GUERRA AL PIANOFORTE

   Guerra al pianoforte. Sì, guerra spiccata, fino all’ultimo… tasto; guerra a questo bastardo istrumento che ha creato il mal di nervi e i dilettanti, le due più tormentose malattie de’tempi nostri. Noi non sappiamo che fu l’inventore di questo mobile codino, che ardì occupare il primo posto ne’salotti. Se ne conoscessimo il nome, il vorremmo consegnare alla maledizione dei posteri, unitamente a quello de’Campagna, de’Peccheneda e de’Titta Mangone. Non titubiamo a proclamare il pianoforte nemico della libertà, e lo dimostriamo colle prove alla mano. A che serve il pianoforte? Ad addormentare le più vispe nature, ad assopire i sensi più svegliati, ad istupidire le menti più vivaci. Fate, a mo’d’esempio che un Galilei, un Newton, un Voltaire assista ad una suonatina a quattro mani, e osservate come s’imbecilliscono le sembianze del Galilei, del Newton, del Voltaire. Assistete alla suonata d’un così detto pezzo di difficoltà, e , se non vi sentite nel corpo la vostra anima diventare più stupida della buonanima di Ferdinando Troja di gesuitica memoria, dico assolutamente che non l’avete… l’anima.

   Oggi si declama contro l’impero della forza; si è fatto tanto per abolire il regno della forza; e intanto il pianoforte è là che rimette in vigore tutto un sistema di forze. Si suona di prima, di seconda e di terza forza; e chi non sa suonare di forza è un babbeo. Si direbbe che il pianoforte ha fatto cader la musica nelle mani de’facchini.

   Io non so comprendere come ci possa essere in questo basso mondo uomini più o meno pensanti che assistano, col sorriso su le labbra, a quello strazio nervoso che si addimanda una periodica, per rassomigliarla forse alla terzana.

   Una periodica col pianoforte! S. Gennaro ce ne liberi!

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                   Dai Tedeschi e Imperiali.

                      Da Francesi e cardinali,

                      Da vocali e strumentali, 

                     Libera nos, Domine!

   Quando io ricevo l’invito per una festa da ballo, la prima cosa che soglio domandare è Ci è il pianoforte? Nel caso affermativo, fuggo le mille miglia lungi, poiché son sicuro che non mancheranno una quarantina di pezzi vocali col solito accompagnamento del solito pianoforte, e una mezza dozzina di suonatine a quattro mani! Che gioia! che sollazzo! che delizie! Statevi quattro o cinque ore, con gli stivali stretti ai piedi, col ridicolo frac addosso, in una atmosfera soffocante pe’fiati di tanti ammiratori, statevi all’impiedi, presso un uscio, col niffo in aria, dietro un plotone di fracchi, stecchito ed immobile, a sentire i muggiti, i belamenti, i latrati e i gracidamenti di certi animali, che il Buffon dimenticò di caratterizzare, e che in lingua volgare, con figura retorica detta ironia, vengono chiamati dilettanti. O Torquemada, perché non pensasti a’dilettanti fra le altre torture che facevi assaporare alle vittime dell’Inquisizione!

   Noi dunque malediciamo il pianoforte in saecula saeculorum, e lo scommunichiamo con tutte le forme della santa bottega romana. Sia dunque scommunicato e maledetto il pianoforte ne’tasti, nella coda, ne’piuoli, nelle corde, ne’pedali, nel leggio, et usque in genitalibus, come diceva la curia apostolica quando scommunicava qualche traviato suo figlio. Possa tu rimanere, mobile esoso, nelle sole case de’padroni di casa, che rappresentano la barbarie in piena civiltà, il codinismo in piena libertà, il regresso in pieno progresso, la misantropia anzi l’antropofagia in questa età filantropica e umanitaria.

                                                                                                FRANCESCO MASTRIANI