COMMENTI

   In questo primo romanzo di Francesco Mastriani ci troviamo delle peculiarità che troveremo in quasi tutti i lavori dello scrittore, come il lieto fine del racconto o la presenza di personaggi o troppo buoni o troppo cattivi. Senz’altro il racconto è parto della fantasia dello scrittore; il Mastriani «ricercatore di drammi dell’umana vita» [1], lo ritroviamo negli ultimi suoi anni di vita, quando da appendicista collaborava col quotidiano Roma.

Pur tuttavia ci troviamo in questo romanzo due personaggi realmente esistiti, e pure di un certo calibro: Napoleone Bonaparte che viene citato più volte e che l’autore considera un italiano: «Volgeva allora il tempo del più grande splendore della Francia. La stella napoleonica brillava sul novello trono imperiale che erasi innalzata su i trofei del più vittorioso esercito d’Europa; ed il mondo spaventato stupefatto guardava con ammirazione quell’ITALIANO immortale che tener sembrava nelle sue mani il destino delle nazioni».  [2]

    Importante è pure la citazione del sultano di Costantinopoli Mamhud II, che fu quello che cercò di avviare le riforme sociali-religiosi in Turchia. Buona parte del romanzo si svolge a Costantinopoli, e molte delle tematiche relative alla vita che si conduceva nei serragli turchi, verranno poi riprese dall’autore nel romanzo Karì-Tismè Memorie di una schiava.

   Molto interessante e dettagliata  le descrizione di Pompei «il cui nome deriva dal Greco Pompeion, che significa magazzino. Questa città, fu atterrata dal Vesuvio il dì 24 agosto dell’anno 79 dell’Era cristiana»[3]

   Nel tempo in cui avvenivano i fatti del racconto, era in vigore l’arresto personale per qualsivoglia debito non soddisfatto, dalla somma di 6 ducati in su. L’arresto personale per Mastriani è una legge barbara, iniqua, che la civiltà non può tardare a cancellare da’ codici delle presenti nazioni. In una nota a piè di pagina,  scrive: «parlammo a lungo su i funesti effetti di questa legge nella nostra opera I vermi. Studi storici su le classi pericolose in Napoli» [4]

   Decisamente contrario all’aborto che viene addirittura considerato un parricidio; e a pagina 50 del vol. III. nel cap. XII. «Il battesimo, viene descritto il gesto di una schiava di un Serraglio turco, che per tema della morte che le sarebbe spettata se il Sultano si fosse accorto esser lei incinta, ricorse ad un’erba infame, infanticida, trangugiò quell’erba ed ogni segno di maternità disparve». [5]

   «E qui ci si perdoni una breve digressione alla quale ci mena naturalmente questo soggetto, e che non possiamo trasandare senza che ci punzecchi un rimorso. Basta egli per dirsi madre l’aver cacciato fuora un uomo, come la terra una pianta? Ma la terra alimenta i suoi prodotti e non li lascia in balia d’una straniera nutrice. In questo secolo, in cui l’educazione de’ figliuoli si adempie da ogni altro che da’ propri genitori, tosto che il fanciullo alle prime aure di vita vien tratto è dalla madre respinto, e posto nelle braccia di una donna straniera, la quale abbandona sovente la sua famiglia per vendere un latte ch’ella ha rapito a’ suoi figliuoli. Ed una siffatta donna potrà esser mai temperante e onesta? Quante volte, dopo smodati esercizi, darà ella a poppare al fanciullo un latte acre e corrotto? Quante volte, sfinita da eccessi d’una sregolata intemperanza, abbandonando le orge d’un banchetto, porgerà al tenero bambino una alimentazione carica d’un principio venefico anzi che d’un fluido nutritivo? Quante volte, dalla sete del guadagno sedotta, nutrendo ella in un tempo molti fanciulli, sarà obbligata di opprimere il delicato stomaco di alcuno di loro con panate indigeste o con altri cibi forti e aromatici, cagioni delle più mortali malattie? Quante volte non l’agiterà ella violentemente nella cuna per soffocarne le grida importune, ed agiterà a segno il suo molle tessuto nervoso, da disporlo in seguito ad epilettiche convulsioni? E chi può tutt’i disordini numerare, di cui l’ignoranza o la prava indole delle nutrici esser possono cagione? Uno però dei più grandi inconvenienti è forse ancora il troppo amore che i fanciulli portano alle nutrici, cui sono stati affidati. Ben diceva il filosofo Ginevrino: Là où j’ai trouvè les soins d’une mère, je dois l’attachement d’ un fils. Quel purissimo amor filiale, il più dolce infra gli umani sentimenti, non sarà tutto alla madre rivolto; un istinto imperioso, una forza naturale, direi quasi un bisogno, ci porta ad amare coloro che presero cura della nostra fanciullezza; ed in tal caso, vediamo se il fanciullo amerà la madre o la nutrice. Qual è per lui la madre?  forse colei che lo defraudò delle sue ineffabili carezze? Ma quella donna che ricusò il suo seno al proprio figliuolino senza una giusta ragione ben presto sentirà i tristi effetti d’un tanto colpevole abbandono. Madri snaturate, che affidate alle cure di mercenarie nutrici il primo indispensabile dovere che la natura v’impone, non crediate che immuni andrete del vostro fallo. Bentosto il disamore dei vostri figliuoli, la diversa indole di costoro, e molte infermità cui andranno soggetti, l’indifferenza de’ vostri consorti, il disprezzo degli uomini saggi, e finalmente il vostro stesso fisico e morale decadimento, faranvi accorte, che la natura non lascia impunita la infrazione delle inviolabili sue leggi. [6]

