FRANCESCO MASTRIANI LO SCRITTORE CHE AMÒ NAPOLI

   Più volte mi è stato chiesto di dare un giudizio sul romanziere napoletano, mio avo, la cui produzione letteraria conta circa 900 lavori: 105 romanzi, 250 novelle e racconti, 40 commedie, farse e drammi, circa 200 articoli vari, 49 poesie e oltre 150 tra dissertazioni, conferenze, discorsi funebri ed accademici.

   Naturalmente, essendo coinvolto in prima persona, ho cercato per quanto possibile, di essere obiettivo e non considerare di essere un suo discendente. Del resto sono intimamente convinto che non vi è alcun merito da attribuirsi per il solo fatto di essere discendente di una persona famosa, e che il valore di ciascuno di noi va misurato esclusivamente dal modo di comportarsi in società. Il valore ereditario aggiunto lasciamolo a chi ci crede e ne ha bisogno!

   Chiarito ciò, pur nondimeno va osservato che vi è sempre il rischio di essere troppo indulgenti nel giudicare i propri ascendenti e familiari. Ecco perché ho cercato di essere molto razionale nel dare un giudizio sul romanziere napoletano cercando anche di scoprire se avesse qualcosa da farsi perdonare per il fatto che non sia stato considerato dalla critica letteraria come si conviene ad un uomo coltissimo, umile, onesto, religiosissimo e dalla fantasia illimitata.

   Scriveva De Lauzieres di Mastriani:

   In questi giorni egli ha compiuto un romanzo nelle appendici dell’Occhialetto, intitolato “Un muscolo cavo”; un lavoro letterario pei tipi di Gargiulo, “Arlecchino”; e, mentre sta pubblicando il romanzo “La catalettica”, anche per il giornale il Secolo di Milano, “Giambattista Pergolesi” per conto dell’editore G. Rondinella, e “Nerone in Napoli”, romanzo storico importantissimo a ciò che se ne dice”… “Augurando a così modesto e simpatico autore una casa editrice dell’alta Italia che acquisti quest’ultimo lavoro e sappia diffonderlo meglio che non si può o si usa nelle nostre provincie, aggiungiamo, per concludere, che il Mastriani non s’ebbe altro torto se non quello di nascere in Italia e nell’Italia del mezzogiorno. A Parigi o a Londra, con i tanti suoi lavori, avrebbe già da un pezzo ottenuto ricchezza e celebrità.

   Lo scrittore partenopeo rispetto al potere, aveva un atteggiamento indipendente ma austero, non certo di opposizione, ma nemmeno di servilismo, e non accettava ordini od imposizioni di sorta da chicchessia; era quel che si dice un uomo dalla schiena dritta. Illuminante, a tal proposito, un piccolo episodio tramandatoci dal figlio Filippo, nei suoi “Cenni sulla vita e sugli scritti di Francesco Mastriani”.

   … il nostro romanziere, una volta che il temibile Capo della Polizia, Peccheneda, chiese all’usciere di avvertire il personale tutto di recarsi al lavoro anche il giorno dopo, che era una Domenica, rispose: “io non verrò”.

   L’usciere, meravigliatissimo di questa risposta, ricordò allo scrittore che l’ordine era stato dato direttamente da Sua Eccellenza il Direttore.

   “Benissimo – rispose Francesco – direte a Sua Eccellenza che la Domenica io la consacro interamente alle pratiche religiose ed ai doveri di cristiano. Quindi non verrò. Domineddio è al di sopra del Direttore Generale”.

   Anche rispetto al potere religioso Mastriani dimostrò di essere un uomo tutto d’un pezzo e di non accettare pedissequamente e senza reagire, l’operato della Chiesa. Fieramente infatti, quando la Chiesa censurò uno dei suoi romanzi-capolavoro “I Vermi”, affermò:  

   Non ci possono essere altri motivi che abbiano potuto indurre la censura romana a porre all’indice la nostra opera, tranne quello della nostra dichiarata avversione, che in questo nostro lavoro, mostrammo al già rovinante vecchi edificio del Potere temporale dei papi; il quale considerammo sempre come prima causa dei mali che in ogni tempo travagliarono l’Italia.

