I SALOTTI ARISTOCRATICI

   Gli splendidi ed eleganti salotti dell’aristocrazia napolitana si aprono alle feste da ballo, al pari che i modesti salottini della classe media si riaprono alle periodiche. In quest’anno la stagione de’balli promette di essere lietissima, massime se entreranno in ballo anche i nostri fratelli romani, facendo fare un famoso galop a tutto l’esercito cardinalesco. Noi non mancheremo di dar conoscenza a’nostri lettori di tutto ciò che di bello e di brutto si fa nel grande e nel piccolo mondo. Intanto, a proposito di salotti e di ballo, vogliamo fare alcune serie considerazioni filosofico-morale su quella che dicesi vita della sera. Faremo un giro pe’nostri salotti più alla moda, più ricercati per la gaiezza, per lo spirito, per la buona società che vi si raccoglie; cercheremo di stordirci come tutti gli altri, di divertirci per quanto il permette un’epoca eminentemente noiosa e ipocondriaca; e quindi, a notte avanzata, studieremo le nostre impressioni e gitteremo su la carta i nostri pensieri su lo spirito che domina nelle conversazioni a lume di carcel.

   Innanzi tutto, avremo cura di entrare in un salotto qualche ora avanti che vi si riunisca la gente. Balestreremo all’intorno un’occhiata provvisoria sul piccolo mondo inanimato che sotto parecchi rapporti si assomiglia a capello col gran mondo animato, che popolerà le splendide stanze destinate al piacere. Tutto è allustrato, inverniciato, bizzarro, storto, capriccioso in questi salotti, come la società che dovrà riunirvisi; tutto è bello in apparenza e fiacco in sostanza; tutto è lucido allo esterno e fradicio allo interno.

   Il nostro è secolo di arimmetica e di scrittura doppia. Il così detto positivismo ha distrutto ogni poesia della vita. Le grandi conquiste che lo spirito umano ha fatto nel regno filosofico hanno renduta troppo seria la società. Ed in questo, se gli uomini ci trovano il loro conto, non cel trovano le povere donne. Il regno del denaro ha bandito il regno dell’amore. Le incessanti preoccupazioni degl’interessi materiali assorbono le menti e raffreddano i cuori. La presente generazione di uomini non pensa che ad una sola cosa: il denaro.

   Tutto sembra rivestirsi dello spirito del nostro secolo. I salotti moderni hanno colori cupi e fantastici: financo la forma e la disposizione delle suppellettili t’ingombrano l’animo: vi si scorge un abbandono, un vivere sciatto e non curante: pare come se i padroni di casa si apprestino sempre a sloggiare; come se il buon ordine stia contro il così detto buon genere. Più non si veggono que’mobili eterni di mogano venuti da varie generazioni, come le sedie d’ appoggio de’vecchi castellani. Tutto è oggidì efimero e transitorio; e la moda vuole che il legno, la seta e i colori dei nostri addobbi sieno perituri e fiacchi a mo’degli uomini dell’era presente e de’sistemi ch’ei si formano.

   La nostra società consueta si agita convulsivamente ne’salotti per cercarvi distrazioni e piaceri; ma tutti i suoi sforzi non fanno che rimescolare sempre più le noie particolari in una noia comune. Le donne vi compariscono pallide, spoetate, silenziose. Non vi è più cortesia e gentilezza dalla parte degli uomini verso il bel sesso. Il lionismo proibisce ogni atto di urbanità; epperò ne’salotti non di rado si vede a’dì nostri un signore che, vedendo una dama all’impiedi e stanca, non s’incomoda a cederle la sua sedia o a procacciargliene una; anzi, col rivolgerle lunghi discorsi, pare ch’ei goda di vederla in disagio.

   L’esistenza leggiera de’nostri padri è stata surrogata da un vivere solenne nella sua puerilità, e puerile nella sua solennità. Le idee hanno bandito le immagini: le passioni turbolente han fiaccato i piaceri; l’avvenire ha ucciso il presente, ed il lusso ha fugata la comodità. Poveri noi, la noia ci perseguita, ci ammazza; eppure, noi l’amiamo, ci attacchiamo al vuoto, idolatriamo il maghero e brutto positivismo.

   Quei cari giuochi di spirito, quelle sciarade in azione, quegli scherzi a cuore aperto, quella molle maldicenza a fior di labbra, quelle risa innocenti, e tutte quelle altre belle cose che un tempo formavano la delizia de’salotti, sono passate di moda, sono finite, lasciandone il retaggio delle lunghe politiche discussioni, ovvero delle furiose polche, dei vorticosi valzeri, de’lancers britannici, o dell’eterne sonate di pianoforte, o dell’eternissime ciance di cavalli e di corse.

   Lo scopo unico e solo delle moderne periodiche riunioni è il ballo, bel mostro co’serici guanti e co’torturanti scarpini. Non vi è richiamo di donne laddove non è un invito di ballo; e questo si è renduto o troppo serio o troppo faticoso. L’instancabilità delle gambe si tiene oggidì in quel pregio in cui teneansi una volta la grazia e la leggiadria de’passi. La contradanza francese co’ suoi mille intrecci e concertini è divenuta noiosa; la non si addice più che a’fanciulli; oggi non si balla che il valzer tedesco, il lancer, la polca e il cotillon.

   Gli stranieri credono che in Italia duri ancora quel bel tempo arcadico di poesia e d’amore, allorché noi contavamo le ore del giorno col novero dei nostri piaceri, ed eravamo poeti fino alla decrepitezza per l’incanto e per la ispirazione del nostro cielo. Si persuadano una volta codesti eterni cianciatori, che noi ci secchiamo insino alla morte, e che la maledetta imitazione degli usi e delle fogge oltramontane ha bandito l’allegria dalle nostre riunioni.

   L’aspetto de’salotti nulla offre oggidì che rallegri o distragga dalle noie e da’dispiaceri della vita interna. Il lion, creazione di un secolo esausto e macerato, tipo venutoci dalla malinconica Inghilterra, si presenta dappertutto grave e glaciale; la sua presenza mette in fuga il piacere, dappoichè il piacere non è più alla moda. Il giovine del 1866 è già vecchio a 20 anni; il suo cuore non batte che per le cifre; egli detesta il divertimento a cuore aperto e le galanti avventure; non si cura più degli amori; e a lui potrebbe applicarsi quel verso di Byron:

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            I’ll die as have lived… alone [1]

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   Il regno delle donne è finito: la magia dei loro vezzi è distrutta; il calcolo e l’avarizia regolano la maggior parte de’matrimoni che accadono. Poverette! È una pietà il vederle così poste in obblio, questa cara metà color rosa del genere umano, queste amabili compagne de’nostri giorni!

   Una grande epidemia affligge la nostra presente società, un’epidemia avverso la quale impossibile è l’arte medica, e che minaccia di distruggere in fiore la nostra gioventù di sesso maschile. Questa novella infermità, ignota a Galeno, a Brown e a Brussais, ad Hanneman e consorti, è la noia. Il più sorprendente si è che questo malore, che parrebbe dover colpire in preferenza gli uomini che han già corso gran parte del cammin di nostra vita, piglia (mirabil cosa!) i giovanotti imberbi, gli adolescenti, i fanciulli appena usciti dalle scuole elementari. È davvero una pietà! Voi vedete queste care speranze della patria abbandonati ne’salotti, con una gamba in sull’altra, coll’eterno sigaro in bocca (oggi si comincia a fumare a sei o sette anni), pallidi, distratti, non curanti di quanto si fa, insensitivi alla bellezza delle donne, alle gioie d’un convito, agli allettamenti delle arti, già vecchi a 20 anni, divorati insomma dalla magrissima e squallida noia.

   L’amore, il prisma incantatore che abbelliva la nostra vita di tanti vivaci colori, l’idolo della giovinezza, è rotto, spezzato, come stolta idolatria: il secolo del positivismo gli ha dapprima strappato la benda; poscia gli ha tarpato le ali; ha gittato un freddo soffio sulla sua face, e da ultimo gli ha assestato il colpo di grazia per ispolverarlo. Povero amore! E che cosa ha preso il posto di questo nume che ha ispirato tanti poeti, tanti romanzieri, tanti drammaturghi, e che trasforma gli uomini e le cose? Il DENARO.

                                                                                  FRANCESCO MASTRIANI

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[1] Morirò come ho vissuto… da solo (nota di Rosario Mastriani).