FRANCESCO MASTRIANI TRA OBLIO E CONCRETA RI-CONOSCENZA

   È vero che Francesco Mastriani è un dimenticato, ignorato, snobbato, sconosciuto, non menzionato, considerato uno dei minori, anche rispetto ai Minori negli Indici della Letteratura accademica e non? Ahinoi, sì! Ed ingiustamente, come spesso accade nell’umano e nella dimensione culturale e letteraria. Le regole si equivalgono, anche se i mondi sono apparentemente diversi.

   Ed appunto, siamo qui per cercare di comprendere il perché, a partire dalla nostra piccola, ma anche in qualche modo, molto significativa esperienza professionale di insegnante nella scuola media secondaria di primo e secondo grado, per quarant’anni circa.

   Avevamo incontrato, nel senso che lo avevamo intercettato negli studi, alla fine degli anni liceali, Francesco Mastriani, citato qua e là, in miniscolo ed al termine delle pagine della Letteratura del Liceo, ma solo per caso… e mai affrontato, studiato ed approfondito.

   Poi, all’Università di Napoli, dal 1975 al 1979, alla Facoltà di Lettere Moderne e Contemporanea, con il prof. Antonio Palermo, Lingua e Letteratura italiana Moderna e Contemporanea, e con la sua assistente, prof.ssa Emma Giammattei, per uno studio/ricerca sul Verismo napoletano, in primis, e sul Futurismo napoletano, poi. Dopo, per molti decenni, tra attività giornalistica e didattica come insegnante, il nulla, di Francesco Mastriani.

   Abbiamo sfogliato, letto, ricercato e perlustrato autori su autori della Letteratura italiana e straniera per sceglierne qualcuno da proporre e ri-proporre agli alunni, dalla fine degli anni 70 ad oggi, il 2019. Di Francesco Mastriani, neppure una traccia; di Matilde Serao sì, di Marotta, pure, si Domenico Rea, anche, di Di Giacomo, ma di Mastriani, il nulla.

   Solo una proposta in “caleidoscopio”, Edizioni Danilo Napoli, del febbraio 1994, a cura di Lorenzo Donadio, dove nella Prefazione si legge: “una rilettura di scritti significativi, appartenenti ad epoche diverse e ad autori diversi, italiani e stranieri, una breve rassegna ma certamente illuminante della vita del popolo napoletano dal sec. XIV agli inizi del sec. XX”.

    Nello specifico, L. Donadio riporta cinque pagine della “Festa di Piedigrotta” di Mastriani, con una brevissima nota biografica in cui la parte più preponderante è una citazione del Flora: “Gli angiporti, i vicoli bui, i bassi, le case equivoche, le vie popolari, la miseria dei giovani, degli adulti, dei vecchi… la vita della camorra, la vita dei forzati, la vita delle donne che per miseria si perdono, e diventano Ombre”.

   “Sono questi i temi – continua Donadio – su cui sorgono le trame del Mastriani. Sono forse, come grezza materia, diversi da quelli che trattarono un Di Giacomo o una Serao? Ma la materia dell’arte è la virtù del sentimento che trova la composizione nell’aurea misura della forma. E il Mastriani, con molte doti, non ebbe il dono sintetico della forma”.

    Una chiusa che la dice lunga anche sul pensiero critico di chi lo ha prescelto in una “narrativa” destinata ad alcuni. Dunque, Mastriani, poco ammirato, dimenticato e sconosciuto di frequente anche alle donne e agli uomini di lettere, accademici e non, insegnanti, intellettuali, e quanti altri abbiano a che fare con la cultura e quella letteraria nello specifico.

   Peggio ancora per l’intellighenzia napulitana, assai dimentica, e spesso, del progenitore romanziere, giornalista, scrittore di teatro, pensatore… e, soprattutto, uomo di grande grande dignità… al punto di morire povero, in condizioni di miseria in quel di Capodimonte in Napoli.