                                                                               ROSARIO MASTRIANI

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[1] FRANCESCO MASTRIANI, Forza morale, nella Prefazione del romanzo, Napoli, Appendici del Roma, 1890.

[2] FRANCESCO MASTRIANI, Sotto altro cielo, Napoli, F. Lubrano e D. Palmieri, 1881, vol. III. cap. X. «Partenza», pag. 36.

[3] Ibidem, vol. I. cap. III «Pompei», pag. 16 e cap. V «Un matrimonio in Mola di Gaeta», pag.28.

[4] Ibidem, vol. II. cap. XX. «Debiti», pag. 23.

[5] Ibidem, vol. III. cap.XII. «Il battesimo», pag. 50.

[6] Ibidem, vol. I. cap. II. «Cesare e Corinna», pag. 11.

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   Sotto altro cielo è il primo romanzo di Francesco Mastriani. sarebbe utilissima un’edizione affidabile di quest’opera, innanzitutto perché in essa già affiorano temi importanti e ricorrenti nella produzione narrativa del Nostro, e poi anche perché si nota qui una spiccata, disinvolta tendenza a far uso di lunghe digressioni le quali, come già notò Antonio Palermo, costituiscono un elemento distintivo dello stile di Mastriani. Un tema centralissimo del romanzo, che diventerà tema addirittura ossessivo per lo scrittore, è quello dell’ereditarietà dei caratteri, morali e psicologici (non solo somatici) che sfocerà nell’interesse per la frenologia, grazie anche agli studi del fratello Giuseppe di cui val la pena di ricordare il trattato Notomia Morale, ossia calcolo delle probabilità dei sentimenti umani, pubblicato in Napoli nel 1855.

   Sul fronte filologico, la ricostruzione del testo non si presenta senza difficoltà. Per cominciare, non si è mai trovata una copia della prima edizione (del 1848 nell’Elenco de’miei romanzi)[1]. Affidabilissima è certamente l’edizione Salvati s.a. (forse del 1892 secondo MMA[2]. Ma più probabilmente uscita a stampe qualche anno prima visto che l’accordo/contratto con Gennaro Salvati prevedeva una pronta revisione di tutti i romanzi in cui presumibilmente Sotto altro cielo fu il primo). Non di poco conto sono le varianti fra la prima edizione nota e la Salvati s.a. [3] [4]

                                                                           FRANCESCO GUARDIANI

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[1] L’importantissimo manoscritto autografo in cui sono indicati cronologicamente 107 romanzi.

[2] Cristiana Anna Addesso, Emilio e Rosario Mastriani, Che somma sventura è nascere a Napoli, Roma, Aracne, 2012.

[3] Da segnalare altre due edizioni in possesso degli Eredi Mastriani: Francesco Mastriani, Sotto altro cielo, Seconda edizione, Napoli, Tipografia di Luigi Gargiulo, 1863; Francesco Mastriani, Sotto altro cielo, Quarta edizione, Napoli, F. Lubrano e D. Palmieri, 1881.

[4] Francesco Guardiani, Napoli città mondo nell’opera narrativa di Francesco Mastriani, Firenze, Franco Cesati Editore, 2019.