COMMENTI

   Nel presente lavoro ci troviamo il personaggio principale, il dottor Nereo d’Orsani, del quale si può fare un accostamento con due altri personaggi nati dalla fantasia di Francesco Mastriani: il primo è il dottor Oliviero Blackman, alias Nunzio Pisani, che troviamo nel romanzo La Cieca di Sorrento: entrambi, Nereo ed Oliviero, sono validissimi nella loro arte medica come altrettanto disprezzatori del genere umano, anche se nel caso del dottor Nereo, il disprezzo è più accentuato.  Anche in questo romanzo in oggetto, il cinico dottore subisce una profonda trasformazione. Come nella Cieca di Sorrento, Oliviero s’innamora della sua paziente, la bella cieca Beatrice, in questo racconto Nereo s’innamora profondamente della bella catalettica Raffaella; in un capitolo da un’ampia spiegazione «di quella terribile malattia che è la catalessi».[1]

   Il secondo personaggio da accostare a Nereo d’Orsani è Folco Dionigi, cinico ed abile medico, protagonista del romanzo Il materialista, ovvero i misteri della scienza,[2] sposato e con una figlia, s’innamora di Neftali, una giovane paziente gravemente ammalata e da lui guarita, e per farla sua, perpetra il delitto perfetto ai danni della moglie.

   Contrariamente a come ci ha abituato il narratore, questo romanzo, dalla trama abbastanza semplice, termina in modo felice per i protagonisti, a parte il dottor Nereo d’Orsani, cinico misantropico, gli altri pochi personaggi del racconto, sono persone normali nel senso che non sono né troppo buoni o troppo cattivi. Senz’altro il romanzo è frutto della fantasia di Francesco Mastriani il quale peraltro ci tiene a sottolineare: «Nelle nostre narrazioni ci piacque sempre di ritrarre il vero, al quale sacrificammo spesso i volgari pregiudizi, le ipocrite schifiltosità ed i romanzeschi leccamenti alle passioni ed alle tendenze del secolo». [3] 

   Senz’altro il concetto che il protagonista ha dell’umanità, non è un pensiero dello scrittore, anche se in vita sua Mastriani non è stato mai assistito dalla fortuna: «Tra le razze degli animali quella degli uomini è la più scellerata. Se non avessimo la teca vertebrale verticale, noi saremmo la più spregevole razza di bestie su la faccia della terra, dappoichè agl’istinti feroci che distinguono la nostra specie, dobbiamo aggiungere tutte le cattiverie della così detta ragione, vale a dire, la simulazione, l’inganno, la falsità, l’ipocrisia, l’orgoglio e quella somma di stoltezze che dicesi umana sapienza».[4]

   Sempre in una pagina di questo romanzo ci troviamo un pensiero che lo scrittore ha citato in un altro suo lavoro: «Quando Jehova vuole severamente castigare uno spirito, tra i milioni che gli furono ribelli, il condanna a prendere umane forme nel più difforme dei pianeti qual si è per lo appunto la nostra terra. Quando vuole aggravare maggiormente la mano sul detto spirito, il condanna a prendere umane forme nel più disgraziato paese della nostra terra, cioè in Napoli. E, quando vuol usare il massimo dei gastighi, il condanna a nascere nell’epoca presente».[5]

  Pochi i riferimenti storici. Cita più volte il musicista compositore Vincenzo Bellini, «le dolci melodie del cigno di Catania»[6], e le opere citate sono la Sonnambula e la Norma. Un altro musicista era particolarmente caro a Mastriani: Giambattista Pergolesi, al quale ha dedicato un romanzo «Giambattista Pergolesi» e un dramma «L’Olimpiade». Invece, come ha notato lo studioso Francesco Guardiani, nel prossimo commento, «è piuttosto tiepido nei confronto di Giuseppe Verdi». Più che tiepido, io direi che era proprio freddo nei confronti del maestro di Busseto. In una sua recensione sui teatri, pubblicata sul giornale periodico La Domenica, è scritto: «Dopo lunga aspettativa, la sera del 3 di questo mese il nostro massimo teatro si riaprì con un’opera nuova, il Trovatore. Se sapessimo chi ebbe la felice ispirazione di regalare al pubblico questa opera nuova, vorremmo fargli i nostri congratulamenti: la scelta non poteva essere migliore! Sono ormai tredici anni che questo Trovatore ci sta felicitando, per non dire, ci sta levando l’umido; sono tredici anni che i suoi motivi ci assediano dappertutto, in istrada, ne’salotti, in campagna. […] Se Verdi avesse scritto questo spartito non con altro scopo che quello di romperci le scatole, non avrebbe potuto riuscire meglio nel suo intento.[…]. O Trovatore, noi ti malediciamo usque in genitalibus, come dice la Curia romana quando maledice a qualcheduno: che tu possa sparire dalla faccia della terra, e non trovare neppure un casotto che ti alberghi, neppure un cane… Ma che dico! un cane! Gli è appunto in questa famiglia di mammiferi che tu trovi accoglienza e buon viso.  Ma voi credete, ingenuo lettore, che, a malgrado delle vostre e delle nostre maledizioni, il Trovatore finirà d’infistolirci? Oibò. Siate certissimo che se si riaprirà qualche altro teatro di musica in Napoli, e sia pure il Teatro del Popolo o Donna Peppa trasformati in teatri di musica, il Trovatore farà gli onori di casa. E, se non sarà il Trovatore, sarà qualcuno de’suoi fratelli Simon BoccaneraErnani Rigoletto. Per buona ventura, il Trovatore naufragò la sera del 3; altrimenti ce lo saremmo goduto per un’altra decinella di sere, e forse per l’intera stagione […] ma che volete! Si poteva uscire dagli eterni Rigoletto, ErnaniTrovatore Simon Boccanera?».[7]