   Eppure chi solo mai avesse approcciato alla letture delle opere di Francesco Mastriani, sia pur sporadica e sparsa dei suoi scritti, non potrebbe non riceverne un effetto accattivante, catturante, trascinante assai: Coletta Esposito di “La Medea di Porta Medina” che, sull’onda e più della tragedia greca, travalica l’umano e il super umano, figlia della Madonna dell’Annunziata, di carattere impenetrabile, di temperamento tout court, tutta d’un pezzo, univoca nel suo istinto “bestiale”, unica nell’amare e non, disposta a tutto, pur di non tradire se stessa e la sua indole, dignitosa fino alla fine, pure al patibolo a cui è severamente e unanimemente destinata per aver ucciso, soffocandola, la sua diletta figlioletta, Cesarina, a vendetta del suo uomo, padre della bimba che, con strategica dissimulazione, la tradisce in malo modo e decide di sposare altra donna, pur avendo giurato a lei e alla sua piccola Cesarina, eterno ed infinito amore.

   Un personaggio ed una donna unica, a cui F. Mastriani non nasconde, nel corso della narrazione, la sua estrema commiserazione, nonché, a tratti, una sorta di sottesa, taciuta, inespressa empatia e, alla fine della vicenda, finisce per stigmatizzarla come uno dei “pochi esempi d’una feroce vendetta sì freddamente meditata ed eseguita…”.

   “Coletta Esposito offre agli studi antropologici un tipo straordinario”. “Questa donna che allatta la sua creatura poco prima di strangolarla è qualche cosa che fa fremere la natura.”

   Osservatore e scrutatore attento dell’animo umano e dei volti e risvolti di quel variegato e caratterizzato popolo napulitano, di Vermi, prostitute, malfamati, miserabili e quant’altro del secolo diciannovesimo (ed anche oltre, diremmo!) che Mastriani attraversa in lungo e in largo con una immane produzione, infaticabile, senza sosta, senza tregua, scrive pure nei bar, sui tavolini a tre piedi delle tipografie, senza mai ottenere una concreta e meritata riconoscibilità.

   La stessa grande opera sul Romanzo, edito Einaudi, 2002, in ben cinque volumi, nel terzo, Storia e Geografia, dedica un intero capitolo “Italia 1815-1870” al romanzo dove l’autore Giovanni Rangone attraversando in termini critici la narrativa italiana del primo e secondo Ottocento, verso la fine della sua ricca e attenta trattazione, così scrive: “Napoli sfruttò uno Scott assai redditizio e fuori diritti, fino agli anni Sessanta, mentre in seguito la piccola editoria locale, che non riuscì mai a tentare il salto verso la direzione nazionale e di mercato, si ritagliava una propria tradizione basata sul racconto breve e sull’immaginario patetico e – sociale – di Mastriani.

   Ed inoltre, è Mastriani un romanziere d’appendice? Certo che sì, come in Epoca 8, Restaurazione e Risorgimento (1815-1861), in Giulio Ferroni, Storia della Letteratura Italiana, dall’Ottocento al Novecento, III vol. edito Einaudi 1991, dove si legge in una nota “Romanzo d’appendice”: “Va riconosciuto che i più fortunati narratori d’appendice furono veri professionisti dell’invenzione romanzesca dalle tinte forti, dagli schemi sommari, dalle situazioni patetiche, eccessive o legate alla cronaca nera: si ricordino il napoletano Francesco Mastriani, autore di opere celebri come La cieca di Sorrento e I misteri di Napoli (…)”.

   Poi, in Storia della Letteratura Italiana, Garzanti 1970, vol. VII, nella sezione La poesia romantico-risorgimentale di Vittorio Spinazzola, p. 1024, si legge: “questo tentativo traeva significato e stimolo dalla narrativa d’appendice, che dalla Francia si era divulgata in tutta Italia e particolarmente a Napoli stava trovando fervidi sostenitori: Ginevra e l’orfanella della Nunziata del Ranieri è del 1839 e di lì a non molti anni avrà inizio l’attività di Francesco Mastriani, esatto coetaneo del Padula.”

