I.
Signori, abbiamo l’intenzione d’introdurvi nei piccoli teatri della nostra capitale, i quali, sotto moltissimi aspetti, meritano forse que’ riguardi e quelle raccomandazioni che non meritano affatto i teatri maggiori ed io vi confesso che ormai trovo maggior diletto a ficcarmi nelle bolge del teatro di Donna Peppa o del largo delle Pigne che nello spopolato e squallido S. Carlo. Vi dimostrerò quali sono i vantaggi che si trovano a frequentare i casotti e quali gli allettamenti che vi piovono addosso. Senza dire che egli è un debito di giustizia il rendere un tributo di lode al merito dovunque modestamente si appiatti.
Parecchi teatrini sono a mano destra del largo delle Pigne, l’un de’ quali si addimanda la Partenope, siccome forse vi è noto; ma a noi piace di cominciare la nostra rivista da un teatrino che gli sta a fianco, e che non ha ricevuto ancora un nome, forse per quel tale versate che non si è versato ancora da’ socii di questa impresa.
Ma il non avere un nome non toglie nulla al merito. D’altra parte, il dire il Teatro al largo delle Pigne (che esprime esattamente il luogo dov’è situato e nomina in qualche modo il suo direttore che è il signor La Pegna) non vale più che dire il Teatro de’ Fiorentini, dove gli attori sono di tutt’i paesi del mondo fuorchè Firenze, o il Teatro Nuovo che è più vecchio del Vesuvio? Dunque, il nome non ci entra affatto, e questo è cosa assodata.
Passiamo innanzi. Il primo de’ vantaggi che si trova nel frequentar di preferenza questi teatrini è l’economia, giacchè con un carlino voi vi sdraiate comodamente in un palco e siete dominò e padrone del teatro e fate la vostra piccola figura di marchesino o di contino, e potete a vostro bell’agio sbirciar la prima donna o far l’amore colla servetta, senza che il pubblico (sempre rispettabile dovunque si trovi) s’incarichi de’ fatti vostri o abbia nulla a ridire. Il pubblico sa che avete pagato un carlino, e ciò basta perché siate riguardato come conviensi.
Il secondo vantaggio (e non è piccolo per chi valuta il tempo) è che voi potete scegliere a vostro piacere qualunque ora del giorno o della notte per recarvi allo spettacolo, senza essere schiavo dell’orario impostovi da’ teatri maggiori. Invero, è cosa assurda, incredibile, insoffribile che un galantuomo non possa andare in altr’ora al teatro che quando la gente che vuol viver sana e lungamente va a letto, seguendo i precetti d’Ippocrate e le regole dell’igiene. Che significa uno spettacolo che comincia alle 9 della sera? Non è questo il più aperto attentato alla pubblica salute? La notte è fatta per dormire e non per fischiare.
Per me, vi giuro che io preferisco di andare al teatro alle quattro e uscirmene alle 6; il che vi lascia il tempo di fumarvi un sigaro, di vedere un amico, di leggere un’oretta, di cenare col vostro comodo, e di andare a letto alle 9, e alzarvi alle 6; sistema che vi fa vivere il doppio di quello che vivreste andando a S. Carlo, a’ Fiorentini o al Teatro Nuovo.
Voi dunque potete a quell’ora che meglio vi aggrada recarvi allo spettacolo in qualcuno de’ nostri piccoli teatri; giacchè vi si dànno ordinariamente tre o quattro o anche cinque rappresentazioni al giorno, per comodo maggiore del rispettabile pubblico, e siate sicuro che troverete sempre negli attori lo stesso zelo, lo stesso impegno, la stessa premura di ben servire. E massimo poi se andate al Teatro de’ pupi, dove siete sicuro di non trovare abbassamenti di voci, malattie di gambe o altre indisposizioni fiscalmente verificate.
Il terzo vantaggio è il non aver sempre sotto l’occhialino la medesima porzione di rispettabile pubblico abbonato, siccome avviene a S. Carlo, e più a’ Fiorentini, dove alla eternità degli attori e delle attrici si aggiunge l’eternità degli spettatori e spettatrici. Ne’ piccoli teatri al contrario voi godete di una svariatezza piacevolissima di pubblico misto, che offre allo sguardo un curioso panorama di costumi.
Il quarto vantaggio è che voi potete stabilire delle piccole conversazioni, se vi piace, a dritta, a manca, dirimpetto, sopra e sotto di voi, sempre beninteso negl’intermezzi degli atti; e questo vantaggio non si potrebbe avere se le distanze non fossero grandemente accorciate in tutt’i versi.
Il quinto vantaggio è che il giudizio del pubblico in questi teatri è sempre imparziale e figlio delle impressioni e non delle prevenzioni. Qui voi non vi trovate nel campo di opposti partiti cozzanti tra loro; qui non dominano le particolari simpatie o antipatie, e il pubblico ingenuo fa buon viso a tutti e a tutto, purchè pianga o rida, cose che facilmente si ottengono atteso l’innocenza degli spettatori e l’abilità degli attori.
