I NOMI DI BATTESIMO

   Vogliamo questa volta occuparci un poco de’nomi che da’genitori soglionsi in Napoli appiccare alla loro prole. Comechè a prima giunta ci sembri che un tal subbietto non sia gran fatto importante, nondimeno tegnamo che respondent rebus nomina saepe suis. Vi pare mo che i Peppini, i Ciccilli, i Mimì, le Checchine, le Raffaele, le Petronille, le Saverie, i Prosdocimi, i Gaetani sieno nomi che posano stare all’altezza della civiltà in cui siamo? Si dia dunque il bando e per sempre a simili spoetanti appellativi che fanno la guerra al genio della mente ed alle illusioni del cuore. Come è mai possibile che un uomo contrassegnato col nome di Gennarino o di Catello addiventi un uomo di genio? Come è mai possibile che una donna, a cui si è appiccato il nome di Vincenza, v’ispiri amore? Per amor del cielo allontaniamo questi nomi che ricordano la servilità de’tempi che furono, e che contribuiscono alle sorti future di un uomo.

   Dimandate ad un quidam perché si chiama Peppino? Vi risponderà che suo nonno si chiamava così. Or noi chiediamo che ha che fare il nonno col nipote, e che cosa importa alla società che si perpetui il nome di un uomo posto in obblio fin dal giorno appresso che ei levò l’incomodo a’suoi contemporanei? I morti sono morti e i vivi sono vivi, e i primi non hanno che fare co’secondi, come il passato non ha che fare col presente.

   Volete voi una prova della condanna che portano seco questi nomi comuni e rancidi? Vedete se mai ne trovate alcuno in qualche componimento poetico, in qualche dramma o romanzo? Ei sembra che coloro i quali hanno la sventura di avere addosso di questi nomi non sieno messi al mondo ad altro oggetto che a strozzar pani. Avete mai inteso che l’eroina di un romanzo si chiami donna Vincenza, o il protagonista d’un dramma si nomi Ciccillo o Pasqualino? Noi non sappiamo quali influssi esercitino le costellazioni su i nomi proprii; ma è certo che la volgarità d’un destino ignobile e triviale pesi sulle spalle di un figlio di Adamo individualizzato con qualcuna di quelle parole che sentiamo ripetere in ogni casa, in ogni quartiere, in ogni borgo.

   Vi sono famiglie in Napoli nelle quali sono due o tre Ciccilli, quattro o cinque Peppini, una mezza dozzina di Totonni e un terno di Luiselle. Oimè! Lasciamo riposare per un paio di secoli almeno questi nomi che sono un vero anacronismo ne’tempi in cui viviamo; lasciamo che i Ferdinandi, i Franceschi, le Marie Caroline e le Marie Terese di esecrata ricordanza non abbiano più a funestarci.

   Ci è eziandio un’altra categoria di nomi, comechè non comuni, diventano ridicoli per gli storici e classici ricordi che destano negli animi. Immaginate un coniglio d’uomo a cui la vista del sangue di un pollo fa venir l’emicrania, e che si chiami, per esempio, Achille o Napoleone? Immaginate, per esempio, un buon divoratore di maccheroni, grasso e vermiglio, che non sa segnar neppure sulla carta il suo nome, ed al quale i genitori ebbero il prurito di apporre il nome di Michelangelo? Figuratevi una comarella che ride sempre e mangia sempre, col naso rubicondo e colle mani sempre odorose di cucina, e che si chiami Valeria o Cornelia? Figuratevi un’altra donna che si chiami Rosmunda, mentre è della migliore pasta di femmina che sia nel mondo?

   E quanto son cari quegli Alfredi, quelle Elvire, quegli Arturi, quelle Eloise, appropriati a creature mostruose e prosaiche, per le quali quei nomi addiventano la più crudele ironia? Immaginate per esempio un’Elvira occupata a far la salsa di pomidoro! Immaginate un Arturo padrone di casa con un naso aquilino e con un famoso lampione in testa? Immaginate un Alfredo con un ventre prominente e con un gozzo incipiente che attesta le poco romantiche disposizioni dello individuo?

   Dunque si cominci dal badare un poco a questi nomi che debbono accompagnare una povera vittima lungo il viaggio della vita, e che potrebbe essere un continuo rimprovero, un’antitesi perpetua, una ironia sanguinosa.

                                                       FRANCESCO MASTRIANI