7 GENNAIO 1891

   Il «Piccolo» di Napoli 

   Era un vecchietto magro, di statura media, un poco incurvato nelle spalle; camminava con una certa lentezza, specialmente in questi ultimi tempi; quella lentezza propria del pensatore e del lavoratore. Meno A. Dumas, molti lavoratori fenomenali hanno avuto per distintivo la lentezza nei movimenti e dell’incedere; meno A. Dumas, che entrò da conquistatore nella letteratura francese, scrisse celermente e con eguale celerità consumò otto o dieci milioni.

   Francesco Mastriani, molto lontano dai milioni, lavorò per tutta la sua vita e lavorando morì.

   Nel romanzo entrò solo nel 1852: in quel 1852 che diede a Napoli eccellenti artisti di opere teatrali di merito. La sua Cieca di Sorrento, quel romanzo che fece la delizia d’una intera generazione, che ancora commuove, era stato preceduto da Sotto altro cielo, e da bozzetti e novelle sui giornali letterarii e sulle strenne del tempo.

   La Cieca di Sorrento creò vari tipi che vivono ancora.

   Dal 1852 al 1860 i romanzi si tennero in quella misura che i tempi e la politica permettevano. Il regio revisore non dormiva e bisognava stare attenti anche all’ortodossia dei titoli.

   Il romanzo sociale è iniziato alcuni anni dopo il 1860. Egli diceva di averne scritti non meno di 56.

   Lo disse in una nota alle sue appendici sul Roma. Allora l’Assommoir entrava con le sue audacie nella letteratura romantica italiana; e dopo l’Assommoir tradotto e ridotto per teatro, una sequela di romanzi sociali che s’imposero, col piccante verismo, nelle appendici e nei libri nostri.

   La nota di Francesco Mastriani ha una tinta di amarezza, che difficilmente si trova in lui, nemico aperto e dichiarato, in tutti i suoi scritti, del vizio dei viziosi, dei ricchi, dell’eredità, dei pedanti, degli usurai, dei padroni di cara, dei portinai.

   Erano i soli odii, odii letterarii e impersonali dello scrittore, il quale era mitissimo, e del socialismo vagheggiava la parte arcadica, una specie di «regno di Dio» come l’evangelico, un socialismo che può andare in traccia dei suoi tipi nel cenacolo.

   Il romanziere sociale fu di una fecondità straordinaria. In alcuni romanzi è sociale il fondo; in tutti v’è sempre una intonazione di socialismo; intendiamoci bene; lontano assai da quello degli Eudes, dei Clusent, dei Delescluze, e di quei federati messi in evidenza da M. du Camp.

   I Misteri di Napoli, Le Ombre, I Vermi sono le tre pietre fondamentali della sua seconda maniera. Edizioni numerosissime, alcune illustrate ed anche traduzioni come quella del Vers rongeurs.

   Qui comincia il periodo delle appendici, e con queste la fortuna di alcuni giornali.

   Le scriveva giorno per giorno: ne scriveva una, due, tre; cominciava a scriverle senza averle forse completate nella sua mente; senza saperne il più delle volte che cosa dovea riuscirne.

   Un tipografo napolitano, Luigi Gargiulo, mi raccontò che il Mastriani, a corto di danari, gli chiese un piccolo anticipo, e scrisse il primo capitolo di un romanzo sul marmo della tipografia.

   S’impegnava di scrivere otto, dieci, venti romanzi; di scrivere ogni giorno per dieci o quindici anni; traeva romanzi dai suoi drammi, vendeva le appendici appena cominciate agli editori… e restava povero, povero fino a dovere invocare la filantropia dei suoi concittadini. Un giornale del mattino aprì la sottoscrizione pel fecondissimo scrittore popolare, che guadagnò in questo modo alcune centinaia di lire: il prezzo di due o tre romanzi: di quei romanzi che formano la lettura prediletta dei napoletani.

   Perché i napoletani sono scolpiti dal romanziere; vizii, virtù, linguaggio, abitudini, eroismi, mala vita, quella camorra che ha creato tanti tipi, non hanno avuto interprete più accurato. I Lazzari, dove possiamo trovarli più vivi, più veri, salvo in questi romanzi che i critici troveranno convenzionali nella forma, ma che nei concetti, nei personaggi non sono che la verità, la verità nel lato comico, nel lato tragico, la verità nella vita d’un popolo così calunniato, e così poco conosciuto dai viaggiatori, i quali non sono mai usciti dal dipartimento della Senna.

   Certo il Mastriani avrebbe potuto scegliere, adottare uno stile più conveniente ai tempi, condito di quella salsa piccante che forma il patrimonio degli scrittori, diremo così, aristocratici. I quali scrittori poi hanno affettato per molti anni un profondo disprezzo pel romanziere popolare. Quel verismo pareva loro troppo poco profumato, le parole male scelte, i periodi contorti, le immagini innaturali. Ma quanti di questi scrittori, dopo aver letto l’appendice N.1 di Mastriani, sono passati al N.2, al N.3, sino all’ultimo, trovando sempre qualche cosa di nuovo, essi che si dilettano di concettini e descrivono fisiologicamente annoiando i poco numerosi e niente fortunati lettori?

   Francesco Mastriani, l’abbiamo detto, era d’indole mite e benigna; nessun odio, nessun rancore per coloro che ne sfruttavano il lavoro assiduo e costante.

   Era profondamente cristiano: creava buoni e santi preti sullo stampo di Myriel e dei Borromei: di questi preti s’innamorava; preti secondo il suo cuore, secondo il cuore del Maestro.

   Non ebbe né sollecitò pubblici ufficii: non fu cavaliere, non fu notabile di Sezione: il lavoro fu la croce, la ricompensa, il martirio di tutta la sua vita. E questo lavoro gli sopravvive in alcuni romanzi inediti nel Roma.

   Mentre scrivo egli va a riposare per sempre in quel camposanto di Napoli che ha tante volte descritto.

   Piove; e certamente il corteo non sarà numeroso.

   Ma il povero operaio della penna e del pensiero era stato sempre lontano dai rumori e dalle ambizioni del mondo. Ora in un mondo privo di giornali e di editori, potrà trovare finalmente la pace ed il riposo.

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   «Il Pungolo» di Napoli 

   Il fecondo romanziero napolitano, al quale una gran parte degli appassionati lettori di avventure eroiche e strane, nuove e sorprendenti, deve molte ore di lettura, è morto ieri.

   La triste notizia ha prodotto qui, nella sua Napoli, che egli autore dei Vermi, conosceva così bene, una dolorosa impressione.

   Noi ci associamo al lutto generale.

   Le esequie avranno luogo domani alle 5.

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   Dal Presidente della Confederazione Operaia. 

   La Confederazione delle Società di Mutuo Soccorso delle Provincie Meridionali, unitamente agli alunni e professori delle sue scuole, piange la perdita dello illustre romanziere popolare del giornale Roma, professore Francesco Mastriani.

   Educatore della mente e del cuore popolano con i suoi scritti, sostenitore strenuo della morale, oggi l’inesorabile falce della morte lo toglie al sollievo dell’operaio, in ispecie, che tanto era appassionato della lettura dei suoi romanzi, privandosi del pane piuttosto anziché del giornale in cui trovava diletto nei racconti del suo caro Mastriani.

   Il suo nome non è morto, rivive sempre negli animi del popolo napolitano. Parlava al povero e povero muore. Onore alla sua memoria.

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            Il segretario                                                Per la Commissione

         LUIGI TELESIO                                                    Il Presidente

                                                                            CAV. FILIPPO GATTOLA