GL’IMPIEGATI DELLE GABELLE E L’ON. CAPPELLARI

 

      L’on signor Giovanni Cappellari della Colomba, ex-direttore generale delle gabelle, pubblicava non è guari un’opera abbastanza voluminosa pe’tipi della Stamperia Reale di Firenze intitolata Le imposte di confine, i monopolii governativi e i dazi di consumo in Italia; e dedicava questa sua opera a Quintino Sella, Gran Croce ec. ec. Egli pone innanzi a quest’opera una prefazione, in cui, dopo aver detto che si lasciò un po’pregare per accettare la direzione dell’amministrazione generale delle gabelle, aggiunge:

   «In che misere condizioni, non ostante le intelligenti ed energiche cure de’miei predecessori, trovassi l’amministrazione delle gabelle in molte provincie e specialmente in quelle del mezzodì, e già alla S. V. noto. Impiegati (tranne non poche onorevolissime eccezioni) corrotti, digiuni di ogni istruzione, attoniti de’casi recenti, incerti dell’avvenire».

   Non è nostro intento il ragionare della summentovata opera del Cappellari: critici più competenti a ciò si richiedono; né, d’altra parte, sarebbe questo un subbietto adatto all’indole del nostro giornale. Sentiamo per tanto il debito di difendere una sì numerosa classe dei nostri concittadini dal troppo avventato giudizio del Cappellari. Benché egli cercasse d’ingiuleppare l’amara frase con una parentesi alquanto elastica, pur ciò non di meno, è noto che la parentesi non altera in nulla il concetto d’una proposizione; epperò quella frase impiegati corrotti ec. è sempre un fendente applicato in tutte le regole sul capo d’una classe di cittadini. È maraviglioso come l’on. sig. Cappellari nella sua rapida corsa attraverso i cancelli dell’amministrazione fiutasse con odorato sopraffino la pessima razza di ladri e di ciuchi che sono gl’impiegati del mezzodì; tranne che non avesse fatto tesoro de’tenebrosi lumi di qualche officioso ufficiale a latere. È chiaro che il sig. Cappellari intende parlare degli antichi impiegati della ex-Direzione Generale de’ Dazii Indiretti, dappoichè, dopo averli qualificati di corrotti ed asini, li dice attoniti de’casi recenti e incerti dell’avvenire.

   Si è con dispiacere generalmente osservato che ne’tempi di grandi rivolgimenti politici, gli uomini più seri son trasportati dallo stesso ambiente delle agitazioni politiche a giudicare con troppa fretta gli uomini e le cose. E a noi pare che il signor Cappellari sia per lo appunto caduto in uno di questi errori. Ricordiamo i fatti.

   Nel 1861 il conte di Cavour inviava a Napoli a dirigere il dicastero delle finanze il cavaliere Vittorio Sacchi. La costui gestione non fu breve; durò molti mesi, ed in quell’anno ei conobbe quasi il maggior numero degli antichi impiegati dell’ex-regno di Napoli, sia perché i mutamenti non erano quasi per la totalità avvenuti, sia perché le Amministrazioni finanziarie, non essendo state ancora unificate presentavano le stesse piante organiche in quanto al personale. Il cav. Sacchi in sul termine della sua amministrazione credette, e fece benissimo, di pubblicare per le stampe un prospetto di ciò che aveva trovato, studiato ed operato nei vari rami della vasta amministrazione delle finanze di queste provincie.

   Naturalmente ei parlò delle persone, e ne parlò dopo moltissimo tempo che aveva avuto agio di estimarne le buone qualità o di scorgerne le cattive. Il suo lavoro fu divulgato; ma certamente non ebbe la pubblicità che suole avere o una opera classica o un romanzo alla moda.

   Eppure pe’Napolitani il lavoro del Sacchi è un bel titolo d’elogio; tanto più se si pon mente che chi lo scrisse è un piemontese, soliti a dipingere a nero le cose de’ meridionali. Sarà quindi pregio di questo articolo riportare testualmente alcuni giudizi del Sacchi sugl’impiegati napolitani per quel tale paragone, di cui abbiamo messo in curiosità i lettori. In una parte ei dice: – «La Direzione de’dazi indiretti, buona negli ordinamenti, era mediocre in molta parte del personale». – E, dopo di aver parlato delle altre, riepilogando, conchiude: – «Molte belle intelligenze vi si facevano rimarcare. E che che voglia dirsi in contrario, vi si trovano uomini di grande istruzione. Le scienze economiche, altrove generalmente sconosciute alla classe degl’impiegati, erano qui generalmente professate. Facili e pronti i concetti, purgata ed eloquente la lingua, si scostavano le scritture degli uffici da quell’amalgama di parole convenzionali, che rimpinzano le corrispondenze ufficiali – In una parola, ne’diversi rami dall’Amministrazione delle finanze napolitane si trovavano tali capacità, di cui si terrebbe onorato ogni qualunque più illuminato governo.»

