QUADERNI DEL CARCERE

   I laici hanno fallito il loro compito storico di educatori ed elaboratori della intellettualità e della coscienza morale del popolo-nazione, non hanno saputo dare una soddisfazione alle esigenze intellettuali del popolo: proprio per non aver rappresentato una cultura laica, per non aver saputo elaborare un moderno «umanesimo» capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e incolti, come era necessario dal punto di vista nazionale, per essersi tenuti legati a un mondo antiquato, meschino, astratto, troppo individualistico o di casta. La letteratura popolare francese, che è la più diffusa in Italia, rappresenta invece, in maggior o minor grado, in un modo che può essere più o meno simpatico, questo moderno umanesimo, questo laicismo a suo modo moderno: lo rappresentarono il Guerrazzi, il Mastriani e gli altri pochi scrittori paesani popolari […]. Il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce nel tempo stesso) il fantasticare del popolo, è un vero sognare ad occhi aperti. Si può vedere ciò che sostengono Freud e i psicanalisti sul sognare ad occhi aperti. In questo caso si può dire che nel popolo il fantasticare è dipendente dal «complesso di inferiorità» (sociale) che determina lunghe fantasticherie sull’idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati ecc.

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   Antonio Gramsci, nello stesso capitolo cita Aldo Sorani, che si è occupato spesso della  letteratura popolare,  e che nel «Marzocco» del 13 settembre 1931 ha pubblicato un articolo Romanzieri popolari contemporanei, dove si legge tra l’altro:

   «Quando all’Italia credo che ci si potrebbe domandare perché la letteratura popolare non sia popolare in Italia». Non è detto con esattezza; non ci sono in Italia scrittori, ma i lettori sono una caterva. «Dopo il Mastriani e l’Invernizio mi pare che siano venuti a mancare tra noi i romanzieri capaci di conquistare la folla, facendo inorridire e lacrimare un pubblico di lettori ingenui, fedeli e insaziabili. Perché questo genere di romanzieri non ha continuato ad allignare tra noi? La nostra letteratura è stata anche nei suoi bassifondi troppo accademica e letteraria? I nostri editori non hanno saputo coltivare una pianta ritenuta troppo spregevole? I nostri scrittori non hanno fantasia capace di animare le appendici e le dispense? O noi, anche in questo campo, ci siamo contentati e ci contentiamo di importare quanto producono gli altri mercati? Certo non abbondiamo come la Francia di “illustri sconosciuti” e una qualche ragione per questa deficienza ci deve essere e varrebbe forse la pena di ricercarla».

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   ANTONIO GRAMSCI, nome completo, così come registrato nell’atto di battesimo,   Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937), è stato un politico, filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario italiano. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, divenendone esponente di primo piano e segretario dal 1924 al 1927, ma nel 1926 venne ristretto dal regime fascista nel carcere di Tuti. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita.

   Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne.