I MISTERI DI NAPOLI

   «Questa opera ha lo scopo di additare la virtù cozzante co’ vizi della presente società e co’ mali inseparabili da’ presenti ordinamenti sociali.

                                                                                               Francesco Mastriani [1].

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   Sin dall’Introduzione il romanzo di Mastriani si caratterizza come racconto cupo e avvincente, nel rappresentare una città violenta e caotica. La malavita napoletana si conquista uno spazio narrativo vastissimo, «in cui le voci della realtà […] formano un garbuglio, un intaso da cui spesso sia il lettore che l’autore non riescono a venir fuori [2]. Attorno ai facoltosi proprietari terrieri Massa-Vitelli gravitano una serie di personaggi: i contadini della famiglia Onesimi, il pericoloso Cecatiello, un non vedente che ha una figlia buona ma deforme – entrambi rappresentano il Male e il Bene – e i suoi compari, tratteggiati con una mostruosità naturale e morale. Lo schema affabulatorio, derivante dal feuilleton francese di Sue, si snoda in una storia unica, quella del Massa-Vitelli, su cui si incardinano i capitoli monotematici dedicati alla storia degli altri protagonisti. La discreta presenza del narratore non accentua lo stacco tra gli interventi autoriali e lo svolgimento della trama vera e propria.

   La riduzione televisiva de I misteri di Napoli era stata preceduta, sempre negli anni Settanta, da un adattamento radiofonico. Simmetricamente a quello televisivo, in quegli anni lo sceneggiato radiofonico cominciava ad aprirsi alla letteratura di consumo, anticipando le dinamiche della soap opera radiofonica [3].

   Anche in questo caso il passaggio da un codice all’altro ha comportato per gli sceneggiatori una precisa scelta di campo: rispettare la pur complessa unità del romanzo e di quella sua particolare fisionomia maturata nello stretto rapporto tra i vari registri e i diversi piani del racconto. Mastriani cerca di montare pazientemente le varie sequenze della sua accesa fantasia con dei lunghi inserti narrativi ed espositivi. Spezzare questa unità e tagliare le singole parti di questo pastiche avrebbe significato tradire l’intento narrativo del romanziere, sicchè Gregoretti ritiene opportuno avvisare il telespettatore che l’omogeneità discorsiva si è spezzata. Si veda l’incipit dello sceneggiato:

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   T2 sceneggiato

   GREGORETTI: brevissima precisazione prima di andare avanti / gli episodi dei Misteri di Napoli sono innumerevoli / le vicende intrecciate degli Onesimi / dei Massavitelli / dei Gesualdo / dei camorristi come Pilato e Cecatiello cominciano all’inizio dell’800 / e si concludono con l’ingresso di Garibaldi a Napoli / 60 anni dopo anche se i fatti principali accadono tutti intorno al 1846 // Questo nostro condensato perciò può offrirvene soltanto una piccola idea / inoltre accanto alle aree principali, si affiancano di continuo aree laterali del racconto / come quella della storia di Cosimo / oppure quella della colerosa sepolta viva / o quell’altra della fanciulla nobile costretta a prendere il velo / una monaca di Monza in piena regola / e poi come abbiamo già detto / intermezzi didattici e filosofici / inchieste sociali / una teoria sulle cause dell’avarizia o sul vizio del fumo / un elogio del pater noster / uno studio sulle tentazioni della donna e perfino una serie di consigli alle giovani madri così sorprendentemente moderni da far invidia al dottor Spok // Questa storia che state per ascoltare è un’ altra divagazione / che testimonia l’amore di Mastriani e del suo pubblico per i fattacci della cronaca nera napoletana e per i loro protagonisti / come questo Cosimo… ineffabile landrù partenopeo / non sappiamo bene se inventato/ o veramente esistito//

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   Dunque per ricucire i tagli apportati al testo, il regista ricorre ad autentici riassunti, con consistenti  ellissi temporali:

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   T2 sceneggiato

   GREGORETTI: ma torniamo al romanzo con balzo in avanti tipicamente mastrianesco / passiamo dal 1818 al 1846 / ritroviamo gli stessi personaggi invecchiati di circa 30 anni / e ne conosciamo di nuovi / nati nel frattempo // Cipriano è riuscito a trovare la sua fine alla faccenda del morto assassinato nel bosco / certamente un oscuro misfatto dovuto al duca Tobia / e il caso è stato archiviato // Il colono è tornato a lavorare nel feudo del duca / si è sposato / ha avuto 3 figli Onesimo / Sabato e Filomena / è rimasto vedovo ed ora è sul punto di perdere l’amatissima Filomena / minata dalla tisi // Intanto le angherie e le persecuzioni del duca Tobia / lungi dal cessare / si sono moltiplicate//

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   È possibile inoltre individuare alcune differenze di lingua e di stile nel passaggio del testo letterario a quello trasmesso. Il dialogo sceneggiato non appare qualitativamente diverso dal narrato, tranne in alcuni casi che mostrano un’apertura all’italiano dell’uso medio. Tuttavia nel parlato recitato si osservano tratti di code switching e code mixing del tutto assenti nel romanzo, dove non era richiesta la marcata caratterizzazione socio-ambientale tipica delle dinamiche neotelevisive.

