L’ADULATORE

   È impossibile di non ravvisarlo; la sua persona è bassa e tarchiata, i suoi occhi sporti in fuori come per lunga consuetudine d’ammirazione; non ha peli sulla faccia, la quale è paffuta e contenta. I briganti degli Appennini, i corsari dell’Atlantico, le serpi della foresta, i leoni del deserto, la febbre gialla e il colera, sono meno dannosi all’uman genere, e meno a temersi dell’Adulatore; quest’essere anfibio è tanto più vorace quanto più sembra domestico e placido. L’Adulatore ha il miele sulle labbra e il veleno nel cuore: a modo delle allettatrici sirene, la sua voce blanda e soave trascina i corrivi e gli incauti ad ogni eccesso di superbia e di alterigia; l’Adulatore, per empir le bramose voglie della sua natura ingorda e ria, per adescar gli uomini ricchi e trarli alle basse sue mire, fa giocare una molla sovranamente elastica del cuor umano, l’amor proprio, egli s’impossessa di questa debolissima tra le passioni degli uomini, la posteggia, la regola a seconda le diverse indole delle sue vittime, fino a renderla un’arma fatale e omicida. L’Adulatore di professione conosce tutti gli uomini da cui può sperare protezione, doni e ricchezze; egli s’insinua nelle case di costoro con lo sguardo basso e supplichevole, con le mani incrociate sul petto, con le ginocchia sempre pieghevoli ad inchini; se qualche volta alza gli occhi, è per portarli al cielo in atto di sublime ammirazione per le doti e le virtù del padrone di casa; se qualche volta muove le bracce è per baciare le mani di qualcuno, e se muove il passo è per prostrarsi nella polvere innanzi a qualche ricco crapulone. L’Adulatore è ordinariamente allegro e gioviale, l’assuefazione de’buoni pasti e della buona compagnia ha dato una certa alacrità al suo spirito per modo che egli è sempre accetto alla gente che ama di bere e sollazzare; i suoi modi sono decenti, il suo linguaggio raffinato ed enfatico. Gli uomini sono generalmente portati a valutare in loro medesimi quelle virtù che non hanno e a millantarsi di quelle doti che la natura o la fortuna non ha loro accordate. Debolezza degl’ingegni superiori è stato ed è eziandio l’applicarsi con tenacità a voler intraprendere certe discipline, alle quali eglino non hanno veruna attitudine. L’Adulatore sa colpire queste tendenze in ciascun individuo, cerca di menarle sempre più al fanatismo ed all’errore, esaltando sperticatamente queste pretese virtù e lodando al cielo anche taluni vizi, come se fossero altrettante perle dell’anima. Sovente i ricchi hanno il fanatismo di farsi credere, ed anche credersi istrutti nelle arti amene o nelle belle lettere senza aver avuto mai il minimo sentore delle une né delle altre. Per la necessità in cui vivono di dover frequentare scelte adunanze nelle quali una certa istruzione è di stretto rigore, ovvero di trattare persone valenti in letteratura o in belle arti, eglino fan tutto il possibile per dimostrar- visi ben destri ed esperti nelle cavalleresche e letterarie discipline, benché talvolta non sappiano legare una frase o comporre un periodo. L’Adulatore però sta al loro fianco animandoli con lo sguardo, incitandoli coi gesti, estollendoli con la voce. Colui che non sa di musica a segno di non saper discernere il diesis dal bemolle; non monta, l’Adulatore lo presenta in un crocchio come un esimio dilettante che ha dato prove incontrastabili dell’esser suo; quell’altro ha una voce che fa paura, stonatore esimio, che non prende nessun tono giusto; non fa caso, l’Adulatore il decanta come un secondo Rubini o Lablache, quell’altro non sa maneggiare il fioretto più che la penna, e l’amico bisbiglia all’orecchio di tutti (in modo da essere però udito dal personaggio che loda) che quegli si è battuto coi più celebri spadaccini del paese e dell’estero, risultando mai sempre vittorioso e onorato. Vi è l’Adulatore per professione, ed è quello di cui abbiam dato uno schizzo; vi è puranche l’Adulatore per istinto e questi diversifica dal primo in quanto che il veleno delle sue parole non parte da malizia o dal mal talento, ma bensì da tale ignoranza e bonarietà da fargli guardar con sorpresa e ammirare quanto vede ed ascolta. Entrambi sono però da fuggire più che la peste bubbonica o il vaiuolo; entrambi sono serpenti che arrecano insensibilmente la morte al cuore, all’ingegno ed alla borsa; dappoichè purtroppo è vero il detto di La Fontaine Tout flatteur vit aux dèpens de celui qui l’ècoute.

                                                                                                               FRANCESCO MASTRIANI