L’ARIA PROVINCIALE

    (Dal Francese)

   In provincia la Società presenta nella sua composizione una grande somiglianza con quella di Parigi; omogenea in certe regioni, varia altrove di portamento, di maniere e di posizioni; ma essa non ha più, come per lo passato, una fisionomia particolare, un’aria che l’era propria, e che si disegnava sotto il nome di aria provinciale. L’aria provinciale è sempre, ma non è più un attributo individuale, che si osserva meno a Parigi che in provincia; l’aria provinciale è la cosa che meno si può difinire; salta agli occhi ed è l’attributo dell’uomo non meno della donna, malgrado la docile natura di questa, la sua facoltà d’assimilazione e di affinità sì pronta e moltiplice. L’aria provinciale è una idiosincrasia dell’espressione fisionomica, delle maniere e del linguaggio. Scappa all’analisi, senza cessare pertanto di essere una realtà. Si ha l’aria provinciale in se stesso; e quest’aria non è l’effetto dell’imbarazzo, né alla mancanza d’uso né alla privazione di ciò che costituisce una personalità corretta; è una specie di profumo, che si porta in sé; se non che essa ha un’azione ed il suo proteismo è sì esteso che si trova in tutti i gradi della società, presso gli infimi come presso i più elevati. Vi sono persone con aria provinciale in corte, nell’esercito, negli uffizi, nella magistratura, tra gli artisti, tra medici ed uomini di lettere. Tale Signora, notata pel suo portamento, pel suo contegno, pel gusto della sua acconciatura, ha però un’aria provinciale molto pronunziata; quella tale giovane, che canta l’arietta italiana a perfezione e valsa con la precisione d’un ungherese, ha l’aria provinciale. Vi sono dei dandies e de’turfistes, de’membri dei nostri migliori clubi, che han quest’aria; ma, ciò ch’è più notevole, è che tra gli attori, tra coloro stessi che sono più avvezzi a modificarsi ed a sembrare ciò che nono sono, l’aria provinciale si trova sotto i colori più dichiarati ed in un modo indelebile. Sovente nello stesso grado d’ingegno, di linguaggio e d’eleganza, l’uno ha l’aria provinciale e l’altro non l’ha.

   Ci è veramente qualche cosa di sì sottile in tale aria che la causa n’è per così dire impercettibile (insaisissable). Forse bisognerebbe fermarsi all’idea che siffatta maniera d’essere particolare nasce da una certa esagerazione negli effetti che si vogliono produrre, quale che sia d’altronde la natura di tali effetti ricercata o semplice, effetti di bonomia, di belle maniere, di fasto, d’eleganza, o anche di gentilezza. Le cose non hanno mai l’aria provinciale, quando le mire sono in armonia con la condizione, collo spirito, coll’educazione e colle maniere.

   Quanto a’grandi pranzi, si ha che in più d’una buona casa è ancora il vezzo, ed è un torto, di assegnare ai convitati il posto che debbono occupare in tavola; locchè mira a trasformare tali pranzi in vere riunioni di gerarchia militare ovvero amministrativa. Ebbene, vi sono padroni di casa che non solo fissano i posti di onore agli uni ed i posti infimi agli altri là ove tutti dovrebbero essere su un piede d’eguaglianza, ma incariscono ancor su tale disdicevole uso. Non ha guari, in una certa casa, in occasione d’una solennità nuziale, il padrone, molto formalista, volendo far mostra del suo sapere intorno all’etichetta, formò ufficialmente la lista de’cavalieri e delle dame, che dovevano accompagnarsi, durante la giornata, alla messa alla passeggiata, nel banchetto delle nozze ed in ultimo al ballo. Ed aveva distribuito tutti gli invitati in coppie di coniugi, e secondo ch’egli stimava le persone e le loro condizioni.

   Una dama, perfettamente a conoscenza delle cose di Parigi e di Londra, faceva parte della riunione. Ora, essa avea avuto cura di raccomandare a’suoi domestici di mettere de’mazzettini di fiori agli occhielli delle loro livree e de’nastri a’fiocchi dei cavalli della sua carrozza. Le altre osservando un tale grazioso apparato nella messa in iscena di quell’equipaggio, non solo si affrettarono di dare ancora esse simili mazzettini a’loro cocchieri e servidori, e di far mettere de’nastri in testa de’loro cavalli, ma talune ne fecero mettere anche alle groppiere di essi. Tanto forse era bello, ma era esagerato; e si vide tosto qual aria poteva avere quella ricercatezza.

                                  FRANCESCO MASTRIANI