AMENITÀ

   Un caporale, condannato a morte, volle informarne la moglie alla vigilia della sua morte. Volendo farle una minuta descrizione del fatto, egli le narrò le cose non come erano quando egli scriveva la lettera, ma come sarebbero state quando la moglie l’avesse letta ‒ «Mia Cara moglie – egli le scrisse – dopo d’averti augurata una salute buona com’è ora la mia, ti dirò che ieri sono stato impiccato. Ho fatto, grazie a Dio, una bella morte, ed ho avuto il piacere di vedere che tutti gli astanti piangevano. Ricordati di me, ricordami ai miei poveri figliuoli che non hanno più padre. Il tuo affezionatissimo marito fino alla morte.»

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   Un cattivo pagatore contrasse un’obbligazione pagabile a volontà. Menato dinanzi al Giudice, disse:

   ‒ La mia volontà non è ancora venuta.

   ‒ Sia messo in prigione – disse il giudice – finchè egli giunga la volontà.

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   Un vecchio avaro per ritenere al suo servizio un servitore che vivea presso di lui troppo frugalmente, avea fatto questo testamento – Io do e lego al domestico che mi chiuderà gli occhi 1200 lire e il mio dominio di Varac.

   Il vecchio morì finalmente. Il domestico chiese agli eredi la consegna del legato che gli era stato fatto.

   L’uno di loro volle leggere il testamento e leggendo quelle parole «che mi chiuderà gli occhi» esclamò con gioia:

   ‒ La donazione è nulla.

   ‒ E perché, signore? domandò il servo.

   ‒ Caro amico, mio zio era cieco d’un occhio, per conseguenza non hai potuto chiudergli gli occhi.

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   La vanità de’letterati è una delle follie, che spesso danno luogo a’più ridevoli aneddoti. Al. D. era un giorno di guardia, ed entrò in un caffè per far colezione con uno de’suoi amici. Dopo di aver mangiato e bevuto più dell’usato, a causa della piacevole compagnia, che lo avea tenuto distratto, riprese il suo berretto che dapprima avea messo da parte, e sbadatamente se lo pose in testa alla rovescio, e così uscì in istrada. Coloro che s’imbattevano in lui, guardavano con sorpresa il poeta, e si arrestavano ancora, per meglio osservarlo e ridere della mascherata. D., addatosi di ciò, si rivolse all’amico non senza un’aria di orgoglio, e gli disse: «Amico, vedete come mi guardano! Non è questo un culto alla celebrità?»

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   Quando il maresciallo della Fertè fece la sua entrata a Metz, gli ebrei si recarono da lui per complimentarlo come avevano fatto tutti gli altri. E quando seppe che quelli stavano in anticamera, disse: «Io non voglio vedere questi bricconi, che ha fatto morire il mio maestro: mandateli via tosto di qui». Essendosi quindi fatto lor sentire che il signor Maresciallo non poteva ascoltarli, essi manifestarono ch’erano sommamente dolenti di tale circostanza, che li privava del piacere di presentare a quel personaggio un piccolo dono di quattromila doppie.

   Fatto immediatamente ciò noto al Maresciallo, costui allora rispose: «Fate tosto entrare questi poveri diavoli, i quali, affè mia, non conoscevano quell’uomo quando il crocifissero.»

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   Il curato d’un villaggio amava molto un suo cane, il quale, essendo poi morto, venne da lui seppellito nel cimitero. Il vescovo, che non ignorava essere il curato non iscarso di ricchezza, appena ebbe avviso di ciò, lo invitò a presentarsi a lui, nell’intento di condannarlo ad una pingue multa. Il curato ben conosceva l’indole del vescovo, e non esitò di andar da lui, portando seco una cinquantina di ducati. Dapprima il vescovo minacciò il curato di farlo tradurre in prigione come un profanatore ed un empio. ‒ Oh se voi sapeste, Monsignore, quanta intelligenza aveva quel cane, converreste meco ch’egli ben degno d’essere seppellito con gli uomini: quel caro animale ne ha dato costanti pruove, e anche alla sua morte. ‒ Che ha fatto? Rispose il prelato. ‒ Ha fatto il suo testamento; e, sapendo che voi non eravate molto agiato, ha fatto a vostro favore un legato di cinquanta ducati, che io quale esecutore testamentario vi ho portato. ‒ Il vescovo allora ammirò la perspicacia del cane, accettò il dono, approvò la sepoltura e dette l’assoluzione al prete.

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   Un Consigliere si era addormentato, mentre discutevasi una causa. Il Presidente alla fine si fece a raccogliere i voti, ed avendo chiesto quello dell’assopito Consigliere, questi rispose, fregandosi gli occhi ‒ S’impicchi! s’impicchi! Ma si tratta di una prateria. «Ebbene, si falci.»

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                    FRANCESCO MASTRIANI