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   T1 romanzo

   ‒ Perché hai imbrogliato? (p.412)

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   T2 sceneggiato

   SERAFINO: ʻʼ perché hai imbrogliato: ʻuaglioʼ? perché?: ʻuè imbroglioʼ/ disgraziato! Dico a te! Ehi! Perché hai imbrogliato? ei! ah! ahhh!

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   T1 romanzo

   [E perché cotesto mo? – saltò a dire sacco di fiori. Ch’era un po’ gelosa del suo vicino e compare don Cristoforo – Vecchio scostumato! Che abbiamo noi a fare di un’altra comarella?]

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   T2 sceneggiato

   UNO DELLA COMPAGNIA: ‘u giurnali! ʻu vuliti u giornaleʼ?

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   T1 romanzo

   [Neh, don Cristofaro – balzò a dire con stridula voce Occhio d’oro – e perché ci volete gittare il nero delle seppie?] foste mai jettatore?

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   T2 sceneggiato

   CARMELA: : fusti mai iettaturiʼ?

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   T1 romanzo

   ‒ E non vedi che porta gli occhiali – osservò Naso di cane.

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   T2 sceneggiato

   NASO DI CANE: e non vedi che porta gli occhiali?

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   T1 romanzo

‒ Sì, sì, chiamatemi jettatore, perché io sono prudente, e mi piace di allontanare le disgrazie per quanto è possibile (p. 412).

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   T2 sceneggiato

   DON CRISTOFARO (CASSIERE): io sono prudente ‘uagliò! E mi piace di allontanare le disgrazie.

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   T1 romanzo

   ‒ In che può il signor duca aver bisogno di me – domandò Onesimo (p. 150).

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   T2 sceneggiato

   ONESIMO: e che vuò il signor duca p’avè bisogno di me?

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   Nelle parti diegetiche, solo in pochi casi la riscrittura televisiva punta alla semplificazione lessicale richiesta dall’attualizzazione espressiva:

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   T1 romanzo

   No! No! Marta mia dilettissima; io non sono né matto né ubbriaco. Noi siamo ricchi, ti ripeto; e non avrem d’uopo della dote che tuo padre ha messo in serbo per te. Io ti trarrò da cotesta umile condizione di vita… Noi lasceremo di essere contadini proletari della campagna, povera gente, e diverremo signori…Comprerò un casinetto, un carrozzino; e ti porrò addosso di belle vesti; [e noi faremo la vita che fanno i signori… Oh… la profezia degli Onesimi si è verificata… Mio padre aveva ragione…] (p. 153).

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   T2 sceneggiato

   ONESIMO     no! no! Marta mia dilettissima / siamo ricchi ti ripeto / e non avremo più bisogno della dote che tuo padre ha messo in serbo per te / io ti trarrò da cotesta umile condizione di vita / smetteremo di essere povera gente! Comprerò un casinetto / un carrozzino // e ti vestirai con abiti eleganti //

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   T2 romanzo

   ‒ Tu qui? [egli esclamò arrossendo come uno scolaro colpito in flagranza di qualche piccolo reato scolastico]

   ‒ Vieni qui – Onesimo ho a dirti qualche cosa –

   Rita aveva le guance lievemente colorite, gli occhi brillanti per fuoco febbrile… aveva le braccia nude; braccia d’alabastro, arrotondite al tornio… Rita… era bella, ma una    bellezza assai diversa da quella di Marta. Marta era la donna-anima. Rita… la donna-corpo.

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   T2 sceneggiato

   RITA. Onesimo!

   ONESIMO: tu qui?

   RITA: vieni qui! Ho da dirti qualche cosa

   LETTORE: Rita aveva le guance lievemente colorite / gli occhi brillanti per fuoco febbrile / aveva le braccia nude / braccia di alabastro / arrotondate al tornio // Rita… era bella / ma una bellezza assai diversa da quella di Marta / Marta era la donna anima / Rita… la donna corpo //

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   T2 romanzo

   ‒ Sediamo, Onesimo!

