GL’IMPIEGATI

    Torniamo a battere sul chiodo degli impiegati; e questa volta vogliamo dire qualche cosa sul modo onde vengono creati.

   E qui cominciamo dal porre una gran verità che scoraggia e sconforta gli animi degli onesti. Questa verità è che:

   Gl’impieghi come le limosine si danno sempre A’ PIÙ  IMPORTUNI.

   Noi non intendiamo rimestare in quella putride melma che le rivoluzioni, come le bufere, mettono a galla degli imi e tenebrosi fondi, ove marciva.

   Non vogliamo indagare le ragioni di certe nomine, che sono la più oltraggiante ironia alla equità, alla logica ed alla pubblica opinione.

   Sotto il passato governo addolorava agli animi il veder collocati in alti posti gli Asini e i Ladri.

   Oggi addolora ed esaspera gli animi il veder collocati ne’posti più eminenti le ALGEBRIGHE NULLITÀ, le quali si studiano di farsi valere e di darsi una cert’aria d’importanza con l’esercitare il maggior dispotismo su i loro subalterni

   Il periodo dittatoriale fu fecondo in destituzioni in omaggio alla pubblica opinione; e noi comprendiamo quelle supreme necessità  che i mutamenti di governo adducono, benché non sempre la giustizia fosse norme di queste falciate in massa, in cui si abusò della buona fede del dittatore e dell’impegno irragionato de’tempi. Garibaldi, nel suo animo nobile e generoso, non voleva che niuno, fosse anche de’più arrabbiati borbonici, venisse messo in mezzo alla strada; imperciocchè egli mirava a vincere i suoi avversari politici con le armi della magnanimità, del perdono e dell’obblio. Ma ciò non faceva il conto  degli aspiranti e di quella miriade di calabroni, ne’cui petti la rivoluzione aveva acceso le più ardite speranze. Bisognava demolire per quindi edificare; ergo, destituzioni in gran copia. Furono mandati a spasso un gran numero d’impiegati e di magistrati che avevano servito con troppo zelo il passato governo.

    Se il breve periodo dittatoriale fu fecondo di destituzioni, il periodo luogotenenziale fu proprio l’epoca della cuccagna degl’impieghi. Bastava schiamazzare ne’corridoi de’dicasteri, bastava munirsi di un certificato di martirio, bastava semplicemente provare di aver patito il carcere o l’esilio per qualsivoglia ragione, od anche per reati comuni abilmente trasformati in reati politici, per aspirare, pretendere ed ottenere un impiego. Si cacciavano inesorabilmente da’loro posti quelli che li occupavano, per dar luogo al martirologio. Ricordiamo un motto spiritoso di un ministro della Convenzione, all’epoca della gran rivoluzione francese, il quale, importunato da un tale che richiedeva impietosamente un alto posto, gli dimandò:

   «Ma, di grazia quali sono i vostri titoli per pretendere a questo posto?».

   «Eh! per dio – quegli rispose – non sapete che io sono un patriota?».

   «Ebbene – soggiunse il ministro – siate sicuro che quando sarà vuoto un posto di patriota, sarete voi che l’occuperete».

   Che il governo italiano avesse dovuto tener conto dell’opera di quelli che contribuirono a riscattare l’Italia dalle antiche tirannidi, era giusto e ragionevole; ma forse che gl’impieghi sono piccoli poderi che si danno a premio di belle azioni? Forse che gl’impieghi sono creati per gli uomini e non già gli uomini per gl’impieghi? Forse che l’aver sofferto il carcere e le persecuzioni politiche dà alla mente la CAPACITÀ di sostenere un ufficio amministrativo? D’altra parte, questi signori martiri che aveano tanta febbre d’insediarsi negli alti posti, lavorano pel bene dell’Italia o pel bene delle loro saccocce?

   Questo periodo luogotenenziale, in cui si era sviluppata gagliardamente l’idrofobia degl’impieghi, fece sì che le cariche e gli uffici venissero occupati non da uomini di un merito speciale e competente, ma così alla rinfusa, e gittati nelle fauci del primo latrante. Si mandava, per esempio, un ex-ufficiale doganale a prender possesso di un posto di segretario nell’amministrazione della marina, e, viceversa, un capitano di vascello era mandato a dirigere, per esempio, una sezione del dicastero di agricoltura e commercio.

   Sotto il ministero Minghetti venne fuori quella ibrida e scellerata legge che fu detta legge su la disponibilità degl’impiegati. Seimila famiglie furono gittate in mezzo alla strada senza nessunissima ragione, senza un peccato veniale e solo perché i consorti doveano occupare quei seimila posti. Noi auguriamo di tutto cuore la sempiterna disponibilità a tutti quelli che cercano la detta legge e a tutti quelli che vi apposero il loro voto; chè certo costoro non doveano avere oggi quel coso nel petto che suolsi addimandare un cuore. Seimila onesti e intelligenti impiegati furono speciosamente destituiti e provvisoriamente condannati a languire nella miseria, perché si dove a dar luogo a’martiri, a nipoti e a’cugini de’consorti e a tutti quelli affamati che ci erano piovuti addosso come cavallette.

   Una delle prime leggi di cui l’attuale Parlamento dovrebbe occuparsi si è questa dell’ABOLIZIONE DELL’INIQUA LEGGE SU LA DISPONIBILITÀ DEGL’IMPIEGATI, la quale aggravando senza necessità il pubblico erario, ha tolto il pane dalla bocca di tanti onesti e operosi cittadini.

                                                                                                            FRANCESCO MASTRIANI