FATTI DI PARIGI. 20 GENNAIO 1867

  Una donna e un gendarme sono davanti il tribunale di polizia correzionale. Fortunatamente l’una ha gli abiti del suo sesso e l’altro la divisa del suo corpo; altrimenti sarebbe stato difficilissimo d’indovinare quale dei due fosse il gendarme e quale la donna, vedendoli lottare insieme ferocemente.

   La donna è accusata di vagabondaggio e di ribellione: la ribellione, il gendarme la farà conoscere; quanto al vagabondaggio, è già stabilito per mancanza di mezzi e di domicilio dell’accusata.

   Il presidente – Voi dovere dire chi siete e ciò che siete, poiché in fatto di carte, non si è trovato addosso a voi che una carta singolare per una donna, vale a dire un certificato di liberazione dal servizio militare (clamorose risa nell’uditorio). Voi mi spiegherete il tutto sull’istante.

   Il Gendarme – Io ho arrestato sulla via questa donna in procinto di gittar nel fango e conciar per le feste con sonori pugni un uomo, che ciò non pertanto era d’una statura bastantemente robusta. Il poveretto si dibatteva e difendeva alla meglio; ma ella era colle ginocchia sul ventre di lui e il teneva fermo. Con una mano il teneva per la gola e con l’altra gli ha rovinato il naso con pugni di nuovo genere. Quell’infelice ha avuto appena la forza di gridare: Soccorso!… Assassino!… Sono accorso ai suoi  gridi, e ho dovuto fare non pochi sforzi per liberarlo da quella iena. Ero finalmente giunto a sollevarlo da terra sostenendolo per un braccio; ma colei l’aveva afferrato pei capelli e lo rimenava per terra. E non si sarebbe il povero uomo sbarazzato da lei se il ciuffo di capelli non gli si fosse strappato rimanendo nelle mani della donna (risa). Quell’uomo ed io abbiamo corso un pezzo dietro a lei; e non potete immaginarvi che lotta abbiamo sostenuta per impossessarcene; e m’ha minacciato nientemeno di farmi ingoiare la mia sciabola (risa rumorose nell’uditorio). Finalmente, l’abbiamo ligata e l’abbiamo trasportata; nel tempo stesso, però che le si è trovato addosso un certificato di liberazione dal servizio militare, abbiamo supposto che fosse un corazziere vestito da donna (nuove risa). Soltanto, avendo visto com’ella non ha nessun pelo in faccia, persuadendoci che era una donna, abbiam detto: Con donne come queste, si potrebbe fare una rigorosa coscrizione. Ecco il fatto autentico, come ho avuto l’onore di esporre.

   Il presidente all’accusata – Perché maltrattavate un uomo sulla pubblica via?

   L’accusata – Signore, io l’ho maltrattato perché ha avuto l’audacia di avvicinarmisi e di dirmi nell’orecchio ch’io era la più mostruosa donna ch’egli avesse mai vista, e m’ha fatto alcune proposte indecenti. Allora gli ho assestato un sonoro pugno, al che ha risposto con un altro; io mi son difesa come meglio ho potuto, e senza l’aiuto del gendarme sarei soccombuta, tanto chiaro come due e due fan quattro.

   Il presidente – Voi dite il contrario di ciò che ha detto il gendarme, poiché egli ha dichiarato d’aver durato gran fatica per liberare quell’uomo dalle vostre mani.

   L’accusata – Io era talmente in collera che ciò m’ha dato la forza. Un uomo ch’io non conosceva, senza farmi la minima dichiarazione, né dirmi che m’ama, se ne viene per compromettermi con un attentato disonesto.

   Il presidente – Sentiremo l’uomo.

   Il D. Giovanni di strada maestra è chiamato in giudizio. Egli dice di aver bevuto del vino, e confessa benanche di avere un po’scherzato con l’accusata, e soggiunge: Se avessi saputo d’aver che fare con un granatiere di quella specie, non mi ci sarei sfregato.

   Ciò dicendo, egli trae di saccoccia un pezzo di carta e ci conserva quel ciuffo di capelli di cui abbiamo già parlato.

   Il presidente all’accusata – Ora mi direte che cosa è codesto certificato di liberazione dal servizio militare trovatovi addosso.

   L’accusata – Signor Presidente, vi dirò tutto. Io l’ho trovato per caso. Allora m’è venuta un’idea: essendo bastantemente forte…

   Il presidente – Ed in fatti, il gendarme e quest’uomo ne sanno qualche cosa.

   L’accusata – Mi venne l’idea di applicarmi ad un lavoro da uomo per guadagnare di più; e mi si presentò l’occasione d’un lavoro come vecchio militare (risa). Io sono stata giovane d’osteria, muratore, carrettiere e scavatore. Un giorno, uno dei miei padroni mi disse:

   «Ascoltami. Tu sei un bravo giovanotto, resisti al lavoro come un cavallo, né io voglio disordinarti nelle tue cose; ma se sei contento, ti propongo mia figlia per isposa». (risa prolungate). Vi lascio considerare il mio imbarazzo; fui pertanto costretta a rifiutare la proposta del mio padrone, il quale montò in bestia, e dovetti confessare il tutto. Allora avendo ciò saputo tutti gli altri lavoranti, mi fu impossibile di più rimanere; e, cessato d’esser uomo, me ne venivo a Parigi, quando è accaduta la faccenda del gendarme.

   Il presidente – Potete dire in casa di chi avete lavorato?

   L’accusata – Certamente,

   L’accusata depone i nomi e cognomi dei diversi padroni che l’hanno impiegata come uomo; fa notare colui che gli aveva offerto la figlia in matrimonio, ed il tribunale si rimette ad altri otto giorni per farli citare.

                                                    FRANCESCO MASTRIANI