CHIACCHERATA UMORISTICA SU I FICHI

   Comincio col protestarmi che non ho di che parlare in questa settimana; in guisa che potrei cavarmi d’impaccio con mezza colonna di roba; ma, quando dico che non ho che dire, è un modo di dire, giacchè, non lo fo per dire, ma in questo mondo ci è sempre qualche coserella da dire: dimandatelo, verbigrazia, alle signore donne che sono capaci di cinguettare per intiere giornate senza che si esaurisca mai la vena de’ loro discorsi. Con un poco di buona volontà, si trova sempre un poco di maldicenza a fare; ma di quella maldicenza ben educata, così, a fior di labbra, maldicenza da salotto e non da caffè o da trivio. Levatemi la maldicenza dalla società, e abbruciate i dizionari e le grammatiche, dacché non si dirà più una parola. Levatemi la maldicenza, e mi avete levato il primo vincolo che unisce gli uomini tra loro. Portiamo opinione che la maldicenza è la base della società, e massime della società femminea. Come si mostrerebbe in altra guisa l’amor del prossimo se un galantuomo non si occupasse delle corna di un altro galantuomo, e una damina non fiutasse ne’ segreti di un’altra damina? Voi me la chiamate maldicenza, e questo è amor del prossimo bello e buono, è premura che si prende pel bene altrui, è bisogno cocentissimo di veder corretti certi difetti, moderati certi mali abiti, banditi certi vizi. E poi, diciamola tra noi, che cosa diverrebbe questa povera società di essere pensanti e parlanti, se non fosse ravvivata da un poco di scambievole critica?

   La critica è l’anima delle conversazioni; e in questo secolo specialmente le amicizie non si coltivano che sopra quattro elementi, amore, ballo, giuoco e critica! Andate in una casa dove non si faccia un poco di questi quattro mestieri; e ditemi se la più orrenda noia non s’impadronirà di voi, e vi farà esecrare il momento di averci messo piede.

   Noi dunque faremo un poco di critica su tutto e su tutti, perocchè scrivendo non possiamo occuparci né a far l’amore, né a ballare, né a giuocare: meneremo leggermente la frusta sulla schiena della gente educata; li toccheremo così en passant, senza fare loro del male, come si suole scherzare tra persone che sanno stare in società! faremo insomma qualche giochetto di penitenza.

   Siamo in giuoco. Cominciamo da una grande attualità non palpitante, i fichi! Sapete già che siamo nel mese di settembre, che è il mese delle campagnate a fichi, della persecuzione dei fichi. Vogliate o non vogliate, dovete rassegnarvi a fare, almeno un paio di volte nel corso di questo mese, una tremenda indigestione di fichi e presciutto. Come fate per schernirvi da certi inviti che vi piombano addosso quando meno vi aspettate? Una mattina, il vostro amico Ernesto o Leopoldo o Peppino viene a fare un enorme baccano di urli e di fischi nel vostro portone, credendo di stare nel teatro; e non cesserà insino a tanto che voi, desto a soprassalto dal vostro sonnellino d’oro, che io chiamerei piuttosto, per alcune vegetazioni animali, sonnellino di piombo, non apriate il vostro terrazzino o la vostra finestra per sapere che cosa vuol da voi quel carnefice, a cui dovete dare il nome di amico e regalare un sorriso mentre vorreste regalargli al più poco una schioppettata per avervi rotto l’alto sonno nella testa, e propriamente in un momento in cui la vostra alacrissima fantasia vi dipingeva una scena d’amore con tanta realtà fa farvi risentire le più dolci commozioni.

   ‒ Scendi subito, che dobbiamo andar a mangiar fichi – è la risposta che dà quel briccone alla vostra interrogazione espressa in termini che non sono forse nel dizionario italiano del Cardinali – mangiar fichi!

   Ma noi domandiamo: Perché questa irragionevole preferenza per questo frutto, condannato dalla prudenza sanitaria, massime in questi pericolosi tempi, per questo frutto amico anzi fratello dell’olio di ricini e del remore di tartaro, per questo frutto plebeo e comune, il quale per un soldo vi si offre a dozzine? Ora noi domandiamo perché codesta assurda preferenza per questo frutto il quale, tra gli altri peccatuzzi che ha sulla coscienza, ha quello puranche di rappresentare la nullità, la futilità; dappoichè non sentite altro da mane a sera che non me ne importa un fico ec.? Non sarebbe meglio che si avesse questa specie d’idolatria per le pere spadone, che sono rispettabilissime e raccomandate dalla Facoltà? Oltre a ciò, una pera spadone ve la potete mangiar sola senza quel complice del presciutto, che ricorda l’immondo animale da cui è tratto.

   Ma per proseguire il nostro discorso, voi vi alzate, vi vestite in fretta, vi precipitate per le scale; ed eccovi giù nel portone, dove gli amici vi aspettano armati di sigari per condurvi al macello… dei fichi. Si va di conserva a prender le donne, perciocché i fichi senza le donne non avrebbero sapore, le donne sono l’accompagnamento più gustoso de’ fichi; in questo, superano lo stesso presciutto! Si prendono i somarelli, e si corre al Vomero, all’Arenella, alle Due Porte, dovunque insomma la terra docile e obbediente caccia di quegli alberi dalle larghe fronde che servirono un giorno, ne’ primissimi tempi del mondo, a far quell’uficio che oggi fanno presso a poco i calzoni e i sottanini. Ma non crediate che sono tutti fiori quelli che incontrate nella vostra ficosa peregrinazione: non mancano le spine; e queste sono per le generali qualche vecchia che ha paura di andare a ciuccio; e, nella speranza di essere sorretta da qualche giovinotto, accenna di cadere ad ogni istante, a gran rischio e pericolo di una delle tre C fatali alla vecchiezza; qualche fanciullo di anni cinque, che vi costringe a fermarvi ad ogni passo per certe voglie che gli vengono in corpo e che sembra impossibile come gli possano venire così di frequente; qualche innamorato o marito geloso che vuol fare un concerto della scena finale di Otello nel bel mezzo del largo Antignano; e tanti e tanti altri di questi piccoli guaiucci, di queste piccole miserie che s’incontrano nello andare a mangiar fichi.

   Finalmente, arrivate al Vomero, alla Arenella o alle Due Porte, più o meno sano e salvo, tranne qualche contusione o storcimento o enfiagione prodotti dagli accidenti della equitazione asinesca. Oh la campagna! la campagna! Che bella cosa è la campagna! Subito si dà di mano a’ fichi, ai tortanelli, al presciutto. Il Conte Ugolino e gli affamati suoi figli e nepoti fanno una magra figura al vostro paragone! Cielo e terra! possibile!! Dieci persone hanno divorato in meno di un quarto d’ora TRENTA rotola di fichi, senza contare i tortanelli, il presciutto e la moscadella? E se non crepi, di che crepar suoli? (Scusate la disarmonia del verso, e attribuitela al verbo crepare che non vuole compiacersi di avere l’accento sulla prima sillaba.)

   Prosit! Al ritorno che fate dalla campagna, i vostri somari sono condannati a portare il peso della vostra pesantissima digestione: due cose si trovano più leggiere nella vostra persona in ragione inversa del vostro stomaco, la vostra borsa e il vostro cuore; giacchè il veder mangiar fichi a una donna di buon appetito è un toglierle un due libbre di poesia. La donna non dovrebbe mai mangiare per conservarsi poetica agli occhi del suo amante. Leggete tutti i romanzi del mondo, e ditemi se mai Eloisa o Elvira o Adriana o Matilde o Corinna mangiava fichi e presciutto!!

                                                FRANCESCO MASTRIANI