COMMENTO

  Questo romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1873 con titolo di Arlecchino, fu poi edito sulle appendici del «Roma» nel 1890 col titolo Il muratore della sanità; e ci fu anche un’edizione della Salani di Firenze col titolo Ridi buffone. Sia nell’edizione di Luigi Gargiulo che in quella di Giosuè Rondinella del 1879, c’è una breve prefazione in lingua spagnola, non tradotta, di Benito Perez Galdos, tratta da «La fontana de oro».

   Romanzo decisamente narrativo, con pochi i riferimenti storici. Intreccio abbastanza semplice, in cui spicca una storia d’amore, problematica all’inizio, ma che si conclude a lieto fine.

  Il racconto inizia nel novembre del 1815, sette mesi dopo la caduta di Gioacchino Murat da re di Napoli «Il 22 maggio, all’una dopo il mezzogiorno di quell’anno 1815, erano entrati in Napoli ventimila austriaci, capitanati dal Generale Bianchi, i quali riconducevano il principe di Salerno, don Leopoldo Borbone, figliuolo secondogenito di re Ferdinando IV […] Gioacchino Murat, ex re di Napoli, era fuggiasco»[1]. Viene citata un’importante opera stradale, che il re francese aveva fatta realizzare nella capitale: «Furono adoprati la maggior parte di quelli che aveano costruito il bellissimo ponte della Sanità, di cui la città va debitrice al re Gioacchino Murat» [2].

   E buttandosi giù dal Ponte della Sanità, il muratore Aniello voleva porre fine ai suoi giorni; Mastriani fa all’uopo una breve digressione sul suicidio «Avvi certe ore in cui l’ignoto della morte è meno orribile dell’ignoto della vita […] Il sonno eterno è porto di salvezza […] Un movimento, un capitombolo… e addio! Il sogno della vita sparisce»[3]. Decisamente contrario è Mastriani all’idea che una persona possa risolvere i suoi problemi con l’insano gesto del suicidio: «A tutti quegl’infelici e disperati che risolvono di por fine col suicidio alle loro sofferenze, noi vogliamo dare un consiglio: Aspettate un altro giorno, altre 24 ore. Siamo sicuri che 24 ore basteranno a far mutare la risoluzione del suicidio»[4].

   Un personaggio che troviamo spesso nei romanzi di Mastriani, è il padrone di casa, di cui egli stesso, nella sua sventurata vita ne fu vittima. In questo lavoro lo definisce addirittura un «vertebrato che vive sul codice come un vermiciattolo sul cacio», e ancora; «Ci sono dei funghi che si nudriscono su i pioppi, e i funghi petraiuoli che si nudriscono su le pietre: sono appunto i padroni di casa» [5].

   Solita tematica sulla ricchezza e la povertà; e i due protagonisti sono l’uno, il barone di Cupaverde, un eccentrico ricco, e l’altro Aniello Falcone, un povero muratore, e in quell’epoca la condizione degli operai muratori era delle più infelici: «La classe degli operai muratori è delle più misere, e la mercede non risponde alle fatiche ed a’pericoli di quest’arte»[6].

   Il barone di Cupaverde era un ricco, dotato però di un cuore compassionevole, e non lesinava a fare del bene e lui stesso definiva a malo modo le persone agiate: «I ricchi figliuol mio, sono la maggior parte o ladri o figli di ladri» [7], e al muratore Aniello che gli voleva baciare le mani per riconoscenza, lo redarguisce dicendogli «Or su non devi baciare altre mani che quella di tua madre […] In Napoli si baciano tante mani che meriterebbero di essere mozzate dal boia» [8].

   Personaggio eccentrico, il barone nel corso della sua vita, per combattere la monotonia che lo assillava, diventa un brigante in una banda calabrese. Viene poi catturato dai soldati del generale Manhes, spedito in quelle province per distruggere quella piaga sociale. Glie viene però condonata la vita «e, al momento di partirsi, fu udito ad esclamare: Pure, avrei avuto tanto piacere di provare la commozione della fucilazione!»[9].

   Uno dei protagonisti del racconto è Arlecchino, figlio del muratore della Sanità, rapito ai genitori in tenera età, disperato il padre per la scomparsa del figlio «La sera stessa, corsi alla parrocchia, e feci suonare per tutto il quartiere i campanelli per domandare se qualcuno avesse trovato un fanciullo smarrito»; e Mastriani spiega questo modo di agire in una nota a pie’di pagina «Era questa ed è forse ancora in certi rioni della nostra città la costumanza della bassa gente. una persona, spedita dalla parrocchia, va in giro pel quartiere domandando a suon di campanello del fanciullo smarrito»[10].

                                                                            ROSARIO MASTRIANI

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[1] Francesco Mastriani, Arlecchino, Napoli, L. Gargiulo, 1873, vol. I, cap. V. pag.73.

[2] Ibidem, vol. I.  cap. II, pag.19.

[3] Ibidem, vol. I. cap. III. pag. 51.

[4] Ibidem, vol. III. cap. XXII. pag.98.

[5] Ibidem, vol. I. cap. I. pag. 13.

[6] Ibidem, vol. I.  cap. I. pag. 6.

[7] Ibidem, vol. III. cap. XXIII. Pag.101.

[8] Ibidem, vol. III. Cap. XXIII. Pag. 101.

[9] Ibidem, vol. I. cap. VI. pag. 90.

[10] Ibidem, vol. II. cap. XIII. pp. 55-56.