   Per quanto il sottoscritto abbia studiato l’autore, attraverso la lettura dei suoi elaborati ed analizzato il suo modus operandi, ha intravisto solo dei piccoli, se non piccolissimi comportamenti discutibili e qualche errore dovuto, parte ad ingenuità, e parte alla necessità di adeguarsi all’allora sistema vigente, per poter sopravvivere e rendere la vita della sua famiglia almeno decorosa.

   L’errore che maggiormente la critica addebita al Mastriani è quello di essere stato prima filo-borbonico e poi, con la nascita di quel fervore patriottico indotto dalla venuta di Garibaldi, di essersi avvicinato alle idee rivoluzionarie della Unificazione dell’Italia. In realtà Mastriani in tutta la sua vita non ha mai fatto politica. Aggiungo anche che egli non avrebbe potuto parteggiare né per gli uni né per gli altri, visto che il suo “basso romanticismo” e la sua “Carità cristiana” gli impedivano il solo immaginare qualsiasi forma di azione violenta. In più di qualche romanzo egli afferma di essere convintamente neutrale, negando in ogni caso, la validità di una rivoluzione sociale, anche se fatta in nome della lotta di classe ed a favore del popolo sofferente.

   Del resto non vi è nessun riscontro che l’autore avesse fatta mai alcuna azione a favore dei borbonici; anzi, spesse volte criticava la politica dei regnanti che non facevano nulla per le classi indigenti, lasciandole nella più assoluta ignoranza e povertà. Ad onor del vero, però, occorre ricordare che lo scrittore partenopeo aveva accettato nel 1851 dallo stesso Direttore dello Interno Commendatore Don Gaetano Peccheneda, la nomina a Compilatore del “Giornale delle Due Sicilie” e del giornale ministeriale “L’Ordine”, e poi nel 1858 l’incarico di Revisore dei vari fogli letterari, che equivaleva ad una sorta di censore. Di fatto, però, egli non fece mai alcuna azione in tal senso, ne avrebbe potuto, visto che di lì a pochi mesi cominciarono le prime avvisaglie della rivoluzione che portarono, con Garibaldi, all’Unità d’Italia.

   Il romanziere napoletano, d’altra parte, trascorreva tutte le sue giornate a scrivere per editori, per lo più senza scrupoli, che non gli davano neppure il minimo indispensabile per sopravvivere tant’è che egli era costretto a dare anche lezioni private di italiano, inglese, spagnolo, francese, storia e geografia. Come poteva dedicarsi alla politica, stante la continua ed estrema necessità che aveva di lavorare per poter dare alla famiglia un minimo di sostentamento e dignità?

   Egli oltretutto, e ciò è stata considerata una aggravante dai suoi detrattori, non frequentava circoli privati, né circoli culturali, né ambienti fini od eleganti. Tutte le sue ore diurne egli le trascorreva a contatto con il popolo, che lui amava profondamente, prendendo continuamente spunti per i suoi romanzi e, tornato a casa, di sera scriveva e studiava fino a notte fonda. Il suo stato di necessità economica, assoluta, è dimostrato dalle sue innumerevoli richieste di aiuto a parenti ed amici.

   Lettera al suocero Raffaele Mastriani:

   Debbo con mio sommo rincrescimento ricorrere novellamente alla vostra bontà essendomi al tutto mancati diversi pagamentucci che aspettavo… vi prego, vi scongiuro, per quanto amate me, Concetta e la famiglia; fate ch’io trovi una somma da scontarla mensualmente…

   Ed ancora:

   Per mancanza di denaro vengo minacciato che si scomponga il mio romanzo, per la benedetta carta. Potete farmi la grazia di farmi avere a respiro, o pagabile dopo qualche mese un poco di carta? Vi mando il modello; me ne occorrerebbero per ora una decina di risme; ma se volete usarmi tanta grazia vi pregherei per la sollecitudine. Vi ringrazio anticipatamente e vi bacio le mani.

