CAPITOLO II

   Non per idea di cennare antenati, ma per segnare il primo punto dello stabilimento della mia famiglia nella Capitale, e per rammentare ai miei fratelli il nome dell’uomo venerando che dava l’essere ai rispettivi genitori, dico che Gaetano Mastriani nacque a Milano nel 1698 da Antonio e Luisa Denigo, da famiglia originaria francese. Militò sotto le bandiere dell’immortale Carlo III: nel 1750 si ritirò dal servizio militare, ed ebbe impiego doganale. Nel 1741 avea preso in moglie Marianna Cascone, napolitana, di santissimi costumi: ebbe sette figli, cioè Antonio, Saverio, Teresa, Giuseppe, Ferdinando, Raffaele Maria e Filippo.

   I costumi patriarcali che conservavansi in parecchie famiglie, furono nella sua più fedelmente seguiti. I mentovati primi cinque de’suoi discendenti aveano contratto nozze con le onorate e distinte famiglie de’ De Cristofaro, Saragau, Montani-Rodriguez, Blank, De Roma; e tutte queste famiglie nascenti ebbero tetto comune in casa di Gaetano. Era bello e commovente spettacolo di pace domestica, di vicendevole amore, di paterno, filiale e fraterno affetto, il vederli tutti ad una sola mensa, e quel vecchio venerabile e quella rispettabile donna sedere fra i figli ed i nepoti, godendo gli ultimi giorni di una vita serena e tranquilla, fra il rispetto e l’amore dei loro discendenti. Questa bella e rara unione, con comun dolore fu rotta, quando le famiglie cresciute non poco, e dalle vicende de’tempi abbassate furono di molto le fortune particolari.

   Oltre ai 90 anni visse l’egregio progenitore, e rimasto solo, poiché la moglie pria di lui moriva; la casa di lui, come tempio della virtù, fu sempre da’figli visitata con amorosa vicenda, venerata quale asilo della pace e dell’amore. Dopo la morte di Gaetano, Antonio, come il capo della famiglia, rinnovava sempre che la convenienza il permettesse tale venerabile pratica e ne’solenni giorni annuali, tutt’i suoi fratelli con le famiglie loro riuniva presso di se. E questa sola differenza notavasi, tranne il mancare del primo, che come quegli con quel suo antico candore dava all’intimo conversare la pura e schietta giovialità, questi col suo aspetto severo, ma col più bel cuore del mondo, dava a quelle riunioni un certo che di solenne; ed io che fanciullo assisteva a quelle feste di famiglia, conservo così vive quelle reminescenze, e tanto grate quelle idee mi rimandano di tempi così felici, che nel tumulto delle passioni e nel bollore degli affetti, ho sempre desiderato quel tempo di calma e di pace. Dopo la morte di Antonio, Filippo fece sua dolce cura, la unione della famiglia, sempre che il poteva; ed il buon vecchio, come il padre ed il fratello, non avea maggior contento di quello di vedersi in mezzo ai suoi. E chi fra noi assisteva a quegli affettuosi ritrovi, e de’precedenti rammentava, con una specie di culto amoroso accostavasi al rappresentante amato, al capo riverito di una compagnia la quale, per effetto di tali pratiche, sempre più annodavasi fra parenteschi affetti – Ma poiché duratura gioja non si può godere sulla terra, alla morte di Filippo quel nodo che in così bella concordanza manteneva la famiglia tutta, si sciolse.

   Tenerezza di antiche e recenti reminiscenze, di affetto che per volger di anni non iscema, ma spinge a por queste memorie sulle presenti carte: cosa gratissima al cuor mio; parlo del segnare i sentimenti de’vincoli domestici, e non meno accetta ai mie fratelli.

   Se lo sfoggio e la jattanza de’sentimenti profondi ed ardenti, delle passioni esaltate ed incompatibili, non è un pretesto all’apatia del cuore e di ogni generoso principio, come di qualunque moralità nelle azioni, spero non giungeran freddi, per non dir ridicoli questi miei pensieri, a chi non gustò mai la tranquillità dello spirito, la soddisfazione di se stesso, la concordia domestica, il volenteroso tributo di ossequio e rispetto ai vecchi ai quali per lunghi anni non ismentirono mai il carattere loro.

   E se il sacro amor della patria non è nome voto di senso e mancante di oggetto, se la Civiltà alla quale agogniamo (intendo la Civiltà delle mente e del cuore, non quella per la quale ci fingiamo politi), è fonte di ogni bene e della generale prosperità, si valuterà forse da taluno per qualche cosa il rispetto che deesi ai costumi, la venerazione alle rare qualità del cuore, l’ossequio a quell’abnegazione di se stesso, per effetto del quale si vede in chi n’è capace, non solo la gioja dell’adempimento del dovere, ma ancora quell’eroismo di virtù dal quale si è spinto a fare non solamente l’obbligo, ma anche più di quello  che sarebbe obbligo a favore de’nostri simili: il rispetto, io dico, la venerazione, l’ossequio che meriterà sempre quell’uomo che avendo la potenza del sacrificio, si spinge con amore a farsi vittima, in adempimento de’suoi doveri.

   Ma chi ti nega, parmi di sentir dire da taluno, chi ti nega che queste sian tutte belle e buone cose; ed io rispondo che la conoscenza di tali principj è ben altro che la pratica dei medesimi, e se potremmo determinare ad esser davvero quali vogliam parere, non sarebbe più d’uopo contentarsi mestamente al far voti, ma goder potrebbesi con ilarità degli effetti della virtù generale. Ed allora saremmo civili, poiché non vi è virtù senza morale, e senza Morale non vi è Civiltà, cioè non si può arrivare al punto della generale prosperità.

   E principj io nomo quelle norme certe di condotta pubblica e privata, sorgenti dalle inalterabili fonti di quella Legge divina, la quale può tutta riepilogarsi nel sublime dettato che comanda di fare agli altri quello che per noi vogliamo.

   Ma questi principj appunto non sono in taluni saldi abbastanza perché resistano all’affascinamento delle novità ed al prestigio delle stranezze; e come sarebbe ridicolo un uomo che non credendo alla propria esperienza in materia del fisico bene stare, pigliasse i farmaci che ad altri giovano, per la sola ragione che altri ne usarono, così ridicolo sembra colui che vangando i propri principj e lodando la propria condotta (che certamente non gli sembran cattivi, poiché non li seguirebbe), poi da que’principij allontanasi, se diversi ed anche opposti veggano da altri praticare.

   Né difficile è l’osservare, per poco che vi si ponga mente, come uno che oggi sembrava regolarsi in un certo tenore, cambiasse domani, con una biasimevole vicenda, tanto più perniciosa per quanto col solo variare, ove i dettami di retta coscienza nol comandino, già si è incorso in una morale degradazione.