IL ROMANZO D’APPENDICE E LA CRITICA

              

              Questa edizione è in possesso degli eredi Mastriani

 

   Sulla collocazione della narrativa di Francesco Mastriani nell’ambito del genere appendicistico consentono tutti gli studiosi che si sono interessati della sua fluviale produzione e che hanno spesso accostato il suo nome a quello dei principali esponenti del feuilleton e del romanzo gotico, individuando concordanze di tecniche e di tipologie con le opere di Sue o della Radcliffe, di Dumas padre o di Victor Hugo. Da questa premessa, solo inizialmente contestata da qualche lettore e ben presto divenuta una sorta di luogo comune della critica, sono derivate conseguenze di notevole portata, che hanno condizionato tutto lo svolgimento degli studi sullo scrittore napoletano e ne hanno ispirato le rare approvazioni, le frequente ripulse e soprattutto il lungo e profondo silenzio caduto sulla sua opera. In questa ottica, infatti, si giustifica il riconoscimento più o meno generalizzato delle sue doti fabulatorie e della capacità di farsi leggere anche e soprattutto da un pubblico culturalmente poco smaliziato, il cui interesse poteva essere catturato e mantenuto desto solo attraverso una sapiente utilizzazione di qualità narrative in grado di sostenere complesse macchine romanzesche e di articolarsi in soluzioni fondate su un abile equilibrio di varietà combinatoria e di sostanziale omogeneità di situazioni. M si spiega anche la sua condanna, costante e quasi irredimibile, a una condizione di subalternità o di vera e propria esclusione dal mondo delle lettere, nel quale il romanzo di appendice sembrava non poter essere accolto per difetti insiti nella sua stessa origine “popolare” e “triviale”, di narrativa non sublimata dagli arditi sperimentalismi e dalle inquietudini problematiche di personalità di eccezione.

   In quanto autore di appendice, per circa un secolo Mastriani è stato estromesso dalle storie della letteratura e ha condiviso la sorte di quanti, attenti al rapporto con un pubblico non elitario più che alle indicazioni della critica accademica, si sono orientati verso scelte narrative diverse, eteroclite, non collimanti con quelle dei “legittimi” lettori della poesia “vera” e “universale”. Alla base della squalifica erano non tanto motivazioni di carattere estetico, fondate su una sicura conoscenza delle opere e sulla individuazione di manchevolezze artistiche in esse presenti e difficilmente negabili anche per il più accanito ed entusiasta dei suoi difensori. A Mastriani, anzi, è toccata la stessa singolare sorte degli altri scrittori di appendice che hanno goduto di straordinario successo presso il pubblico popolare e sono stati pochissimo letti dagli specialisti, convinti che fosse sufficiente sfogliare qualche raro romanzo per pervenire alla sbrigativa e complessiva condanna di una produzione vasta di decine di volumi, spesso sostenuta da un impegno ideologico e strutturale non superficiale e comunque degno di attenzione, ma contaminata dal peccato di origine di appartenere ad un genere considerato estraneo alla “vera” letteratura. In fondo, la valutazione critica si basava su un sillogismo semplice e lineare, tale da mettere al riparo da eventuali dubbi e obiezioni: premesso che il romanzo d’appendice non è arte e accertato che Mastriani è un romanziere di appendice, ne deriva la logica e inevitabile conseguenza che l’opera di Mastriani non rientra nel campo dell’arte. […] [1]        

                                                    TOMMASO SCAPPATICCI

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[1] È questo l’inizio del primo capitolo «Il caso Mastriani: fra successo di pubblico e silenzio della critica», del saggio in oggetto, che si compone complessivamente di 5 capitoli:

  1. Il caso Mastriani: fra successo di pubblico e silenzio della critica.
  2. L’interpretazione “sociale” del secondo Ottocento.
  3. La condanna estetica dell’età idealistica.
  4. Dal secondo dopoguerra al revival degli anni Sessanta.
  5. Gli ultimi studi.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              .

 TOMMASO SCAPATICCI è professore associato di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cassino. Si è interessato soprattutto di correnti letterarie e autori degli ultimi tre secoli, contribuendo anche a richiamare l’attenzione su questioni e personalità poco studiate. Oltre ai numerosi saggi apparsi su riviste («Problemi»,«Letteratura e Società», «Campi immaginabili», «Critica letteraria», «Ariel» ecc.), è autore di varie monografie e miscellanee

   Fra i suoi volumi pubblicati si ricordano: Un intellettuale dell’Ottocento romantico: F.rancesco  Domenico. Guerrazzi (Ravenna, 1978),  Il carcere nei canti popolari (Napoli, 1980), Ideologia e arte in Carlo Bini (Cassino, 1985), Il romanzo d’appendice e la critica (Cassino, 1990), Tra orrore gotico e impegno sociale. La narrativa di Francesco Mastriani (Cassino, 1992), Introduzione a Serao (Roma-Bari, 1995), La contessa e i contadini. (Napoli, 1997), Nel mondo di Aristarco. Studi su Giuseppe Baretti (Cassino, 1997), Dal mito alla storia. Studi sulla letteratura italiana dell’Otto-Novecento (Napoli, 1999), Il caso Panzini (Napoli, 2000), Forme letterarie e pubblico tra Sette e Ottocento (2003), Tra consenso e rifiuto. Scrittori e pubblico tra Otto e Novecento (2003),   
   È direttore della rivista «Letteratura e Società» e della collana «Modelli di narrativa di consumo».

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