                              Devotissimo figlio Francesco

 

   Lettera a Carlo Postiglione:

   Francesco Mastriani ossequia distintamente l’egregio Signor. Comm. Carlo Postiglione, gli augura felicissima la Santa Pasqua; e abusando della somma cortesia di lui, ardisce pregarlo pel favore del prezzo anticipato di un suo nuovo lavoro intitolato “Don Giovanni d’Austria”, di prossima pubblicazione. Il prezzo del romanzo, in quattro volumetti è di Lire Due. Con infiniti ringraziamenti, il Mastriani sopradetto. P. S. Unitamente col “Don Giovanni d’Austria”, il Sig. Comm. Riceverà l’altro romanzetto col titolo “Lo Zingaro”.

 

Lettera al cognato Ferdinando:

   Caro Ferdinando, so che sono importuno sino alla impertinenza; ma so pure che tu sei la quintessenza della cortesia. Debbo ripiegarti pe’calzoni neri. Spero pertanto che questa sarà l’ultima volta che ti secco, giacchè nella entrante settimana ho da farmi assolutamente un paio di calzoni.

Ed ancora:

   …Fammi il piacere di mandarmi la tua cravatta colorata, un calzone d’inverno o d’està a tuo piacimento, e non dimenticare di portarmi tu stesso il tuo orologio e il cappello italiano…

            Tuo affezionatissimo Francesco

 

   È utile ricordare, a dimostrazione della sue estrema difficoltà economica, una frase scritta in un suo diario, tramandatoci dal figlio Filippo. In corrispondenza della data del 16 settembre 1865 si legge:

                                        Privazioni, debiti, miseria, fame!

 

   Illuminante è, a questo proposito, anche il racconto di un anonimo, appassionato dei romanzi di Mastriani, recatosi a visitarlo.

   Da L’Avvenire d’Italia del 14 febbraio 1871:

   … mi mancavano i mezzi d’una formale presentazione: supponevo che l’indirizzo di Mastriani richiedesse il titolo di Commendatore, Consigliere, Cavaliere o per lo meno un tantino di Eccellenza. Confesso che la sua persona, a me sconosciuta, mi dava soggezione.

   Vincendo il mio imbarazzo, al contatto dell’aristocrazia e del merito, oso scrivergli ed ho in risposta un piccolo ritratto segnato dal seguente indirizzo: emiciclo a Capodimonte n. 6, dalle 7 alle 8 p. m.

   Provai un momento d’orgoglio. Dimenticai financo di ringraziare il gentile libraio Perrucchetti, latore dell’appuntamento. Mi sdraio in una carrozzella, con gli stivali lucidissimi e un paio di guanti nuovi, e do l’indirizzo al cocchiere.

   «Siamo giunti» mi dice costui dopo una corsa di mezzora.

   «Al palazzo Mastriani?».

   «All’emiciclo a Capodimnote n. 6».

   «Ma Mastriani  non può certamente dimorare nelle case degli operai, tra la povera gente!».

   Avevo torto! Ascesi le scale con la lentezza della disillusione, ed entrai nella sua casetta.

   Mastriani è un’amabile e modesta persona e vive col frutto della propria intelligenza, dando anche lezioni di grammatica, aritmetica, di geografia, etc. Ciò non mi parve bello in una città illustre come Napoli.

   Da quel momento cominciai a martellarmi il cervello per trovare una ragione plausibile a quella specie di oblio in cui viveva Mastriani. e più tardi mi spiegai l’arcano.

   Mastriani non è moderato; non si schiera tra i martiri; non ha occhiali color di rosa; non ha livrea; non è politicante, ne è consorte!

   Mi sono spiegato?

 

   Per quanto riguarda la sua appartenenza filo-borbonica ricordiamoci che Mastriani nel luglio del 1860 aveva aderito al movimento di liberazione e nel settembre dello stesso anno aveva indossato la divisa della guardia nazionale:

   … io non posso mancare di trovarmi tra le fila dei generosi, a cui la patria ha affidato la sua difesa… amo la patria con lo stesso tenerissimo amore onde amo la mia famiglia, e sono felice se, dopo aver ad essa consacrato venti anni di studii e di letterari lavori, io possa rischiare per essa la vita… raccomando l’anima mia alla SS. Vergine Immacolata, al Santo Francesco di Paola, all’anima benedetta del figlioletto Adolfo, Ave Maria.