   In un’altra parte scrive così:

   «Che cosa conchiuderemo da ciò? Che il buono che si aveva nelle diverse Amministrazioni, ed era molto, era tutto dovuto all’abilità degli impiegati».

   Decorso più che un anno, venne in queste disgraziate province il commendatore Cappellari: vi dimorò per giorni; venne, vide e partì. Ed il risultato di questo gran colpo d’occhio data alla vasta Amministrazione de’dazi indiretti già fusa o da fondersi nella più vasta Direzione generale delle Gabelle, di cui egli era il Capo, fu quello di regalare a’nostri impiegati i lusinghevoli aggiunti di sopra riportati, cioè di corrotti, digiuni d’ogni istruzione, attoniti de’casi recenti, incerti dell’avvenire. Or quale de’due meriterà più fede, il Sacchi o il Cappellari, il primo che fu in mezzo a noi per mesi e mesi, o l’altro che vi dimorò qualche settimana?

   Che se biasimo dove a darsi (e dove non se ne può dare?) la maniera del Sacchi fu più civile, più vera, e, diciamolo pure, più italiana. Volendo in fatti censurare la parte meno pregevole del personale, ei la dichiarò mediocre, senza ricorrere a’termini biliosi del Cappellari ed a frasi come queste attoniti del presente, incerti dell’avvenire, che non sembrano dettate da un antico funzionario dell’Amministrazione austriaca nel Lombardo.

   Questo malvezzo di stigmatizzare con termine di vitupero gli abitanti di questa o di quella parte d’Italia può creare un dualismo fecondo di immensi danni. Questo malvezzo disgiunge e non unisce, o genera una triste reciproca stizza di dirsi ingiurie l’un l’altro in guisa da farci ricordare l’ironico verso del Sordello:

   «Vieni a vedere la gente quanto s’ama!».

   Che impiegati corrotti e ignoranti ci fossero per lo dinanzi sotto l’odioso regime passato, e ci sieno ancora sotto il governo attuale, chi può negarlo? Ma non sono queste piuttosto deplorabili e poco numerose eccezioni a fronte della generalità degl’impiegati onesti, intelligenti ed esperti? Non mai quanto a questi ultimi tempi abbiamo avuto a deplorare tanti esempli di corruttela e d’immoralità nelle alte sfere amministrative: e il signor Cappellari vuol gittare addosso ad una classe intera la colpa di qualche antico guardia doganale che, non potendo sostenere la famiglia collo stipendio di 5 ducati al mese, lasciava passare qualche contrabbando! In quanto poi a ciò che il signor Cappellari intese dire coll’attoniti de’casi recenti, e incerti dell’avvenire, non lo intendiamo un fuscello. Che gli impiegati fossero attoniti de’casi recenti, perché farne le grandi maraviglie? Non fu la rivoluzione del 60 un avvenimento inaspettato e impreveduto per le moltitudini italiane? Che ei fossero incerti dell’avvenire, non era forse naturalissimo? Che cosa intende il Cappellari per l’avvenire? l’avvenire personale di ciascun impiegato o quello del paese? Se intendea quest’ultimo, non era naturalissimo che i popoli tutti della penisola, e sopra modo delle province meridionali, trepidanti aspettassero il domani, poi che tante volte questi ultimi riscattati dal dispotismo furono ricacciati sotto la signoria de’Borboni? Se invece intendea parlare dell’avvenire personale di ciascuno impiegato, non era arcinaturale che gl’impiegati palpitassero pel pane delle loro famiglie quando vedevano ogni giorno le falciate in massa che pioveano dall’alto?

   Ci riserbiamo in appositi articoli ragionare un poco delle presenti condizioni degl’impiegati, alla cui classe fino a pochi anni fa avemmo l’onore di appartenere.

                                                                                                           FRANCESCO MASTRIANI