la cena è tuttavia stimata nelle ore di està, quando la bianca luna veste di luce soavissima le spiagge di Frisia, di Posillipo e di Santa Lucia. I nostri giovani artisti, le nostre galanti signore spiegano in tali gastronomici incontri una tale freschezza d’appetito che fa invidia ad ogni eccellente viveur. Le scommesse più forti vi campeggiano; vi si ripetono sonori brindisi; vi si sturaccia una gran quantità di bottiglie di champagne. Il domani tutti questi furiosi cenatori si alzano tardi; i loro volti sono pallidi, le loro labbra smunte, i loro occhi senza vivacità e sonnolenti.

   I teatri si lagnano che l’ora troppo tarda de’pranzi è funesta agl’interessi degl’impresarii – Eppure, l’ora del pranzo non ha raggiunta ancora i suoi ultimi limiti. Tra poco non si pranzerà più, ma si cenerà soltanto. In moltissime nobili case si pranza di presente alle otto; e noi siam sicuri che la moda di mettersi tardi a tavola giungerà a tale che non si pranzerà più che il domani.

                    FRANCESCO MASTRIANI