COMMENTO

   «L’eruzione vesuviana del 1872» non è un romanzo, né una cronaca giornalistica, ma come lo stesso scrittore ha scritto, trattasi di sue memorie: “In certi punti della città, ed in particolare sul colle di Capodimonte, dove abita chi scrive queste Memorie”, [1] che sono composte da 102 pagine, e nelle quali viene descritta in maniera molto dettagliata quell’eruzione vesuviana, che “secondo le più accurate statistiche, pare sia stata la quarantaquattresima, e la terza tra le più spaventevoli” [2] .

   Un intero capitolo viene dedicato all’eruzione più catastrofica del Vesuvio, quella dell’anno 79 dell’era cristiana, e che seppellì sotto una “pioggia di cenere e di pietre infuocate, principalmente le città di Pompei e di Ercolano, e che avvenne il 15 novembre, ma “Alcuni scrittori vogliono che la catastrofe di Pompei avvenisse al 24 agosto” [3].

   Viene citata anche un’altra eruzione catastrofica del Vesuvio, quella del novembre dell’anno 1631. L’autore nota che questo evento lo descrisse in un suo romanzo: “Dell’apparizione di questa Cometa non che della eruzione vesuviana del 1631, ci siamo più a lungo intrattenuti nel nostro romanzo «L’Ossesso», di cui è prossima la pubblicazione [4]». Era credenza popolare “che le comete sieno sempre nunzie di sciagure e di disastri” [5].

   Del Vesuvio, che l’autore considera una “fucina infernale, ne dà l’etimologia: “Questo monte fu primamente da’Greci nomato Besbios, poscia da’Latini Besbius, e, per affinità delle due lettere b e v, Vesvius, Vesevus, Vesuvius[6].

   Come già scritto in altri suoi romanzi, l’autore considera il Vesuvio una delle tre curiosità napolitane: “Le altre due sono Pompei e il S. Carlino. Tra poco il turista inglese che verrà a visitare la nostra classica terra non troverà che le due prime. S. Carlino sarà sparito sotto la verga del municipio di Napoli. D’altra parte, S. Carlino non ha più ragione di esistere dopo che si lasciò scappare Altavilla. Peccato che la verga del Municipio non possa far rientrare il Vesevo negli abissi della terra o nei gorghi del mare! In quanto a Pompei, chi sa che un giorno non sarà venduta dal Ministro delle finanze ad una compagnia di speculatori francesi, che faranno della bella città greco-romana una baracca! Pompei agli occhi delle Finanze non è che una vecchia carcassa [7]”.

   Cita la presenza del Re Vittorio Emanuele a Napoli, in quella grave emergenza, e ricorda  “Re Vittorio, che nel novembre del 1865, quando qui in Napoli infieriva il colera, veniva tra noi, sfidando ogni pericolo, a sollevare colla sua amata presenza e colle larghezze della sua regal munificenza i colpiti dall’asiatico morbo” [8].

   In occasione dell’eruzione vesuviana del 26 aprile 1872, egli mise a disposizione dei danneggiati, la somma di lire cinquantamila [9].

    Viene dato un elenco delle vittime dell’eruzione “estinti sul luogo medesimo dello incendio, o negli ospedali, dove ei furono menati. Ecco il triste elenco”. Ne vengono segnalati 21, che per lo più furono persone che si recarono nella zona dell’eruzione, attratti dallo spettacolo che il Vesuvio loro offriva. “L’eccidio pertanto non si limitò a questo numero di vittime. Disgraziatamente altri non pochi hannosi da aggiungere al funebre elenco, de’quali sono rimasti ancora ignoti i nomi ” [10].

   Pochi i personaggi storici citati in questo lavoro, oltre ai già citati prof. Luigi Palmieri e il re Vittorio Emanuele, viene ricordato anche l’allora sindaco di Napoli Rodrigo Nolli: “Spiegando un’annegazione a tutta prova, questo impareggiabile gentiluomo avversò allora con ammirabili provvedimenti la diffusione del flagello e ne alleviò le tristi conseguenze ” [11]; e anche in occasione dell’eruzione vesuviana del 26 aprile 1872, coadiuvato dalla Giunta Comunale, non venne meno alla sua opera di aiuto ai danneggiati dall’infausto evento.

   Per descrivere la lodevole opera umanitaria della giunta comunale di Napoli, in aiuto di fuggitivi, arrivati a Santa Lucia a bordo di barche, cita addirittura dei versi di Dante, tratti dalla «Divina Commedia»:

Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude

Cangiar colore, e dibattero i denti

.   .   .   .   .   .   .

Poi si ritrasser tutte quante insieme

Forte piangendo, alla riva

,

   “Ma il nostro Municipio non fu crudele come Caronte, e fe’distribuire a quelle anime derelitte pane, vino, formaggio ed uova” [12].

   Viene ricordato anche un figlio del popolo, un lazzarone che si chiamava Palloncello “… è un soprannome, come ben vi siete avvisati. Nella bassa regione della nostra società in nomi spariscono sotto i tropi delle calde immaginazioni de’discendenti degli Oschi. Comunque sia, Palloncello è un piccolo eroe nel dramma vesuviano. Parecchie umane vite furono da lui salve”[13].

   Nella pubblicazione di D’Amico Editore, oltre al lavoro di Francesco Mastriani, c’è anche la relazione del prof. Luigi Palmieri «Incendio vesuviano del 26 aprile 1872». Lo scienziato viene più volte citato nello scritto di Mastriani: “Fu in questa memorabile occasione (eruzione del dicembre 1631) che venne fondato il romitorio detto del Salvatore, appo il quale fu ai tempi nostri costrutto l’Osservatorio Meteorologico, in cui nella ultima eruzione l’egregio prof. Luigi Palmieri rimase intrepido al suo posto, mentre tutto un inferno era aperto attorno a lui” [14].

   Secondo il Palmieri, che fu l’inventore del sismografo elettromagnetico, “strumento elettromagnetico di una squisitezza grandissima [15], “La luttuosa conflagrazione del 26 aprile 1872 è stata da me considerata come l’ultima fase di un lungo periodo eruttivo cominciato col principio dell’anno 1871. Credo che questa sentenza meriti di essere più ampiamente dichiarata” [16].

                                                 ROSARIO MASTRIANI

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[1] Francesco Mastriani, L’eruzione vesuviana del 1872, Napoli, G. Nobile, 1872, pag.81

[2] Ibidem, pag. 17

[3] Ibidem, pag. 11

[4] Ibidem, pag. 19

[5] Ibidem, pag. 19

[6] Ibidem, pag. 8

[7] Ibidem, pag. 8

[8] Ibidem, pag. 61

[9] Ibidem, pag. 61

[10] Ibidem, pp. 47-48

[11] Ibidem, pag. 65

[12] Ibidem, pag. 71

[13] Ibidem, pag. 64

[14] Ibidem, pag. 16

[15] Luigi Palmieri, Incendio Vesuviano del 26 aprile 1872, Torino, Fratelli Bocca, 1872, p. 19

[16] Ibidem, pag. 17