8 GENNAIO 1891

   Il «Don Chisciotte» di Roma

   È morto martedì a Napoli. Povero Mastriani! Povero professore! Io lo ricordo così: con un lungo soprabitone nero, trascurato nell’abbigliamento, sgambettare per la via, correre di qua e di là a dar lezioni di lingua italiana, macilento, un po’curvo, i capelli e il pizzo quasi bianchi, sempre scrivendo un capitolo di romanzo: un fascio di cartelle in tasca e l’angoscia nell’anima. Perché questo lavoratore, perché questo romanziere ha avuto la vita trista e tribolata; mentre il suo ingegno, la sua operosità, l’utilità che dal suo lavoro, anche quello degli ultimi tempi, farraginoso, gittato giù per il pane quotidiano, gli avrebbero dovuto assicurare una esistenza tranquilla e la vecchiaia serena. Invece no: Mastriani ha dovuto sempre lottare col bisogno e scrivere romanzi fino all’ultimo giorno di sua vita: infatti egli è morto, ed il Roma di Napoli ha due romanzi di Mastriani ancora da pubblicarsi: La Nonna e I delitti dell’eredità. Ora gli acciacchi e le sofferenze non gli consentivano più di andare lungamente a piedi in giro, e quando in un omnibus si vedeva un piccolo uomo, rannicchiato in un cantuccio, il cappello sulle gambe, su un fascio di cartelle scarabocchiare con la matita furiosamente, si poteva giurare: quello era Mastriani. Negli ultimi tempi era diventato quasi cieco; forse avea dovuto abbandonare i suoi scolari prediletti, ma l’appendice pel Roma la scriveva sempre, e la sua popolarità, popolarità straordinaria a Napoli, non era scemata, anzi nell’affetto che egli ora raccoglieva non solo nelle classi popolari, v’era una certa trepidazione amorosa, diventata più intensa quando tempo fa venne annunziata la malattia di Francesco Mastriani.

   Proprio egli meritava miglior fortuna. Ma oggi si leggeranno elogi straordinari del povero morto; e mentre sarebbe stato tanto facile alleviare la vita dolorosa del Mastriani, senza eccessi ma con giustizia [1] tutti han serbato pel giorno che sul bianco lettuccio, col crocefisso sul petto, giace il povero morto, in una modesta cameretta, la commiserazione ed il rimpianto. Accade sempre così, dappertutto: a Napoli specialmente Mastriani meritava miglior fortuna. Anni fa, quando la polemica naturalistica, per l’Assommoir specialmente, strepitava fragorosa, Mastriani scrisse una lettera, rivendicando a sé la formula, così accanitamente difesa, così accanitamente combattuta. C’era dell’esagerazione, ma c’era anche la verità; era un grido di protesta, strappato finalmente al mite animo d’un lavoratore martirizzato, contro la grande ingiustizia.

   La produzione romanzesca di Francesco Mastriani, che se non è opera d’arte ha il dritto di non passare inosservata, segna le due epoche dello scrittore. L’età dei sogni, delle illusioni, delle speranze: l’età del disinganno, delle amarezze, delle ingiustizie. Mastriani ha scritto in quella prima età, tra parecchi altri: La cieca di Sorrento, la pietosa storia, I Vermile Ombrei Misteri di Napoli; nella seconda età col bisogno ha creato l’appendicista del Roma. Quando lo sventramento, che per ora ha sanificata la casa del povero fabbricando un cafè-chantant – quando lo sventramento avrà compiuto, nei secoli, l’opera sua civile, il carattere orridamente affascinante del basso Napoli rivivrà nei libri di Francesco Mastriani, rivivrà nei Vermi, nelle Ombre, nei Misteri di Napoli. E quando si troveranno anni interi di giornali con appendici di un solo romanziere, e si saprà che quell’appendice, di quel romanziere, è stata in gran parte la fortuna del giornale, si crederà che quell’operosità sarà stata la ricchezza del romanziere; mentre invece era la lotta per l’esistenza che spingeva il lavoro febbrilmente farraginoso, e in questo lavoro, mentre singhiozzava l’anima dello scrittore, si era andato affievolendo un ingegno che, nel suo genere, aveva dato le prove che fanno sorridere l’avvenire.