   ‒ Oh! finalmente! – ella esclamò come ebbra di gioia – Finalmente! mi è conceduto di stare un po’ vicino a te! Mio cuore! mio bene! mio paradiso! lo so… lo so che tu mi odi, mi aborri, mi disprezzi e che ami la figlia del ladro; ma io ti costringerò ad amarmi per forza, e sia pure per mezz’ora, per pochi momenti… Un istante solo nelle tue braccia, e l’anima mia scellerata piombi nell’inferno poco mi cale!

      Un tuo bacio, un sol tuo bacio, Onesimo, e poscia uccidimi… Io ti amo, ti amo come una matta! (p.106).

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   T2 sceneggiato

   RITA: vieni! siedi! oh! finalmente!

   Finalmente mi è conceduto di stare du’ minuti con te! Core mio! Mio bene / mio paradiso! Lo so… lo so che tu mi odi / mi aborri / mi dispressi! Ma io ti costringerò ad amarmi / l’anima mia scellerata piombi nell’inferno / poi che m’importa [cale] / Un tuo bacio / un sol tuo bacio Onesimo / e poscia uccidimi! io ti amo! ti amo come una matta!

   [butta le braccia al collo di Onesimo, lui la respinge]

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   Nel percorso intertestuale che costituisce la chiave unificatrice della serie Romanzo popolare italiano, la figura di Gregoretti è quella di un narratore extradiegetico, però visibile e onnisciente. Egli si intromette più volte nel racconto televisivo col preciso ruolo di sanare molte espunsioni. Si tratta di piccolissime interruzioni, o meglio di interventi metanarrativi, spesso sotto forma di una parentetica al presente indicativo o infinito, o di locuzioni testuali, del tipo a dire il vero. Molteplice la loro funzione, sottolineare importanti passaggi narrativi; aggiungere precisazioni relative ai luoghi e alle cose descritte; farsi carico di riflessioni indirizzate saccentemente al telespettatore:

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   T2 sceneggiato

   GREGORETTI: mi sembra opportuno qui precisare che il conflitto fra l’angelo e la belva / il bene e il male / il buono e il cattivo / che abbiamo già sperimentato largamente nell’Assedio di Firenze / e che premea ogni vicenda dei Misteri di Napoli / dispone in questo romanzo / come si è visto / anche in uno spazio di combattimento nella coscienza di Cecatiello / una specie di ring interiore / dove l’angelo e la belva si azzuffano senza concedersi riposo con un’altalena di risultati che rispecchia il mutevole gioco delle influenze alternate di Marta e dello strangolatore // Questo tentativo di interiorizzare lo scontro / anche se un po’ ingenuo ed elementare / a dire il vero / ci sembra nuovo e degno di rispetto / così come nuovo ci sembra l’atteggiamento di Mastriani di fronte al male / che non è più visto soltanto come un fatto morale / ma anche con occhio per così dire… scientiifico // Si pensi… all’istinto di strangolazione di Pilato / e ai suoi sistemi / come quello del movimento oscillatorio delle dita / che è visto da uno scrittore che è anche un po’ antropologo criminale e con analogo occhio criminologico Mastriani guarderà il fenomeno del brigantaggio / del quale non gli sfuggiranno tuttavia le complesse motivazioni storiche e sociali / né la straordinaria capacità di resa drammatica e spettacolare in un romanzo come I Misteri di Napoli / tant’è vero che se ne servirà ampiamente Onesimo / come avete udito da Marta / è stato arrestato perché sospettato di aver ucciso il duca Massa Vitelli / ma i poliziotti che lo conducevano a Napoli sono stati a loro volta assaliti da un gruppo di briganti / che hanno rapito Onesimo // [musica in sottofondo, un uomo e una donna mangiano] Questo rapimento è stato voluto da Rita Gesualdo / antica innamorata di Onesimo / e rivale di Marta / fra poco ascolteremo la storia di questa sventurata / che da onesta contadinella / finì per diventare la druda di Angelantonio Rinaldi / uno dei più temuti capi briganti del napoletano / ma adesso mi sembra equo tacere e consentiamo a quei signori di riprendersi la loro lettura //

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   L’analisi della sceneggiatura ha evidenziato che molti elementi (dialetto, fatti pragmatici e prosodici) sono diventati più consistenti al momento dell’esecuzione. Infatti nel romanzo solo moderatamente Mastriani è interessato alla mimesi dialettale, perché comunque risulta sempre debitore di una tradizione scritta e in ogni caso è autore di prodotti destinati a un pubblico diverso. Nei Misteri di Napoli l’autore si rivolge alla borghesia napoletana che aspira all’italianizzazione, mentre per una marcata espressione diafasica bisogna prefigurare gli spettatori televisivi della metà degli anni Settanta, allorché il napoletano e il romanesco si impongono come varietà diatopiche notevolmente stilizzate.