   Viene citato anche medico ceco Vincent Priessnitz, considerato il primi naturalista della storia: «Io non so come fatto mi venisse il sapere che il figlio di un contadino tedesco, chiamato Priessnitiz, divenuto un celeberrimo dottore in medicina, era giunto a metter su una incredibile fortuna. Giovanetto, egli avea osservato nelle campagne che quando gli animali gonfiano i piedi vanno cercando per istinto di tuffarli ne’pantani. Questa scoperta il condusse a quel sistema curativo coll’acqua fredda, che distrusse tutt’i pregiudizii della vecchia medicina».[8] E buona parte di un capitolo è dedicato alla botanica: «Tutto è armonia nel regno vegetale tutto è amore dell’uomo. Le piante danno l’ossigeno e finalmente ci danno le medicine per guarire de’mali che ci facciamo co’nostri vizi e con le nostre intemperanze». [9]

                                         ROSARIO MASTRIANI

[1] Francesco Mastriani, Il dottor Nereo o La Catalettica, Napoli, G. Regina, 1878, vol. II. pag.3

[2] Francesco Mastriani, Il materialista ovvero i misteri della scienza, Napoli, G. Rondinella, 1876

[3] Francesco Mastriani, Il dottor Nereo o La Catalettica, Napoli, G. Regina, 1878, vol. II. pag.55

[4] Ibidem, vol. I. pag.9

[5] Francesco Mastriani, La spia, Napoli, Stamperia Governativa, 1880, p. 30

[6] Francesco Mastriani, Il dottor Nereo o La Catalettica, Napoli, G. Regina, 1878, vol. II. pag.80

[7]  Pubblicato sul periodico La Domenica, del 19 maggio 1867, nella rubrica «Teatri».

[8] Francesco Mastriani, Il dottor Nereo o La Catalettica, Napoli, G. Regina, 1878, vol. I. pag.47

[9] Ibidem, vol. I. pag. 49

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  Il romanzo è scritto e pubblicato a puntate sul Roma, nel 1876. L’anno dopo uscivano Cenere o La sepolta viva e La rediviva. Qualche anno più tardi, nel 1881, vide la luce La sonnambula di Montecorvino. Va ascritto dunque a questo periodo il più acceso interesse per la parapsicologia. Più antico e costante è invece l’interesse scientifico in senso lato, e in particolare per la medicina (basti ricordare La cieca di Sorrento) e la farmacologia botanica (cfr. Il mio cadavere).

   Notevole nella Catalettica è la misantropia del protagonista. In una delle sue sfuriate il Dottor Nereo maledice, ovvero riconosce come castigati da Dio, gli esseri umani del pianeta Terra e, in particolare quelli nati a Napoli «nell’epoca presente» [1]. Dello stesso tono è l’invettiva contro la Francia, cui si oppongono le lodi della Germania, paese della scienza, paese di Franz Anton Mesmer e del suo magnetismo animale [2].

