I FILODRAMMATICI NAPOLETANI

   L’arte drammatica ha avuto in Napoli in ogni tempo i suoi cultori, per diletto, per ispeciale attitudine, parecchi dei quali riuscirono buoni artisti, e moltissimi altri riusciti sarebbero ottimi e di primo ordine, se un pregiudizio sociale, che non ancora del tutto veggiamo sbandito nell’alto ceto, non avesse ristrette agli sterili applausi accademici queste belle vocazioni destinate alle pubbliche scene. Gran parte di questa colpa si ha da porre eziandio su la coscienza del cessato governo, nemico delle lettere e delle arti, il quale col mo trarre il più spiccato disprezzo per gli artisti drammatici, molto contribuiva ad accrescere lo scoramento nei petti in cui ferveva la scintilla di Dio. E, perciocché nei governi dispotici la nobiltà si specchia e si modella nella Corte affettavano i nobili ed anco i ricchi improvvisati un disprezzo per gli artisti drammatici che essi addimandavano i comici, e pe’cantanti a cui solevano apporre la ignominiosa qualificazione di virtuosa canaglia.

   Per siffatte ragioni l’arte drammatica, coltivata nel resto d’Italia dalle più cospicue famiglie che tengono appositi teatrini accademici, veniva appo noi studiata ed esercitata diligentemente da pochi animosi, sia ne’teatri privati, sia ne’pubblici che in siffatte circostanze diventavano accademici. Molti, e forse dei migliori che cominciavano a darsi a questa nobile esercitazione, si ritraevano indi a poco disgustati dei pettegolezzi delle accademiche compagnie, in cui proverbiale era l’esagerazione dell’amor proprio, sempre in ragione inversa del merito; altri sdegnava accomunarsi con elementi non sempre omogenei per nascita e talenti; ed altri finalmente abbandonava cosiffatto esercizio per non potere sopperire alle non lievi spese necessarie a mantener su un teatrino che vive di per sé senza entrate di sorta.

   A malgrado di tale difficoltà, avemmo nel nostro paese, in un tempo non da noi remoto, compagnie distinte che lasciarono un nome, e che per lungo tempo dettero prova di bella fratellanza nello esercizio dell’arte. Alquanti anni or sono, con nobile esempio un ricco gentiluomo inglese e la Principessa di S. Elia teneano ne’loro palazzi graziosi teatri, dove si rappresentava da gentili signore e da giovani patrizii la commedia italiana e francese. Ricorderemo a vol d’uccello la compagnia dello strenuo Carlo Gaetani, in cui primeggiava per valentia e per sentimento la giovane signora Dura; e la compagnia Cafaro, che pel volgere di circa trent’anni dette lunga serie di rappresentazioni nello accademico teatro Sanseverino, e indi, quando questo fu soppresso per servire agli Archivi del Regno, nel teatro San Ferdinando. A capo di questa compagnia, in qualità di direttore era l’operoso filodrammatico Raffaele Moreno che assai bene rappresentava il promiscuo, e che, con senno non comune, seppe sì a lungo dirigere la sua compagnia. Osiam dire che ai nostri tempi è stata questa una delle poche compagnie filodrammatiche meglio scelte e addestrate; se si eccettuano quelle non ha guari fiorenti appo noi, che prendevano nome di Compagnia Proto-Cecconi, e di Foucault. Nella summentovata Compagnia Cafaro si distinguevano eziandio le signore Lopez-Suarez Raffaela, D’Arienzo Maddalena, e i Signori Cafaro Michele, caratterista sul tipo del Pertica, del Cristiani e del Coltellini, Sbordone Giuseppe, padre nobile, e Fusco Domenico, primo attore drammatico ambo mancati a’vivi.

   Non parliamo della Compagnia del Barone Gio. Carlo Cosenza, la quale non fu a tempi nostri, ma che pur menò grido grandissimo in Napoli, specialmente per la valentia della sua prima attrice che era la sua stessa consorte. Non parliamo neppure dello egregio e sventurato drammatico Nicola Tofano, che per alquanti anni smarrì il bene dello intelletto per lo eccesso medesimo dello amore che aveva per l’arte. L’Italia ebbe agio di giudicare il Tofano come attore; e certo egli era il più grande allievo del celebre de Marini, di cui avea profondamente studiato la fisionomia artistica, e del quale avea in certo modo ereditato l’alto sentire, la naturalezza della espressione, la nobiltà dell’azione. Il Tofano non avea propriamente compagnia a sé, ma ne formava subitamente una quando gli prendea vaghezza di recitare, ovvero quando un filantropico scopo lo chiamava alle scene. I dilettanti napoletani ascrivevansi a lieta ventura il recitar con lui, certi del trionfo e dei plausi.

   Tra le compagnie che pochi anni addietro si esercitavano sia privatamente, sia nei pubblici teatri, degne di particolar considerazione ci sembrano quella del barone Vincenzo Proto-Cecconi, e l’altra diretta dal sig. Michele Foucault.

   La Compagnia Foucault recitava nel teatro S. Ferdinando, ed avea giovani filodrammatici di merito, come un Carelli, un Mazio, e lo stesso sig. Foucault. Essa fu per qualche tempo diretta dal chiaro Federico Riccio, scrittore di applaudite produzioni rappresentate al teatro de’Fiorentini, ed ultimamente dal signor Gustavo Pouchain, scrittore anch’esso di pregevoli drammatici lavori.

   Tra i dilettanti che con somma lode si esercitano in Napoli nella difficile arte drammatica, vuol giustizia che nominiamo il signor Masetti che con altri strenui amici dà parecchie recite a S. Ferdinando; e i componenti della Compagnia d’Auria che recitano nel grazioso teatrino al Vico Nilo. Anche il ch. Scrittore Carlo Dalbono è un valoroso dilettante, che nella stagione autunnale apre a’villeggianti a Portici un suo teatrino accademico calcato da giovani di abilità e da gentili signorine, tra cui si distingue la signorina Massa.

   Se qualche nome abbiamo omesso di valoroso filodrammatico, non ci si addebiti a negligenza o ad altra ragione, ma solo perché ci è sfuggito dalla memoria. Molti egregi dilettanti sono ora sulle scene italiane, e di costoro non ragioniamo, dappoichè nella loro qualità di attori spetta al pubblico il giudicarli. Sentiamo che l’illustre artista Rossi e il Majeroni stesso sieno usciti dalle file de’filodrammatici; e, se ci è lecito dall’alto genere drammatico scendere alle regioni del comico, ci piace di ricordare che quel caro buffo di Pasquale de Angelis, che tanto ora allieta ed esilara il pubblico del Teatro Nuovo, è stato per lunghi anni nelle nostre accademiche compagnie, di cui ei sosteneva assai bene le parti di caratterista. Sarebbe ingiustizia se, toccando de’migliori nostri filodrammatici, non dicessimo una parola di qualche specialità non comune che, tenendosi nella modesta ed oscura regione di un cupolino da rammentatore, pur formava il perno essenziale di una compagnia, che trovava in esso talvolta l’ancora di salvezza in qualche commedia non ben digerita. Intendiam parlare del sig. Antonio Guarini, modello de’rammentatori accademici, e di cui ci duole la lontananza dalle nostre compagnie.

                                                             FRANCESCO MASTRIANI