   Perché è la verità. Lontano da ogni movimento letterario, senza conforto, senza soccorso, quando era impossibile per le condizioni del paese anche il sospetto dell’ imitazione, mentre in novo romoroso indirizzo era ancora di là da venire, il povero Mastriani avea saputo trovare una via dell’arte, greggia ancora nel contenuto, trascurata nella forma, ma il documento umano egli l’aveva studiato; ma l’ambiente egli l’aveva scrutato, e documento e ambiente egli avea fedelmente rispecchiati nelle Ombre, nei Vermi, nei Misteri; ed aveva trovato nel racconto la forma e la figura; e la verità umana palpitava in quelle pagine, pure messe al posto che solo loro spetta. Non solo: ma da quelle pagine sorgeva anche l’opera civile. Hanno fatto tanto chiasso, sta bene, per l’Orfana dell’Annunziata di Ranieri, perché era il grido di protesta contro la barbarie verso l’infanzia abbandonata; ebbene quelle opere di Francesco Mastriani avevano maggior larghezza e maggiore importanza: era un grido di pietà per tutto un popolo crudelmente avvilito e languente. L’istessa conseguenza prova la maggiore importanza civile per l’opera del Mastriani su quella del Ranieri: il fatto parziale della sanificazione del Brefotrofio napolitano trovò subito aiuto e compimento; ma opera vasta, immensa era quella della sanificazione dei quartieri bassi napolitani. Infatti ci volle un terribile flagello per richiamare la momentanea attenzione, per rivelare quale spaventosamente grandiosa tragedia si agitasse laggiù. E la grande emozione e la gran pietà che commosse tutta Italia nell’84, già avea avuto le sue lacrime, già implorava soccorso, nelle pagine delle Ombre, del Vermi, dei Misteri.

   Oltre al fine, nell’opera sua, Mastriani avea notevoli qualità nel raccontare, nel saper cogliere il tipo e riprodurlo, nel saper suscitare l’interesse, nel rispecchiare gli ambienti, nella esattezza e a volte fina brutalità benedetta di osservazione.

   Ma a nulla gli valse il fine e il metodo, la volontà e l’operosità; nell’arido ambiente, l’indifferenza più crudele.

   Il povero professore d’italiano avea famiglia, nel lavoro doveva trovare il suo pane quotidiano: il bisogno c’era, cresceva. Da allora cominciò quel vertiginoso avvicendarsi di appendici che nemmeno le gravi malattie ma che solo la morte ha arrestato. Il distacco di quelle prime illusioni, di quelle prime prove, dovette essere una stilettata pel povero Mastriani, e forse in quella persona curva, in quella anticipata canizie gemeva l’anima addolorata: la lettera per rivendicare la formola fa balenare l’amarezza dello scrittore ingiustamente abbandonato; ma l’uomo era mite, buono, ingenuo – anche questa è la ragione, oltre il bisogno, della caduta – si contentò di lavorare per vivere, scrisse perfino due o tre romanzi contemporaneamente, faceva il professore e si trascinò fino agli anni estremi senza mai più far ricordare una pagine dei Vermi, dei Misteri, delle Ombre, sparpagliando nelle innumerevoli appendici i detriti della sua catastrofe.

   Un altro morto la cui esistenza martoriata dimostra dolorosamente come nella vita, all’ingegno, per riuscire, deve corrispondere o la sottile arte della furberia, o la violenza del pugno – scaraventato dall’energia che non conosce ostacolo – del lottatore. Perché la folla si scuote e fa omaggio o al sorrisetto lojolesco o allo scoppio brutale dello attacco a mitraglia.

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[1] Eppure, c’è stato che ha detto che l’Italia era troppo povera per mettere Francesco Mastriani in condizione di non desiderare il pane!!! (Nota di Filippo Mastriani).

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   Il «Messaggiero» di Roma

   È morto povero, in via Penninata S. Gennaro dei Poveri, ad un terzo piano, il romanziero Francesco Mastriani.

   Ha contribuito alla fortuna del giornale Roma che si era accaparrato il suo ingegno, pagandolo, questo si sa.

   E il fecondo scrittore, che ha deliziato con i suoi scritti tante generazioni, faceva le appendici giornalmente.

   Se la letteratura patria fosse fonte di ricchezza, Mastriani avrebbe i quattrini di Zola. Ha scritto cose potenti, con un’arte pittorica di costumi che salva il suo nome.

   Ho pagato un tributo al lavoratore che muore nella miseria, correndo a vederlo in quel terzo piano della via Penninata.

   Per sua volontà l’hanno lasciato nel lettuccio semplice, e sul lettuccio un crocefisso che spicca sul bianco delle lenzuola.

   Ha quattro ceri ai piedi e poi nulla.

   Il proprietario del Roma provvede alla sorte della vedova e i funerali si faranno per conto della Prefettura.

   Pochi romanzieri sono stati fecondi come Francesco Mastriani.

   Egli ha scritto una grande quantità di romanzi, che quasi tutti hanno avuto i loro giorni di successo, e dei quali molti anche oggidì sono molto letti.