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II.
Or vogliamo metterci alla ricerca di questi teatri; e, siccome promettemmo, incominceremo da quello del teatro delle Pigne, che sotto moltissime considerazioni merita la preferenza tra gl’innominati, senza dire che per me gliel’accorderei eziandio su i massimi teatri, dove la musica è morta, e dove il ballo, nella corrente stagione, non è in fiore.
Non vi staremo a descrivere la sala di questo teatro, giacchè ve la potete immaginare più o meno se fosse mai al Sebeto (teatro e non fiumicello): ci è una fila di palchi e la galleria, la quale (bisogna dirlo ad onore del vero) meriterebbe una piccola sottrazione di lettere addimandandosi piuttosto galera. Ma, pel converso, troviamo assai piacevole e comoda quella fila di palchi che sta sotto alla galleria, imperocchè nessuna divisione separa l’un palco dall’altro; onde tutta la fila forma un sol palco, e la gente che ivi conviene sembra appartenere ad una sola famiglia. La capienza è sufficiente, potendo benissimo entrare tre persone in un palco.
I cuscini sono abbastanza morbidi meglio che in qualche teatro primario, dove i cuscini sembrano anche di ferro fuso.
Le produzioni che vi si danno sono svariatissime, appartenenti a tutt’i generi, dal classico al romantico, dal serio al faceto, dal tragico al comico, e la compagnia non scarseggia di attori capaci di sostenere ciascheduno di questi diversi generi. Noi abbiamo per moltissime sere frequentato questo teatro, ed abbiamo avuto sempre più motivo di convincerci che il merito talvolta si va ad annidare ne’ più modesti e reconditi siti; abbiamo assistito a parecchie svariate produzioni, e tra le altre al dramma del defunto scrittore sig. Gennaro Bolognese intitolato Giambattista Pergolesi, personaggio eseguito dall’attore amoroso signor Picone.
Prim’uomo della compagnia è il sig. de Chiara, intelligente e pieno di zelo; la sua persona è nobile e dignitosa, la sua azione non manca di verità, per quanto la verità è tollerabile su quelle piccole tavole, dove il vero non è verosimile. La signora Barbetti e la signora Cambiè si disputano l’onore di prime donne; e ciascheduna di loro è accortamente adoperata al suo posto, corrispondendo entrambe con sommo impegno alle parti che lor vengono affidate. Vivace e allegra è la servetta signora Martolini; e il Pascariello fa ridere di tutto cuore l’ingenua udienza.
Signori, in qualche domenica, o anche in qualunque altro giorno che bramate di farvi una passeggiata, vi prego di scegliere in preferenza il largo delle Pigne. Quivi arrivati, passate avanti al teatro Partenope, e, tenendo sempre a dritta se venite da Toledo, accostatevi là dove vedrete una gente agglomerata dinanzi a quelli grandi quadri che rappresentano tacitamente l’azione principale del dramma o della commedia. Se vi piglia il desiderio di entrare, affrettatevi, giacchè non è cosa tanto facile quanto potreste credere il trovare un posticino di palco o di platea, e più difficile ancora un biglietto di galleria che è la prima ad empirsi e l’ultima ad essere sgombera. In tutte e quattro le rappresentazioni della domenica e degli altri giorni festivi, la piena non manca, a grandissimo diletto e soddisfazione dell’impresario che, vestito a costume (giacchè egli riunisce anche la qualità di attore) vedete piantato alla porta del suo teatro, per procacciarsi il piacere di veder piovere nella cassetta le sospirate granella.
Bello studio all’antropologia offre lo spettacolo del pubblico stivato in quelle angustie. Le vergini passioni si dipingono sulle sembianze degli spettatori e massime delle spettatrici, che tu vedi piangere e ridere con estrema facilità.
Ma non alzate gli occhi alla galleria, imperciocchè, se per la prima volta vi trovate in questo teatrino, non potreste rattenere un grido di spavento nel vedere gran parte de’ monelli che ivi han preso posto starsene sospesi a metà del corpo su l’orlo di quella specie di patibolo, in modo che ad ogni istante ei sembra che debbano spiccare il volo, o che vogliano esercitarsi a qualche giuoco acrobatico.
Da ultimo, menzioneremo di questo teatrino che esso ha l’onore di pigliar posto nel Programma giornaliero de’ teatri e spettacoli.
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III.