 

   Il Mastriani, in effetti, viveva semplicemente il suo tempo nel contesto politico in cui si era venuto a trovare, come succede alla quasi totalità delle persone: ci si trova in una situazione data e si va avanti, spesso senza chiedersi il perché. Non si chiede di venire al mondo, ne quando e dove nascere. A tal proposito è utile ricordare la famosa frase del romanziere:

Che somma sventura è il nascere a Napoli

   Del resto anche alcuni dei suoi ascendenti, persone di elevata cultura ed indubbia onestà (morti tutti poveri) avevano prestato la loro opera presso principi e regnanti:

   –. Francesco Saverio Mastriani era stato Architetto della Casa Reale;

   –. Giuseppe Mastriani grande economista era stato al servizio del Duca di Belgioiosa;

   –. Antonio Mastriani, magistrato della Camera della Sommaria (oggi Corte dei Conti) costretto a frequentare nobili per il suo lavoro, spesso accampava delle scuse per allontanarsi dalle case patrizie e trascorreva il suo tempo con i poveri, per i quali provava un reale trasporto umano, evitando le mollezze dei salotti aristocratici, per lui aridi, inconsistenti, superficiali.

   Dobbiamo condannare tutte le persone perbene nate, non per colpa loro, in periodi storici non democratici ove non regnava la giustizia? Ma allora anche oggi, nel sistema democratico esistente dovremmo ribellarci per la mancanza di equità sociale! Quanti di noi sarebbero pronti ad abbracciare, de facto, le conseguenze di una lotta di classe? Mastriani, nato in quel periodo storico, viveva quasi da solitario anche se, paradossalmente, era sempre a contatto con il suo popolo che amava intensamente.

   Vogliamo, per questo, incolparlo di mancato spirito rivoluzionario? Di non essere stato un antesignano del movimento di liberazione?  Di non essere stato un eroe della rivoluzione? Allora se questa è una colpa, dobbiamo dire che aveva ragione il De Sanctis che parlando degli intellettuali meridionali affermava che:

   … nelle opere degli intellettuali napoletani manca il necessario contenuto patriottico e civile…

   A parer mio, invece, l’atteggiamento del De Sanctis è inaccettabile perché, se egli è vero che ogni individuo è libero di dedicarsi alla politica, come egli stesso fece, è vero, viceversa, che ogni uomo deve essere libero anche di non dedicarvisi, cosa che l’autore della celeberrima e monumentale Storia della Letteratura Italiana non accettava, nel modo più assoluto.

   Proprio la citata frase del De Sanctis, sintomatica per la comprensione del pensiero del grande letterato, lascia intendere il perché tanta parte degli intellettuali meridionali è stata osteggiata dal Governatore di Avellino, due volte Ministro dell’Educazione.

   Ricordiamo che, con la sua nomina a Ministro, egli fece epurare con un sol colpo 34 professori dell’Università di Napoli e tutta la intellighenzia che aveva operato con il Regno dei Borboni.

   Si capisce bene, ora, il perché nella famosa conferenza che il De Sanctis tenne al Circolo Filologico di Napoli il 15 giugno del 1879, su “Zola e l’Assommoir” e che fu il casus belli della successiva polemica, egli abbia volutamente ignorato il Mastriani; ciò fu dovuto esclusivamente a motivi politico. Il nostro romanziere aveva la sola colpa di non essere un rivoluzionario. Oltretutto il Ministro lo mortificò (a torto), in maniera insanabile, affermando che nessuno tra gli scrittori partenopei aveva osato indagare il ventre di Napoli.

   Cosa così evidentemente falsa che dimostra, da sola, quanto sia stato in malafede il De Sanctis, in quanto il Mastriani, a quella data (1879), aveva già scritto e dato alle stampe “I Vermi” nel 1863/64, “Le Ombre” nel 1868 ed “I Misteri di Napoli” nel 1870, costituenti la famosa Trilogia Socialista ed in più i famosi “I lazzari” nel 1865 ed “I figli del lusso” nel 1866.