   La vicenda critica di Francesco Mastriani, sempre in Garzanti, Storia della Letteratura Italiana, vol. VIII, Giulio Cattaneo “Prosatori e critici dalla Scapigliatura al verismo” è così definita: “L’inclinazione alla rappresentazione realistica, sia pure insidiata e compromessa dagli elementi autobiografici e soprannaturali, è in tutti questi narratori, compresi i goffi romanzieri popolari ai margini della Scapigliatura come Cesare Tronconi, esploratori di una Milano sconosciuta. Autori, non troppo dissimili, questi ultimi, dal napoletano Mastriani che pretendeva di aver inventato il verismo”.

   Sempre G. Cattaneo, nello stesso capitolo, riprendendo Francesco Torraca e i suoi Scritti Critici (1853-1938), a proposito de I Malavoglia e della generale indifferenza che circondò il romanzo medesimo, richiama il merito del Torraca stesso di aver affermato che I Malavoglia erano “uno studio sociale”, “vigoroso ed ampio”, ma fatto da un artista e che avrebbero aiutato “a far conoscere le condizioni della Sicilia” nell’Italia delle “marionette del Carcano”, dove i lazzaroni e i camorristi del Mastriani somigliano così poco ai lazzaroni e camorristi veri di Abbasso Porto e tanto agli eroi dei Mystères de Paris ma nel “quasi assoluto predominio della rappresentazione” e nella dimenticanza delle “teorie”.

   Insomma, Mastriani sembra tangere, toccare, essere in qualche modo al passo con le diverse poetiche letterarie dell’Ottocento, ma non è mai pienamente in linea con esse, non centra mai pienamente l’obiettivo; alla sua produzione così ampia, vastissima, manca sempre qualcosa  per essere inquadrato pienamente, a vero titolo in uno specifico ambito poetico letterario.

   Comunque, checché se ne dica nella diatriba critica, Mastriani ha una scrittura accatturante, sentita, incandescente, ma non fa prendere fuoco ai lettori, semmai riesce caldamente a travolgerli, guidandoli per mano con un piglio garbato, sorridente talvolta, serio e serioso talaltra, ma sempre vero, sia nei testi narrativi che descrittivi; non solo, è capace di metter mano a problematiche di natura diversa e diversificata, di ieri e, purtroppo, ancora di oggi: vermi della società, plebaglia, prostitute, camorristi, mantenuti, squalificati, dequalificati, inetti, squallidi, uomini e donne, di qualsivoglia natura, o ruolo o classe sociale, a cui mancano solo  e sempre moralità e cultura, i due grandi assi portanti del viver civile, che siano napoletani, è peggio, ma – secondo noi – possono appartenere a qualsivoglia nazione, regione, continente, vicino, lontano, lontanissimo…

   E a trar di impiccio il nostro Mastriani dalle controversie critiche, dalla mancata menzione, dalle sottovalutazioni, dalle dimenticanze minime o massime, estreme, ci hanno pensato e lavorato alacremente i suoi eredi, Emilio e Rosario Mastriani che, negli ultimi quindici anni, tra affanni, ricerche travagliate di biblioteca, impegno instancabile, hanno riportato alla luce, rianimato, rivivificato quell’enorme produzione letteraria del loro avo Francesco.

   Ed ora, gli eredi, sono ancor più strenuamente impegnati per celebrarne la validità, la ricchezza, la modernità e la preziosità, in occasione del bicentenario della sua nascita, 23 novembre 1819 – 23 novembre 2019.

   Il lavoro di sistematizzazione e organica chiarezza, quadratura del cerchio e ricomposizione della/sulla storia, il pensiero, l’esperienza, la produzione amplissima dello scrittore napulitano Francesco Mastriani, portata avanti dagli eredi è nell’opera di Emilio Mastriani del 2017.

   Al termine, ci auguriamo che più e più possano crescere i lettori, i conoscitori e gli estimatori di Francesco Mastriani e che, ancor di più, possano avvicinarlo alle nuove generazioni, per le quali resta sicuramente un veritiero interprete, un sagace e lettore attento, cultore immane ed appassionato di una realtà che dal XIX secolo al XXI non si è poi così fortemente modificata. Non solo a Napoli.

                                     CARMELA OREFICE