   L’azione si svolge, principalmente, nelle dimore dei due protagonisti, ovvero nella casetta della catalettica Raffaella, a Capri, in località Certosa, e nella casa di campagna del dottor Nereo di Orsano, nei pressi di Castellammare, dove il medico tiene all’ancora una barca a vela di sua proprietà. Con questa barca ogni sera d’estate dell’anno 1858 il dottor Nereo va a Capri e trascorre la notte al capezzale di Raffaella, la catalettica che egli ha in cura. Di giorno, a Orsano, nella sua casa, egli ha in cura un giovane tisico che, già prossimo alla morte, con lui va recuperando la salute. Il giovane si chiama Nefasto; è di origini svizzere, ed è rimasto solo al mondo dopo la morte del suo tutore di nome Graziano. Si apre così il romanzo e presto la narrazione si blocca per una lunghissima digressione sulla vita del dottor Nereo (il quale ricorda il Gaetano Pisani della Cieca) che occupa quasi tutto il primo dei due volumi di cui si compone il romanzo. Apprendiamo così che il medico è di umili origini e che fino all’età di quindici anni era analfabeta. Dopo aver imparato a leggere a scrivere con l’aiuto di un prete di Gragnano. Nereo fugge di casa con una ingente somma di denaro sottratta al padre. A Napoli, dove ha assunto il falso nome di Achille Vomero, studia medicina. Il tradimento di un amico, il compagno di studi don Nicolino, che gli ruba tutti i soldi e si dilegua, lo getta nella disperazione. Italina, una signora lombarda, si innamora di lui e lo porta con sé, in mare, lontano da Napoli. Lo abbandona infine a Montecarlo, lasciandogli un po’di denaro. Nereo gioca tutto al casinò e diventa ricco. Inizia quindi una serie di viaggi nel Nord Europa. Rientra infine nel regno di Napoli come medico famoso e rispettato.

   Il dottor Nereo è un misantropo, come il conte Villalba di Sotto altro cielo: ama la natura, gli uccelli in particolare e le piante, ma odia gli uomini. Cura gratuitamente i poveri, ma esige compensi altissimi dai pazienti ricchi. La digressione in cui apprendiamo tutte queste notizie è contenuta in un «Memoriale del dottor Nereo», un “romanzo” nel romanzo. Il dottor Nereo è uno scienziato appassionato, innamoratissimo della sua materia. È felice di aver finalmente trovato una paziente catalettica e si propone di guarirla del tutto, cosa che riuscirà a fare, oltre che con non bene identificate cure, con l’ausilio della musica, e precisamente con la musica di Vincenzo Bellini (1801-1845), suonata al mandolino dall’altro suo paziente, Nefasto, curato dalla tubercolosi [3]. Il romanzo si conclude con l’unione dei due pazienti guariti dal dottor Nereo, che li benedice e offre loro le sue sostanze [4].

                                           FRANCESCO GUARDIANI

[1] Francesco Mastriani, Il dottore Nereo d’Orsani o La Catalettica, Napoli, Regina, 1877, I, pp. 38-39

[2] Come in molti altri romanzi è qui presente un’invettiva contro la Francia e la lingua «che ogni buon italiano dovrebbesi vergognare di cinguettare» (ivi, I, p. 77). Meglio dei francesi sono i tedeschi per il dottor Nereo, che addirittura giunge a dire nel suo memoriale: «Per me, ho sempre tenuto per fermo che tutta la nazione francese non vale un tedesco» (ivi, I, p. 73). In un’altra pagina del romanzi, è detto della lingua tedesca che è destinata a diventare «la lingua universale, giacchè fra non guari la Germania occuperà quel posto in Europa che oggi malamente e a torto occupa la Francia» (ivi, I, p. 17).

[3] Mastriani ama tantissimo Vincenzo Bellini ma è piuttosto tiepido nei confronti di Giuseppe Verdi. Lo scrittore ama il teatro, l’opera lirica e in particolare l’opera buffa; adora Gioacchino Rossini e Domenico Cimarosa. Il Mastriani critico musicale è ancora tutto da studiare. Il suo interesse per l’opera lirica si concentra in un romanzo bellissimo e ignoto ai più, mai ristampato, Giovanni Blondini. Memorie di un artista, Napoli, Stamperia Governativa, 1887.

[4] Val la pena di annotare un paio di incongruenze che mi sono balzate all’occhio della lettura del romanzo. La sorella di Raffaella , ovvero della catalettica, si chiama Margherita ed è detta «fabbricante di nastri» (Mastriani, Il dottor Nereo, cit. p.90) e poi «fioraia» (ivi, p. 94); il padre del dottor Nereo, contadino, è prima chiamato «Giuseppe» (ivi. p. 6) e poi «Ilario» (ivi, p. 40). Saranno “errori” causati dalla rapidità di scrittura e di rilettura (visto che l’edizione usata è rivista e corretta dall’autore)? Nessuna meraviglia, sono cose che capitano anche ai grandi scrittori. È noto il caso di Daniel Defoe per le contraddizioni del suo Robinson Crusoe.