IL MIO SIGARO

   Venti anni fa, io non fumava, epperò le mie ore scorrevano triste: cercavo con avidità i divertimenti, le donne e gli amici; ma i primi mi stancavano, mi stordivano e vuotavano il mio borsellino; le donne mi metteano continue tempeste nel cuore e ne’sensi, e gli amici finivano sempre cole rendersi importuni e seccanti.

   L’unico porto di riposo era per me lo stanzino da studio; ma, per disgrazia, l’uomo è composto di spirito e corpo; e, quando quello è stanco dal meditare, è d’uopo che si svaghi, altrimenti il corpo ne soffre. Quando mi sentiva la mente troppo pesante per lunghe ore di studio, io usciva di casa, e vagava per le strade, pe’salotti, pe’teatri, pe’caffè, sempre desideroso d’un bene, ch’io non sapea trovare. Eppure io vedeva tanto buono umore scolpito su i volti de’miei compagni, che molte volte mi pigliava invidia di loro e dimandava a me medesimo perché io dovea soffrir tanto senza che alcun male positivo mi affliggesse, e mi sembrava che avessi sempre oltraggiata la Provvidenza, nel lagnarmi di mali fantastici, ma io soffrivo realmente.

   Una mattina, mio fratello Ferdinando mi parlava de’piaceri che egli trovava nel sigaro, piaceri più morali che fisici, piaceri di solitudine e di disprezzo per tutte le umane gioie; mi diceva che soltanto nel sigaro si ritrova la pace; mi parlava di quella cara malinconia in cui gittano l’animo i buffi di fumo che tramanda un sigaro, di quella dolce ebbrezza, onde son presi i sensi e la mente. Io lo ascoltava incredulo, e sorridea di pietà sulla picciolezza dello spirito di mio fratello, che si cullava di tali chimeriche gioie; ma un dì (giornata di cara ricordanza) cangiò in parte lo stato del mio cuore… Era l’alba: aprii il mio balcone, dal quale godevasi una bella prospettiva de’colli di Capodimonte: l’aria era dolce. Il cielo unito e sereno come la volta d’una immensa galleria, e i venti brumali taceansi sotto il fogliame, addormentati dal fascino d’una natura piena di colori, di luce e di profumi. ‒ Mio fratello fumava fuori al balcone; il suo volto raggiava di gioia; e le dense colonne di vapore che si esalavano dal suo sigaro ascendevano al cielo con tanta voluttuosa trasparenza e con tanta leggiadria, che io fui preso dalla voglia di imitarlo. ‒ Mi posi anch’io a fumare – Le fibre mi tremavano per indicibile commozione; gli occhi erano umidi; il mio petto si sollevava allargandosi di contento. A seconda che un buffo di fumo sprigionavasi dalle mie labbra, io sentiva una pace fino allora ignota, una beatitudine leggiera e sonnifera, uno svolgersi di immagini ridenti ed amene. Io accarezzava, baciava il mio sigaro, lo stringeva tra le mani con quella medesima trepida gioia, onde si stringe la prima volta la mano di una donna adorata. Sentiva schiarirsi il mio cervello, sentiva una voglia di poesia, d’amore e d’allegria – Fumai mezz’ora.

   Or volgono vent’anni che io fumo. Tutt’i sigari mi piacciono, sigari d’Avana, siciliani, maltesi, Cavour, svizzeri, turchi: fumo in tutte le ore del giorno e della notte; fumo leggendo, scrivendo, conversando e ballando; il sigaro è il migliore amico che io mi abbia; mi conforta ne’dispiaceri; mi alleggerisce le pene; m’ispira i romanzi che scrivo; mi allegra il temperamento e mi fa ormai sopportare una vita di amarezze e di dolori. Alcuni pretendono che il fumo faccia male. I balordi! E si può mai vivere senza fumo? Che cosa è la vita? Un fumo. Che cosa è l’amore? Un fumo. Che cosa è la gloria? Un fumo. Che cosa è il pranzo? Un fumo. Che cosa scrivo io? un fumo. Chi siete voi che leggete? Un fumo. Che cosa è l’uomo? Un fumo, cioè pulvis et umbra.

   Ma la mia passione favorita oggi è la pipa. Il sigaro ha preso il secondo posto. Ho nella mia stanza da studio una sigarriera che mi son fatta fare apposta, e dove ci sono a josa pipe da due centesimi, alla Masaniello, una grande scatola contenente tabacco da 4 soldi l’oncia, e poi, sigari, fiammiferi ec. ec. Su la scatola contenente il tabacco ho messo questi miei versi:

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   Il tabacco che si fuma

È dell’uom l’immagin vera

Come corpo si consuma,

Ed in cenere si disfa:

Come l’alma prigioniera,

Si discioglie e in ciel sen va.

 

   Sul serbatoio delle pipe si leggono questi altri:

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Un istante è la vita, e l’uomo è polve.

Tutto quel fumo si disperde e solve.

 

   Di presente non vi è uomo che non fumi; il mondo è divenuto una sala da caffè; il sole non è che un immenso fiammifero. Verrà un tempo in cui non si pranzerà più, perché basteranno i sigari; ma allora i sigari costeranno moltissimo, ed i poveri morranno per inedia di fumo. La distruzione del mondo avverrà perché i globi si fumeranno le stelle; la luce si perderà per la quantità di fumo che si esalerà dalla terra.

   Sublime sigaro, il secolo XIX ti deve la sua gloria e il portento della sua civiltà. Tu ispiri le arti, le scienze e le industrie; tu inviti alla pace dei domestici lari. Se gli uomini sanguinarii di Omero e di Virgilio avessero fumato, non si sarebbero scannati tra loro. Il sigaro ispirò Watt, l’inventore de’vapori per mare, e Stephenson, l’inventore delle strade di ferro.

   Mio caro sigaro, io ti amo con un amore immenso e particolare, ti amo al pari del cielo di Capodimonte, del mare di Mergellina e della terra di Tarsia. Possa la mia voce innalzarsi a celebrare la tua gloria, come s’innalzano i vortici de’tuoi azzurri vapori! Possa una pagina meno efimera e peritura di questa raccomandarti a tutte le generazioni venture.

                                                                                                              FRANCESCO MASTRIANI