Ora, mio gentilissimo rispettabile pubblico, abbiam l’onore d’introdurvi nel Sebeto, non già nel famoso fiumicello quanto ricco d’onor povero d’onde, ma bensì in quel teatrino che ha per vicino il Fondo, e da poco l’ha avuto per emulo e rivale. Il Sebeto è un teatrino che sta bene al suo posto, che ha una scelta e buona compagnia, un Pulcinella che fa ridere, un amoroso che fa piangere, e un padre nobile che mette soggezione e paura. Ma, prima di parlarvi degli attori e delle produzioni, gittiamo a volo di pipistrello uno sguardo sul pubblico di questo teatrino, che ha le sue fattezze, la sua fisionomia, il suo carattere come tutt’i pubblici di tutti gli altri teatri.
Il pubblico di questo teatro si divide in tre parti o sezioni, ciascheduna delle quali diversifica dalle altre; ci è il pubblico della recita delle ventidue ore, quello delle ventiquattr’ore e quello delle due ore della notte.
E cominciando dal primo, diremo che questo è quello che più si diverte. Non diremo di quali elementi esso componesi, giacchè basta farsi una passeggiata sul Molo e gittare un’occhiata a dritta e a manca per vedere quali sono i primi spettatori che occuperanno le sedie di platea ed anche i palchi, che gusteranno le primizie drammatiche o comiche della rappresentazione. Egli è vero che questa è la così detta rappresentazione della digestione, e che però il pubblico e gli attori sono sotto l’influenza del chilo, ma regna in questa prima recita una tal quale disinvoltura, onde non rare volte si stabilisce qualche piccolo dialogo tra le prime file della platea e gli attori, che aggiugne varietà e vaghezza allo spettacolo. Il pubblico delle 22 ore si contenta di tutto, applaude sempre, ride sempre anche quando si rappresenta un dramma in cui di dieci attori ne muoiono undici (incluso qualcuno che non si vede, ma che si sente morire). La maggiore ilarità domina sempre nella sala unita alla maggiore spensieratezza. Si direbbe che il pubblico non voglia prender sul serio le morti e le botte che accadono sul proscenio, ovvero che vi ci abbia fatto l’assuefazione per modo da non risentirne più seria impressione. I seccumi così detti spassatiempo divertono il pubblico della galleria, che si diverte a far piovere su quello della platea le bucce de’ semi di popone e di fave secche.
Il pubblico delle 24 ore è un poco più serio, più civile e più parco di applausi; non soffre tanto volentieri le distrazioni de’ rispettabili spettatori della galleria, e non risparmia i fischi quando ci vogliono. Questo pubblico s’intenerisce più facilmente alle lagrime della Cafferecci madre e al sorriso della Cafferecci figlia, ama più il tragico che il comico, e adora soprattutto i banditi, cioè le opere in cui si veggono Marco Sciarra e Tito Mangone in iscena. Per questo pubblico le sole castagne dette bruciatelle formano una certa diversione dallo spettacolo.
Finalmente il pubblico delle due ore di notte è al tutto diverso da’ due primi; l’elemento civile vi predomina e con esso i gusti e le impressioni proprie del ceto, gli attori riserbano la forza de’ loro polmoni e delle loro braccia per questa terza rappresentazione, sapendo che saranno ascoltati da spettatori gravi e intelligenti. La galleria è pressoché spopolata a quest’ora.
Ora, eccoci a dire due parole sul merito delle produzioni e degli attori. Le prime appartengono per lo più allo stesso repertorio, al quale attinge la Fenice, tranne i drammi di soggetto biblico che rappresentansi nel Sebeto durante la quaresima, e che sono di esclusiva proprietà di questo teatrino. Vi si recitano ancora le vecchie commedie e i vecchi drammi del vecchio repertorio de’ vecchi Fiorentini.
Diremo degli attori che ciascuno ha il suo merito, e specialmente le donne di cui qualcuna è bellina, e specialmente il padre nobile che è della forza di 20 cavalli, e che può all’occasione rappresentar la parte del gigante Golia, e specialmente il Pulcinella che è il primo a ridere di quello che dice.
Non vi nominiamo un per uno tutti gli attori, giacchè voi forse non avete il piacere di conoscerli, e quindi sarebbe tempo sprecato. È meglio che andiate a sentirli; questo giova più agl’interessi della sebezia impresa, e vi procaccia il piacere di assistere ad uno spettacolo al quale troverete più gusto che assistendo agli spasimi della felice memoria di Violetta (che l’impresa di S. Carlo abbia in gloria).
Ora lasciamo il Sebeto, facciamo pochi altri passi, e introduciamoci nel teatrino di Donna Peppa, che merita per dritto di anzianità l’onore della esposizione nel Palazzo di Cristallo.
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Francesco Mastriani
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Fu pubblicato sul giornale Il Palazzo di Cristallo il 13 col titolo I piccoli teatri della capitale e il 22 e 28 marzo 1856 col titolo I piccoli teatri di Napoli.
Fu pubblicato anche sul giornale La Domenica il 18 novembre 1866 col titolo I piccoli teatri.