ANEDDOTI FILOLOGICI

   Pronunzia difettosa. Un inglese, gran dilettante di lingua italiana, desioso di studiare i bei modi di dire, soggiornava a Firenze. Soleva andarsene per le vie col dizionario sotto il braccio, e stimando tutt’oro le voci della plebe, non sì tosto le udiva cercavale per entro al libro, e trovandole se ne compiaceva grandemente. Avvenne un tratto che sulla piazza del Gran Duca si abbatté in una donna che teneva in braccio un bambino pallido e malaticcio. V’eran due contadine, e una di loro, guardando la creatura, disse alla compagna: «povero bimbo! Arà bail» Alla qual parola, il forestiere non avendola capita, rimase sconcertato. «Arabai!» La tenea piuttosto per araba; pure, si mise a scartabellare. Passava un suo amico e compatriota il quale richieselo di quel che cercava. Udito il motivo e la circostanza, come quegli ch’era più pratico della lingua, intese il senso, e scoppiando dalle risa, spiegò che Arà bail significava: avrà i buchi (i vermi). Arà per avrà non solo si dice in Toscana, ma trovasi negli scrittori del seicento e del cinquecento. Come apparisce dal surriferito esempio, la pronunzia toscana è difettosa, perché gutturale, specialmente nelle sillabe in cui entra il C (innanzi a vocale), talché si sopprime affatto. A criticare lo stesso difetto, si appongono a’ Toscani le note triviali parole: «O la arne non è otta, o l’oltello non taglia, o l’oste mi orbella» (o la carne non è cotta, o il coltello non taglia, o l’oste mi corbella).

   I Lombardi s’hanno il gran difetto di non distinguere l’O aperto dal chiuso. Il cav. G. Milanese, celebre per gli spropositi del suo dire, passando da Siena, e trattenendovisi per diporto, stava sempre all’erta, studiandosi di parlare col quinci e quindi (in punta di forchetta, direbbesi a Roma) avendo sentito esser un paese colto con ogni maniera di cognizioni, massime in fatto di lingua. Una mattina andò a far visita a una Marchesa di sua conoscenza la quale stava facendo colezione. Ben venuto, signor Cavaliere, vuol favorire? – Grazie, grazie, Marchesa; non sapendo dove andare, son venuto a riverirvi, ma ho già fatto. La Marchesa che sapeva quanto pesasse l’originale, per divertire due sue amiche ch’erano presenti continuò a scalzarlo su quest’andare: «dunque, signor Cavaliere ha fatto! E che cosa ha mangiato di buono? – Un polo (pollo) – Oh oh! un Polo! Artico o Antartico? – Artico, già si sa, sono i migliori. ‒ il Milanese pronunziava Polo per Pollo, e si pensava che Artico e Antartico fossero due qualità di polli.

                                            FRANCESCO MASTRIANI