   Possibile mai che il grande De Sanctis, il sommo letterato, non avesse mai letto, né fosse venuto a conoscenza delle opere del Mastriani? Evidentemente no. Ed allora… a voi la conclusione!

   Altra offesa, ancora più grave e deliberata, fu l’aver fatto quella affermazione proprio a Napoli, città che Mastriani amava alla follia e dalla quale era amatissimo e apprezzatissimo. Ci piace ricordare una poesia a lui dedicata post mortem dal poeta Salvatore D’Aco:

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È MUORTO!

Chiagnite, si… chiagnite tutte quante

de Napule signure e munezzaglia;

È muorto chi pittava pure ‘e sante

E la suzzosa preveteglia!

È muorto!

Facemmencella a chiante:

nun torna chi scenneva a la battaglia

e scummigliava e zelle overo a tante,

nun so chi era, tutta la canaglia.

Da Foregrotta a mmiez’ a’lu Mercato,

Napule tutte quante ‘o cunusceva.

È muorto faticanno, disperato,

e pure moribondo isso scriveva.

 

   Il romanziere napoletano nella sua vita aveva avuto solo due passioni: quella per lo studio e quella per la famiglia. Leggeva di tutto: dalla letteratura italiana e straniera, all’anatomia (aveva frequentato per qualche anno la facoltà di medicina); dalla giurisprudenza (i suoi primi studi erano stati alla facoltà di legge), al teatro.

   Aveva un rispetto per il popolo enorme, codificato nel motto della sua famiglia, che aveva preso dal libro dei Salmi (Salmo XXXIII, verso 14) che recitava:

“DIVERTE A MALO ET FAC BONUM: INQUIRE PACEM ET PERSEQUERE EAM”

(Rifuggi il male ed opera il bene: cerca la pace e perseguila sempre)

   I suoi antenati furono tutti coltissimi e religiosissimi e, come lui, avevano tentato di acculturare il popolo, spesso, purtroppo senza riuscirci.

   Voglio ricordare a tutti voi, a questo proposito, un suo zio, Raffaele, autore della monumentale opera Dizionario geografico-storico-civile del Regno delle due Sicilie, il quale tra l’altro tradusse anche, in napoletano, la Divina Commedia di Dante che titolò:

   Dante sbrugliato. Schiaruto, arredutto in prosa con la lengua napoletana e le chiacchiere di tutte li cummentature,

   affermando, altresì, che il suo intento morale ed il fine popolare erano:

   de fa scennere la cunuscenza de stu bellissimo libro a lu popolo vascio.

   Oggi, con gli esempi che ci derivano dal comportamento vergognoso dei politici, pare quasi che ci si debba vergognare di essere onesti; per fortuna ci sono ancora parecchie persone che, come il Mastriani, conservano ancora la loro dignità e non hanno alcun timore a comportarsi da persone per bene.

   Termino questo mio veloce excursus letterario, ricordando il discorso commemorativo, affidato a Libero Bovio che, ricordando il grande romanziere, suscitò negli astanti grandissima emozione:

   Tutto egli amò di questa città, la reggia e il tugurio, la pioggia ed il sole, le strade luminose ed i fetidi budelli, la scuola e la bettola, la chiesa ed il carcere, l’officina ed il postribolo.

   Con lui scompare l’ultimo custode di una tradizione di una Napoli che ride della scuola di Posillipo, che sogna negli acquerelli di Dalbono, e che si vela poi, di rimpianto e di malinconia nelle nostalgiche pennellate degli acquerelli degli ultimi maestri.

   Dormite in pace, sotto le vostre croci, grandi anime napoletane. Sulla vostra gloria veglia un poeta grandissimo che farà il suo ingresso trionfale nell’Assemblea degli immortali, quando la mediocrità italiana sarà stanca di offendere la Virtù, il Dolore, ed il Genio di Napoli.

                      EMILIO MASTRIANI