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       Breve profilo biografico di Francesco Mastriani

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   F. Mastriani [4] (Napoli 1819-1891) nacque da una modesta ma agiata famiglia borghese, che gli permise di seguire gli studi. La sua produzione artistica vanta circa 900 lavori, tra pezzi di costume, racconti, strenne della Napoli borbonica, testi teatrali e scritti pubblicati su vari giornali e riviste. Dal 1838 al 1848 Mastriani collaborò con diversi periodici, come «Il Sibilo», scrivendo diversi racconti e novelle come Il diavoletto. Il suo primo libro risale al 1848 ed è intitolato Sotto altro cielo. Nella sua lucida analisi della realtà partenopea, Mastriani seppe cogliere i giusti difetti e i giusti pregi di tutte le classi sociali e di tutte le categorie di lavoratori. La maggior parte dei suoi romanzi narravano fatti di camorra, lunghe lotte sfocianti nella vendetta e nel sangue, truculenti situazioni sociali di avvilente miseria, di codici d’onore e di ingiustizie. Una lunga serie di racconti (riuscì a scriverne fino a cinque l’anno, anche per mantenere la sua numerosa famiglia) è dedicata allo studio delle classi diseredate. Oltre alla famosa trilogia, I Vermi, Studi storici su le classi pericolose in Napoli (10 voll., 1863-1864), Le Ombre. Lavoro e miseria (1868) ed I Misteri di Napoli. Studi storico-sociali (2 voll. 1869-1870) si ricordano: La cieca di Sorrento (1852), Il mio cadavere (1852), Federico Lennois (1853), Il conte di Castelmoresco (1853), I Lazzari (1865), Il barcaiuolo d’Amalfi (1882), La sonnambula di Montecorvino (1883). Tra i romanzi postumi si segnalano La Medea di Portamedina (1882) pubblicato nel 1915 [5]. Il Mastriani era molto letto e seguito dai napoletani, ma non godeva della stima dei letterati partenopei del suo tempo. Significativo, anche se postumo, fu il riconoscimento di Matilde Serao che gratificò l’opera dello scrittore napoletano, e di Benedetto Croce che invitò ad una più attenta lettura dell’opera del Mastriani. Morì il 7 gennaio del 1891 [6], circondato dall’affetto dei suoi concittadini.

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   [1] Si cita da F. Mastriani, I Misteri di Napoli, Sonzogno, Firenze, 1874, p. VIII.

   [2] A, Palermo, Da Mastriani a Viviani. Per una storia della letteratura a Napoli fra Otto e Novecento, Napoli, Liguori Editore, p.19.

   [3] G. Alfieri, La soap opera all’italiana: stili e lingua di un genere radiofonico, in Gli italiani trasmessi: la radio, Firenze, Accademia della Crusca, pp.361-471.

   [4] Per approfondimenti sulla vita e le opere di Mastriani cfr: Antonio Palermo, Da Mastriani a Viviani. Per una storia della letteratura a Napoli fra Otto e Novecento, Liguori Editore, Napoli, 1972, p. 5 e sgg; Giorgio Luti, Attualità di Francesco Mastriani, Introduzione a I Misteri di Napoli, Firenze, 1966; pp.V-XV; Tommaso Scappaticci, Il romanzo d’appendice e la critica. F. Mastriani, Cassino, editrice Garigliano, 1990; Patrizia Noce Bottoni, Il romanzo gotico di Francesco Mastriani, Cesati, Firenze, 2015, in particolare pp. 139-158.

   [5] La Medea di Portamedina non è un romanzo postumo. Venne pubblicato la prima volta in appendice del giornale «Roma» dal 12 ottobre al 29 dicembre 1881; la prima edizione in volume è del 1882, Napoli, Stamperia Governativa. Ci furono altre edizioni, Napoli, Monte, 1911; Firenze, Salani, 1915; Napoli, ABE, 1976, Roma, Lucarini, 1988. (Nota di Rosario Mastriani).

   [6] Morì che mancavano dieci minuti alla mezzanotte del 5 gennaio 1891. (Nota di Rosario Mastriani):

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   MARIELLA GIULIANO ha conseguito il dottorato di ricerca in Filologia moderna nell’Università di Catania, nell’anno accademico 2009-2010 con la tesi Il «romanzo popolare italiano». Tra editoria cartacea e narrativa.  La stessa tesi è stata pubblicata in volume con il titolo Il «romanzo popolare italiano». Dal narrato allo sceneggiato. dove attualmente collabora. Attualmente collabora nell’Università degli Studi di Catania nel Dipartimento di Filologia Moderna.